Natale Addamiano Molfetta, mon amour
Un cantico d’amore innalzato a Molfetta da Natale Addamiano, dopo lo scandaglio delle sue “Ore della passione” e a 12 anni di distanza dall’ultima mostra interamente consacrata agli scorci della nostra città dal docente di Brera. “Molfetta mon amour” è stata inaugurata sabato 6 settembre alle ore 19, presso la galleria “54 arte contemporanea”, in via Baccarini 54. Dopo il vernissage, l’allestimento potrà essere visitato tutti i giorni dalle 11 alle 13 (con l’eccezione del lunedì mattina) e dalle 17 alle 21. La mostra offre un’immagine en plein air della cittadina, scrutandone con sguardo incantato il paesaggio, in uno studio attento di luci e atmosfere, con il cielo a fungere da direttore d’orchestra. All’inchiesta dal vero si affianca, però, la sublimazione concettuale, in armonica fusione di oggetto e intelletto. Ne emerge un’immagine ora sognante, ora struggente, ora in palpitante attesa che dalla luce giunga un’improvvisa illuminazione di senso. Dopo dodici anni, una nuova personale dedicata alla città di Molfetta... «Già, una mostra sbocciata per le vie cittadine. Passeggiando, comincio già a esaminare i motivi che mi si presentano dinanzi agli occhi. Assorbo le prime emozioni, per poi riprogrammare il momento in cui tornerò a studiare en plein air quel soggetto. Confesso che uno dei miei sogni a occhi aperti sarebbe quello di poter soffermarmi, dopo mezzanotte, a ritrarre il porto di Molfetta e le sue luci. Tutte le mie nuove ‘impressioni’ nascono da questa città e la trascendono. L’omaggio a Molfetta è, in un certo senso, un omaggio alla mediterraneità». La tua pittura è un felice connubio di osservazione del reale e astrazione concettuale. «Sì, concepisco la natura e i luoghi secondo quel che quotidianamente ho sotto gli occhi, ma mi spingo oltre. Il pittore proietta sempre il proprio io sulle cose e organizza lo spazio, lo scandisce e lo articola. A essere registrati in questi piccoli studi a pastello e olio sono, pertanto, anche le mie idee e i miei sentimenti. Nascono così i miei luoghi del cuore, in una Molfetta che cambia continuamente con le ore, le luci, le stagioni... Cieli, barche, case palpitano sotto la luce mediterranea. Vedremo se queste sensazioni visive con struttura interiore riusciranno a diventare emozione collettiva. Se poi ciò non dovesse accadere, la mia natura e il senso stesso del mio lavoro non sono mai stati nella lunghezza d’onda della platea...». E i colori? «I colori determinano piani e profondità con tocchi leggeri e aerei. Quando il colore è alla sua ricchezza e la forma alla sua pienezza, questo è l’en plein air». Quali sono le ultime mostre che hai avuto modo di apprezzare? «Su tutte quella di De Nittis a Padova. L’ho apprezzata per la ricchezza di opere, provenienti da tutto il mondo. Purtroppo, in Puglia la tradizione denittisiana si va spegnendo e sempre più raro è individuare chi continui a puntare al vero. Per il resto, frequento costantemente le fiere d’arte a Milano, Bologna ecc, grazie alle quali è possibile valutare quanto accade nell’arte contemporanea e, per così dire, “inquadrarsi”, ossia fare il punto sul proprio itinerario artistico». E tu, come ti “inquadri”? «Come uno che ha ancora lo sguardo rivolto ai grandi maestri. Sto sviluppando una sorta di avversione verso molta arte contemporanea. Non la capisco e neppure voglio farlo. Parliamo linguaggi diversi. Molti si lasciano affascinare dall’esperienza del video e delle installazioni o dalla flash art e rifuggono dall’idea di “fatica”, che l’Arte dovrebbe implicare. A complicare le cose concorrono un mercato dell’opera d’arte in cui tutto è gonfiato artificiosamente, in barba ai valori estetici, e la situazione del Paese. In Italia l’arte è bistrattata. A Londra un qualsiasi artista decoroso è rispettato; qui da noi, invece, spesso vanno avanti i più scalcinati». Quali consigli daresti a un giovane pittore? «Cercare l’essenza e la vita del soggetto. Disciplinare la propria sensibilità: assecondarla, ma non lasciarla debordare. Non disdegnare la tradizione. I maggiori innovatori (si pensi a Rothko, Malevic, Kandinsky) sono spesso partiti dal figurativo. Tornare alla natura... I grandi come Poussin, Cézanne, Van Gogh sono solo e sempre ispirati dalla natura. Lo stesso vale anche nel mio caso: il potenziale emotivo e l’estatica bellezza della natura mi folgorano sempre».
Autore: Gianni Antonio Palumbo