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Oggi e domani a Molfetta la "festa giusta" di Sel in piazza Principe di Napoli
12 ottobre 2013

MOLFETTA - Da questa sera inizia la "Festa giusta" di Sinistra ecologia e libertà a Molfetta.

"Stiamo attraversando un momento molto difficile per la nostra città e per il nostro Paese - dice il segretario cittadino di Sel, Silvio Salvemini -, in cui alle difficoltà economiche e sociali si aggiungono i contraccolpi di un sistema di potere che sta mostrando tutta la sua inefficacia nell'affrontare la perdita di qualità e quantità di lavoro, l'impoverimento delle famiglie, lo smantellamento del settore pubblico dell'economia e del patrimonio, l'aumento degli indici di povertà e aumento della diseguaglianza sociale.
Avvertiamo la necessità di aprirci a un confronto profondo e franco per uscire da una situazione di crisi economica e sociale, ma allo stesso tempo democratica e civile che si protrae da un arco di tempo talmente ampio da esser diventata una condizione strutturale" .

All'interno di piazza Principe di Napoli, sabato 12 ottobre (ore 19:30) ci sarà un primo bilancio col Sindaco Paola Natalicchio sull'esperienza al governo di Molfetta in questi primi mesi, in cui sarà illustrato il cambiamento in atto attraverso i provvedimenti assunti dalla nuova Amministrazione insieme al Presidente del Consiglio Comunale Nicola Piergiovanni, all'Assessore al Bilancio Angela Amato, al Capogruppo SEL Molfetta Mauro De Robertis.

Domenica 13 ottobre (ore 19:30) si parlerà di regole connesse ai temi Giustizia, Libertà e Democrazia. Un dialogo tra il Senatore Dario Stefàno (Presidente della Giunta per le Elezioni, le Autorizzazioni e le Immunità del Senato), Gano Cataldo (Coordinatore SEL Puglia) e Tommaso Minervini (SEL Molfetta).

Tra le iniziative previste all'interno della Festa vi saranno spettacoli per bambini, iniziative ludico-ricreative, esibizioni, scambi di libri e altre sorprese per i partecipanti.

Sel invita dunque a partecipare in queste due giornate alle sue iniziative a seguire i dibattiti serali a conclusione dei quali sono previsti due concerti: sabato 12 suonerà il gruppo pop-rock "Blue Rose", domenica 13 un gruppo emergente "Industriae" e la cover band "e adesso... Dalla".

Di seguito il programma completo della nostra Festa:

SABATO 12 OTTOBRE

- ore 17
Guerilla Gardening: Riportiamo i fiori in Piazza

- ore 17:30
HIPHOP, BREAKDANCE, show della FLOW FREE CREW
a cura di ASD TAKE YOUR TIME
(https://www.facebook.com/takeyourtime.molfetta)

- ore 18
Laboratorio di yoga per bambini, incontro di yoga e salute
a cura scuola di Yoga Yogasatyam

- ore 19
Spettacolo di burattini, a cura di Pantaleo Annese

- ore 19:30
Dibattito
"MOLFETTA CAMBIA: i primi cento giorni da Signora"
intervengono:
Paola Natalicchio, Sindaco di Molfetta
Angela Amato, Assessore al bilancio, SEL
Nicola Piergiovanni, Presidente Consiglio Comunale,
Mauro de Robertis, Capogruppo SEL Molfetta
modera:
Silvio Salvemini, Segretaio SEL Molfetta

- ore 21:30
Concerto pop rock:
Blue Rose


DOMENICA 13 OTTOBRE

- ore 10:00
Mini volley,
a cura Società Sportiva Pallavolo Molfetta

- ore 12:00
Aperitivo sottoscrizione, Pub Allémmérse
(https://www.facebook.com/allemmerse)

- ore 17:30
Giochi ed animazione di strada
a cura di Luditerraneo Gioco Meridiano
(https://www.facebook.com/Luditerraneo)

- ore 19:30
dibattito
"LE REGOLE NON SONO IN GIOCO: dialogo su Giustizia, Libertà e Democrazia"
intervengono
Dario Stefàno, Presidente della Giunta per le Elezioni, le Autorizzazioni e le Immunità del Senato della Repubblica (dal 18 settembre 2013, relatore sulla pratica della decadenza da senatore di Silvio Berlusconi)
Gano Cataldo, Coordinatore SEL Puglia
Tommaso Minervini, SEL Molfetta

- ore 21:30
concerto alternative rock: INDUSTRIAE
concerto cover band: E adesso DALLA

Durante la due giorni partecipa all’iniziativa “LIBERA I LIBRI”: porta con te uno o più libri che intendi condividere o scambiare con altri partecipanti e scegli un nuovo libro lasciato da loro!

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Fino a quando alcuni paesi sono poveri e, ciò che conta ancora di più, condannati a restare tali, perché vivono del tutto al di fuori del mercato mondiale, la prosperità resta un vantaggio ingiusto. Fino a quando ci sono individui che non hanno diritto di partecipazione sociale e politica, i diritti dei poche che ne fruiscono non possono considerarsi legittimi. Questo è un giudizio morale, ma non solo. A tale riguardo è eloquente il caso dell'immigrazione. In via di principio è inaccettabile che i paesi civili ostacolano il libero movimento delle persone. Ad ogni buon conto il potere dissolvente e dissacrante delle società moderne ha alimentato il dibattito per un secolo. “Anomia”, suicidio, delitto; collasso della famiglia; tramonto della religione. Alcuni considerano tutte le disuguaglianze incompatibili con una società civile dignitosa ma, forse, non è così. In un ambiente aperto, in cui le persone abbiano la possibilità di farsi valere e di migliorare con i propri sforzi le proprie prospettive di vita, le disuguaglianze possono essere fonte di speranza e spinta al progresso. Ma la nuova disuguaglianza è di un altro tipo. Sarebbe più corretto chiamarla “sperequazione”, ossia l'opposto esatto dell'appiattimento unificante: ad alcuni si spiana la strada verso le vette, ad altri ancora si cerca di intralciare il cammino scavando buche o creando fenditure e crepacci. I redditi delle fasce più benestanti della popolazione, quelle appartenenti agli ultimi dieci o venti percentili, stanno crescendo in maniera significativa, mentre i redditi delle persone appartenenti ai venti o magari anche ai quaranta percentili più bassi vanno calando. Questa sistematica divergenza delle prospettive di vita per ampi strati della popolazione è incompatibile con una società civile. La sensazione che si va diffondendo è quella che stia venendo meno ogni certezza. Quando la fiducia comincia a incrinarsi, ben presto anche la libertà arretra su una posizione meno articolata, quella caratterizzata dalla guerra di tutti contro tutti. Chi è che prospera in uno stato di anarchia? I signori della guerra, gli impostori, gli speculatori, i giullari ( se hanno la fortuna di trovare un protettore), non certo i cittadini. I cittadini, anzi, non esistono più.
Se il linguaggio della politica tende a diventare quello della pubblicità, colmando in tal modo la lacuna tra le due sfere della società un tempo molto differenti, ne segue che tale tendenza sembra esprimere il grado in cui dominio ed amministrazione hanno cessato di essere funzioni separate ed indipendenti nella società tecnologica. Ciò non significa che il potere dei politici di professione sia diminuito; è vero il contrario. Quanto più la sfida che essi montano al fine di potervi far fronte assume carattere globale, quanto più la prossimità della distruzione totale sembra un fatto normale, tanto più essi sono liberi da una effettiva sovranità popolare. Ma il loro dominio è stato incorporato nelle prestazioni quotidiane e nei trattenimenti dei cittadini, ed i “simboli” della politica sono anche quelli degli affari, del commercio e del divertimento. Le vicissitudini del linguaggio hanno un parallelo nelle vicissitudini del comportamento politico. Nella vendita di apparecchi che permettono di rilassarsi divertendosi nel rifugio antiatomico, nella ripresa televisiva dei candidati in lizza per coprire i ruoli più importanti della nazione, la congiunzione tra la politica, affari e divertimento è completa. Ma la congiunzione è fraudolenta e fatalmente prematura, poiché affari e divertimento sono ancora la politica del dominio. Non si tratta ancora della satira dopo la tragedia, non è finis tragoediae – la tragedia può cominciare da un momento all'altro. Ed ancora una volta, vittima del rito non sarà l'eroe ma il popolo.

Non me ne voglia prof. Occultis, continuo il pensiero "marcusiano". - Occorrono nuovi metodi di realizzazione, tali da corrispondere alle nuove capacità della società. Codesti nuovi metodi possono venire indicati solo in termini negativi poiché equivarrebbero alla negazione dei modi che ora prevalgono. In tal senso, libertà economica significherebbe libertà dalla economia, libertà dal controllo di forze e relazioni economiche; la libertà dalla lotto quotidiana per l'esistenza, dal problema di guadagnarsi la vita. Libertà politica significherebbe liberazione degli individui da una politica su cui essi non hanno un controllo effettivo. Del pari la libertà intellettuale equivarrebbe alla restaurazione del pensiero individuale, ora assorbito dalla comunicazione e dall'indottrinamento di massa, ed equivarrebbe pure all'abolizione dell'”opinione pubblica”, assieme con i suoi produttori. Il suoni irrealistico che hanno queste proposizioni è indicativo non tanto del loro carattere utopico, quanto dall'intensità delle forze che impediscono di tradurle in atto. La forma più efficace e durevole di lotta contro la liberazione è la coltivazione di bisogni materiali e intellettuali che perpetuano forme obsolete di lotta per l'esistenza. E' possibile distinguere tra i bisogni veri e bisogni falsi. I bisogni “falsi” sono quelli che vengono sovrimposti all'individuo da parte di interessi sociali particolari cui preme la sua repressione; sono i bisogni che perpetuano la fatica, l'aggressività, la miseria e l'ingiustizia. Il risultato è pertanto un'euforia nel mezzo dell'infelicità. La maggior parte dei bisogni che oggi prevalgono, il bisogno di rilassarsi, di divertirsi, di comportarsi e di consumare in accordo con gli annunci pubblicitari, di amare e odiare ciò che gli altri amano e odiano, appartengono a questa categoria di falsi bisogni. I soli bisogni che hanno un diritto illimitato ad essere soddisfatti sono quelli vitali: il cibo, il vestire, un'abitazione adeguata al livello di cultura che è possibile raggiungere. La soddisfazione di questi bisogni è un requisito necessario per poter soddisfare tutti gli altri bisogni, sia quelli non sublimati sia quelli sublimati. -
Dinanzi a fatti apparentemente contraddittori, l'analisi critica continua ad insistere che il bisogno di un mutamento qualitativo non è mai stato così urgente. Ma chi ne ha bisogno? La risposta è pur sempre la stessa: è la società come un tutto ad averne bisogno, per ciascuno dei suoi membri. L'unione di una produttività crescente e di una crescente capacità di distruzione ; la politica condotta sull'orlo dell'annientamento; la resa del pensiero, della speranza della paura alle decisioni delle potenze in atto; il perdurare della povertà in presenza di una ricchezza senza precedenti costituiscono la più imparziale delle accuse, anche se non sono la raison d'ètre di questa società ma solamente il suo sottoprodotto: la sua razionalità travolgente, motore di efficienza e di sviluppo, è essa stessa irrazionale. Il fatto che la maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole. La distinzione tra coscienza autentica e falsa coscienza tra interesse reale e interesse immediato, conserva ancora un significato. La distinzione deve tuttavia essere verificata. Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall'interesse immediato al loro interesse reale. Essi possono far questo solamente se avvertono il bisogno di mutare il loro modo di vivere, di negare il positivo, di rifiutarlo. E precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di “distribuire dei beni” su scala sempre più ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell'uomo. (Tratto da: L'uomo a una dimensione - Herbert Marcuse)
Dov'è il giusto? 1°parte. - Al di fuori della politica l'uomo ha fatto miracoli: ha sfruttato il vento e l'energia, ha trasformato sassi pesanti in cattedrali, è riuscito a controllare e vincere quasi tutte le malattie, ha cominciato a penetrare i misteri del cosmo. “In tutte le altre scienze si sono registrate notevoli progressi” ebbe a dire una volta John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti “ma non in quella del governo, la cui prassi è rimasta immutata.” Esistono quattro tipi di malgoverno, spesso combinati fra loro: la tirannia, l'eccessiva ambizione, la inadeguatezza e la decadenza, e, infine, la follia o la perversità. Ma follia e perversità, potrebbe obiettare qualcuno, fanno parte della natura umana, e allora per quale ragione dovremmo aspettarci qualcosa di diverso dagli uomini di governo? La follia dei governi preoccupa perché si ripercuote con effetti più negativi su un maggior numero di persone; di qui l'obbligo per i reggitori di stati di agire più degli altri seconda ragione. Tutto ciò è risaputo da tempo immemorabile, e allora perché la nostra specie non ha pensato a prendere precauzioni e a cautelarsi? Qualche tentativo è stato fatto, a cominciare da Platone, che propose di creare una categoria di cittadini destinati a diventare professionisti della politica. Secondo lui la classe dominante, in una società giusta, doveva essere costituita da cittadini che avevano imparato l'arte di governare, e la sua soluzione, affascinante ma utopistica, erano i re filosofi: “Nelle nostre città i filosofi devono diventare re, oppure chi è già re deve dedicarsi alla ricerca della sapienza come un vero filosofo, in modo da far coesistere in una sola persona potere politico e vigore intellettuale.” Fino a quando ciò non fosse accaduto, riconosceva Platone, “le città e, io credo, l'intero genere umano non potranno considerarsi al riparo dai mali.” E' così è stato. (continua)

2°parte. - Il conte Axel Oxenstierna, cancelliere svedese durante la terribile Guerra dei Trent'anni, parlava con ampia cognizione di causa quando disse: “Renditi conto, figlio mio, che ben poco posto viene lasciato alla saggezza nel sistema con cui è retto il mondo.” Lord Acton, uomo politico inglese del secolo scorso, usava dire che il potere corrompe, e di ciò ormai, siamo perfettamente convinti. Meno consapevoli siamo del fatto che esso alimenta la follia, che la facoltà di comandare spesso ostacola e toglie lucidità alla facoltà di pensare. La perseveranza nell'errore, ecco dove sta il problema. I governanti giustificano con l'impossibilità di fare altrimenti decisioni infelici o sbagliate. Domanda: può un paese scongiurare una simile “stupidità difensiva” come la definì George Orwell, nel fare politica? Altra domanda, conseguente alla prima: è possibile insegnare il mestiere ai governanti? I burocrati sognano promozioni, i loro superiori vogliono un più vasto campo d'azione, i legislatori desiderano essere riconfermati nella carica. Sapendo che ambizione, corruzione e uso delle emozioni sono altrettanto forze di controllo, dovremmo forse, nella nostra ricerca di governanti migliori, sottoporre prima di tutto i candidati a un esame di carattere per controllarne il contenuto di coraggio morale, ovvero, per dirla con Montaigne, di “fermezza e coraggio, due virtù che non l'ambizione ma il discernimento e la ragione possono far germogliare in uno spirito equilibrato.” Forse per avere governi migliori bisogna creare una società dinamica invece che frastornata. Se John Adams aveva ragione, se veramente l'arte di governare “ha fatto pochissimi progressi rispetto a 3000 o 4000 anni fa” non possiamo aspettarci grandi miglioramenti. Possiamo soltanto tirare avanti alla men peggio, come abbiamo fatto finora, attraverso zone di luce vivida e di decadenza, di grandi tentativi e d'ombra. (fine)

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