Petali di rosa, un libro di Giovanni Salvemini
L’inesorabilità dello scorrere del Tempo e l’indefettibile forza del vero Amore rappresentano i nodi tematici chiave della silloge “Petali di rosa”, di Giovanni Salvemini, recentemente pubblicata per i tipi della Secop edizioni. Il florilegio comprende liriche già edite nel trentennio precedente, su cui si innesta un discreto numero di inediti, accomunati dalla tematica amorosa. Il cuore della raccolta è preceduto da alcuni contributi critici, la pregevole prefazione di Angela De Leo e il valido intervento dello studioso Michele De Chirico; in calce alla silloge, altri brevi scritti che offrono riflessioni e spunti di meditazione di carattere estetico sulla produzione di Salvemini. A illustrare con eleganza e delicatezza i versi dell’autore molfettese gli splendidi dipinti di Marisa Carabellese in copertina, nei quali conoscono felicissima espressione l’anelito alla Bellezza, l’attitudine di rêverie e il carattere transeunte di ogni dolce illusione. I versi di Giovanni Salvemini presentano alcune immagini ricorrenti, a costituire il mito individuale dell’autore. Innanzitutto, domina la tendenza a muovere da pennellate di carattere paesaggistico, del tutto prive, tuttavia, di carattere realistico. Gli scenari degli incontri d’amore, la campagna che funge da sfondo a romantiche passeggiate, in cui si diviene dimentichi di sé e del mondo, le impervie promesse del paesaggio alpino assurgono a teatro dell’eterno riavvolgersi del Tempo sugli istanti, non obliterabili, in cui l’Amore si è estrinsecato. In questa dimensione domina la Luce, protagonista quasi ossessiva delle liriche: essa avvolge, inebria, stordisce, a volte desta anche melanconia, s’è luce d’autunno e rinvia all’eterno disfacimento delle cose terrene. La figura femminile appare stilizzata; l’autore insiste su pochi dettagli, quali gli occhi, il viso, non a caso luminoso, la “sempreverde bellezza”. Le è affidato un ruolo rasserenante, direi salvifico; nei suoi lumi si riflette il paesaggio circostante o si rispecchia, conoscendo pacificazione, l’inquietudine dell’io lirico. A ciò si allude anche quando si fa riferimento alla capacità di placare la sete, dono peculiare dell’amata. Modalità prevalente appare la parenesi: la consapevolezza del carattere umbratile dell’esperienza umana non deve deprimere l’uomo, che può conoscere proprio attraverso l’Amore e l’indicibile grazia ad esso connessa la, seppur breve e forse illusoria, possibilità di alimentare ancora la fiaccola di un’esistenza che tende purtroppo a dileguare. Non manca lo sguardo incantato su una Natura che si tinge di magici colori o la meditazione sul “vortice di inumano” che avvolge l’umanità e la conduce sull’orlo del baratro. In quei momenti, si accende, accorata, la preghiera, figlia di una “sete di stelle”, di divino, d’amore propria dell’uomo, che le secche di un’esistenza indecifrabile non potranno ridurre al silenzio.
Autore: Gianni Antonio Palumbo