Odio l'estate… La lunga stagione dei precari della scuola
È cominciata la più lunga estate degli ultimi dieci anni per i precari della scuola... Dopo un anno di passione (molti docenti non proprio novellini hanno dovuto attendere la seconda metà dell’anno per incontrare una collocazione stabile), le tanto sospirate vacanze estive sono state accolte con non pochi malumori. Pochissime cattedre del CSA prevedevano nomine sino al 30 agosto; la maggioranza dei contrattisti ha veduto cessare la propria attività a fine di luglio, i supplenti (quest’anno anche gente ormai abituata da anni alle nomine annuali) in molti casi non oltre il 15 luglio. Ecco le usuali corse al calcolo delle indennità di disoccupazione spettanti (per i fortunati che ne usufruiscono) o i colloqui per estive assunzioni, panacea contro l’angoscia del “non stipendio”, ma, non di rado, fonte di grandi delusioni. “Ho sostenuto – racconta Francesca – il colloquio come direttrice di collana, presso una casa editrice. Più che alle mie competenze in materia di libri, parevano interessati alle mie relazioni sociali e alla mia abilità di procacciare ‘autori’ che pubblicassero, a proprie spese, poderosi tomi all’interno della collana”. Insomma, tanto per cambiare, la qualità del lavoro intellettuale non paga e quel che conta maggiormente è il “fattore conoscenze”, indispensabile, in un’Italia che non muta se non in peggio (Nord o Sud non cambia), non solo per garantirsi un qualsiasi (anche modesto) sbocco occupazionale, ma per accedere a qualsiasi attività pur vagamente appetibile. Mentre molti precari (anche ultracinquantenni) cercano di accaparrarsi un lavoro, o lavoretto che sia, per sbarcare il lunario nei mesi estivi e non ricorrere alla paghetta del babbo (per chi ha la ventura di averlo), gli altri ascoltano allarmati le previsioni nefaste delle cassandre per l’anno (scolastico, s’intende) che verrà. Il caos riformistico sembra abbia determinato non pochi sbandamenti e si vocifera di ritardi stratosferici nei movimenti estivi e, conseguentemente, nelle nomine (ammesso che ce ne siano) di settembre. Così chi sarà “baciato” dalla Dea bendata potrà, forse, insediarsi nella nuova, momentanea destinazione a ottobre. Per gli altri si prospetta forse un autunno più lungo dell’estate. “Insegno italiano nella A043. Quest’anno c’è stata, per così dire, la ‘stangata’. Poco più di una quindicina di cattedre dal Provveditorato, fino a dicembre chiamate neanche a pagarne, nemmeno per sbaglio... Poi è intervenuta Santa Regione, con i suoi ‘Diritti a scuola’ e oltre centosessanta persone, tra cui io stessa, son venute fuori da una situazione che rasentava lo stato di disperazione... Noi della scuola media quest’anno siamo più sereni: i tagli, allucinanti, sono avvenuti l’anno scorso e, con i pensionamenti in corso, forse sarà possibile usufruire di una decina di cattedre in più. Poi si vocifera della possibilità della riattivazione dei progetti regionali... Se così fosse, la Regione Puglia meriterebbe un monumento!”. “Io insegno nelle superiori e, per noi, la situazione è a dir poco drammatica. La riforma prevede una selvaggia decurtazione oraria... Decurtazione che arriverà dopo un già elevato numero di tagli avvenuto tra l’anno scorso e quest’anno. Nel 2008-2009, avevo avuto la nomina del CSA e ho lavorato per tutto l’anno; la sede era molto lontana dalla mia residenza, ma mi sentivo felice, appagato... Nel 2009-2010, tagli... Ho cominciato a lavorare per spiccioli di ore in autunno inoltrato e poi, grazie a Dio, il telefono ha squillato continuamente per le supplenze ‘dei presidi’. Ma ora, con quest’ulteriore manovra al risparmio, temo che, dopo esser passato dalla nomina annuale alle supplenzine, il rischio sia quello di restare a casa, nel 2010-2011, ad attendere invano una telefonata che non arriverà...”. “Io invece, dopo due anni di insegnamento, quest’anno ho lavorato solo negli ultimi due mesi e con progetti per l’obbligo formativo che non sappiamo nemmeno se garantiranno uno straccio di punteggio. Mi sento frustrata, io amo il mio lavoro. Mi hanno lasciato assaporare la difficile bellezza di questa professione, per poi privarmene. Nessuno può immaginare la rabbia che provo in questo momento della mia vita...”. “Ho fatto domanda per un insegnamento in America. La selezione sarà dura, ma se dovessi essere io la prescelta non esiterei a partire... Ambizioni di carriera? Macché... Diciamo più che altro desiderio di lavorare. Sostengono che questa riforma condurrà a una valorizzazione del ‘latino’. Bel modo per definire un taglio impressionante di ore e cattedre. Sa tanto di presa per...”. “Quest’anno ci sono stati ritardi considerevoli nei pagamenti degli stipendi. Più di un insegnante si è trovato invischiato in questa poco gradevole situazione. Ho dovuto attendere quattro mesi lavorativi, prima che cominciassero ad arrivare i primi soldi. Non so se questa situazione sia normale in un paese civile. Dico solo che se avessi dovuto pagare un affitto, sarei diventato moroso. Il prossimo che dice che noi giovani italiani siamo ‘bamboccioni’ lo prendo a schiaffi...”. Se i precari hanno ben ragione di non essere fiduciosi, non sorridono nemmeno i docenti di ruolo... “Le decurtazioni causeranno un eccesso di sovrannumerari... Ho chiesto il trasferimento non perché volessi abbandonare la mia attuale sede, ma perché, in odore di ‘perdita posto’, ho preferito essere io a suggerire eventuali destinazioni. Certo, dovermi ritrovare dopo quindici anni di carriera a insegnare nuovamente ad Altamura o Gravina, o magari Canosa (come accadde per la mia prima supplenza dei presidi), non è di certo una bella prospettiva... C’è da considerare che ho anche due bambine alle elementari e un marito che lavora tutto il giorno”. Come se non bastasse, basta leggere la “Gazzetta” del 4 luglio per rendersi conto che la levata di scudi sui tagli alle tredicesime sembra valere per gli agenti di Polizia, ma “resta il dubbio sugli insegnanti”. Insomma, rimane netta e innegabile l’impressione che di questa categoria non importi a nessuno e anzi... In uno Stato che si ammanta di un’aura culturale che sbiadisce ogni giorno di più, l’istruzione pare sinceramente non contare davvero nulla.
Autore: Gianni Antonio Palumbo