Ci sta facendo riflettere, e molto, la situazione di emergenza generata dal Coronavirus o forse non ci sta facendo riflettere affatto e stiamo agendo solo d’istinto per salvarci la pelle, in fondo in circostanze difficili saltano gli schemi e pochi si attengono alle direttive, ai decreti scritti in un linguaggio poco chiaro, soprattutto se nessuno sorveglia e fa osservare quelle che diventano le regole necessarie per salvaguardare il benessere generale. L’emergenza sanitaria ci sta facendo riflettere senz’altro sul ruolo dei nostri medici, dei nostri infermieri, di tutto il personale del sistema pubblico di sanità, cioè quello che si regge sulle tasse che i cittadini pagano, per chi le paga, e sui ticket delle prestazioni alle quali accediamo all’occorrenza. Al di là delle speculazioni politiche di chi è perennemente in campagna elettorale, l’evidente abnegazione di tutto il personale medico è sotto gli occhi di tutti e ce ne accorgiamo solo oggi, del resto medici e infermieri sono i primi ad essere esposti al contagio, si ammalano e qualcuno è già vittima, in Italia come in Cina, di ciò che cercano di contrastare con le poche e precarie armi che hanno a disposizione. Ma c’è un’altra questione sulla quale, a bocce ferme, quando tutto sarà finito, speriamo il più presto possibile, dovremmo riflettere ed è la questione della sanità privata, che abbiamo foraggiato e sostenuto economicamente in base al principio di sussidiarietà per far fronte all’ordinarietà, ma che nella straordinarietà della circostanza ci torna poco utile per la ricerca e per l’assistenza dei malati, salvo ricorrere, come accaduto in qualche realtà, alla precettazione. L’emergenza sanitaria ci sta facendo riflettere sulla scuola, sulla necessità di sospendere le lezioni a causa dell’esposizione al contagio di migliaia di ragazzi, dagli asili nido pubblici e privati alle scuole dell’infanzia e via via fino alle Università: misure necessarie o eccessive? Certo, ci dicono, per i più giovani non si dovrebbero manifestare gravi problemi di salute, eppure la facilità con la quale si trasmette il contagio e anche il solo accesso al pronto soccorso di tutti gli alunni di una sola istituzione scolastica, anche al solo fine di avere la consapevolezza di aver contratto la malattia, sarebbe sufficiente a far collassare il presidio ospedaliero di un singolo paese, già ridimensionato dai ripetuti tagli alla sanità pubblica. E, invece, bisogna restare sulla scuola, perché tra capo e collo cade una tegola infuocata sulla quotidianità del docente: la didattica a distanza. E sì, perché in una condizione di totale incertezza su chi debba dichiararne l’avvio, è chiaro che qualcosa si debba pur fare per non lasciare intorpidire il cervello dei nostri ragazzi, anche solo per distrarli dalla cronaca quotidiana che, soprattutto a livello emotivo, non fa certamente bene. Tuttavia, inutile nasconderci che non tutte le scuole sono attrezzate per la didattica a distanza, non tutti i docenti sono preparati e inclini ad usare la tecnologia come surrogato della relazione pedagogica, quella fatta di prossimità, presenza, confronto e non di mera trasmissione di informazioni. Un altro aspetto importante su cui ci sta facendo riflettere l’emergenza sanitaria è la precarietà della vita dei nostri anziani, dei nostri genitori come dei nostri nonni, stiamo parlando di persone intanto, e il numero sempre crescente, testimoniato dalle interessanti statistiche sull’età delle persone che ci lasciano, non deve e non può lasciarci indifferenti. A noi i nonni servono, servono alla nostra società, servono alle mie figlie per l’amore e l’affetto che regalano loro mentre noi siamo impegnati a dare il massimo nella fase più attiva e intraprendente della nostra vita lavorativa, servono soprattutto a noi, quindi, perché di loro ci fidiamo e perché ancora ci aiutano economicamente, per cui dobbiamo prendercene cura e non servirà minimizzare sul fatto che i deceduti avessero già altre patologie, perché sfido a 70 anni non averne mai avute, sono anziani, ma sono importanti per noi e per la società. E poi, non so voi, ma a me questa situazione di emergenza mi sta facendo riflettere sulla tipologia più adeguata di ordinamento giuridico e statale in grado di contrastare quella che in alcuni casi potrebbe essere definita la sacrosanta libertà di movimento, ma in altri casi diventa facilmente assenza di senso di responsabilità, imbecillità, menefreghismo. Beninteso, ho letto molto in questi giorni, come tutti voi, dalla bellissima analisi del magnifico Agamben sullo scenario totalitario dello Stato che sorveglia e punisce, quando non si parlava ancora di pandemia e non eravamo nell’ordine delle migliaia di infettati, alle prese di posizione di chi si indignava guardando quei video, ovviamente fake, in cui si mostrava come in Cina le autorità statali, dopo aver azzerato i vertici politici della provincia dell’Hubei, questo è vero, chiedevano il contributo dei militari armati per evitare che qualche imbecille se ne andasse tranquillamente in giro, esponendo gli altri al contagio. Eppure, oggi pare che in Cina le misure drastiche, dicono draconiane, ma questo poi significa che occorrerà riflettere anche sul personaggio di Dracone, abbiano ridotto la diffusione dell’epidemia. Ma la Cina è un dittatura comunista e noi siamo una democrazia liberale e su questo è necessario tornare a riflettere, anche perché le situazioni di emergenza e di straordinarietà in cui saltano sistematicamente i presupposti dell’ordinaria vita politica parlamentare nel nostro Stato si verificano sempre più spesso. Ma poi ci sarebbero tante altre questioni su cui riflettere e su cui dibattere e in questo momento le mie varie chat mi richiamano a numerose prese di posizione perché occorre chiarire se il prete può dire messa in presenza di un decreto che glielo impedisce, pur non avendo ricevuto ordine dal suo superiore o dalla CEI, che ha letto il decreto, ma probabilmente non l’ha capito. Poi in un’altra chat si discute del ristorante, che è diverso dal pub perché quest’ultimo non dispone di un locale adibito a laboratorio con cucina, e di conseguenza non si sente toccato dalla chiusura entro le 18 e resta aperto per tutta la serata. Insomma, si discute, si dibatte, del resto ai tempi del coronavirus, i cui veicoli di trasmissione sono le zone umide e le mucose del nostro corpo, anche le relazioni coniugali ed extraconiugali sono messe a dura prova, per cui non ci resta che discutere e riflettere, a casa, con il telefono, nello stillicidio dei messaggio delle chat, aspettando con pazienza che la situazione migliori.