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Molfetta, Lillino Di Gioia critica l'amministrazione Natalicchio: bisogna cambiare davvero, altrimenti è solo inutile nuovismo
16 febbraio 2014

MOLFETTA - Dalle battaglie politiche  di Finocchiaro e Sandrino Fiore, all' espansione urbana e alla crescita economica,  fino al tramonto di un'intera classe politica spazzata via da Tangentopoli, approdando al ventennio disastroso  all'insegna dei “due Minervini” e del senatore Azzollini, per approdare ai giorni nostri segnati dalla vittoria elettorale della nuova sinistra guidata da Paola Natalicchio incapace di segnare un vero cambio di marcia. Sono i quarant'anni di storia molfettese raccontati con corrosivo spirito polemico da Lillino Di Gioia, uno dei massimi protagonisti della vita politica locale degli ultimi decenni. Due volte consigliere regionale e assessore regionale all'urbanistica, sindaco di Molfetta dal giugno del 1989 al dicembre del 1991, esponente di spicco della Dc locale,  Di Gioia vuole ancora dire la sua. L'occasione è stata data dall'incontro organizzato giovedì 13 febbraio, presso lo Sporting Club di Molfetta dallo stesso Di Gioia dal titolo “Amministrazione comunale: dalla progettualità criminosa al rischio di immobilismo colpevole? La città chiede riscatto morale, civile, politico, amministrativo”. La conferenza ha visto anche la partecipazione  nel ruolo di provocatore del giornalista Felice de Sanctis direttore di Quindici (nella foto), ed è stata accompagnata da numerose polemiche soprattutto nell'area del centrosinistra che ha attribuito un forte taglio accusatorio all'iniziativa.

Polemiche rispedite subito al mittente: “questa serata è stata accompagnata da insulti, polemiche e reazioni scomposte. Eppure ho sempre parlato delle varie problematiche della città. Il mio obbiettivo è unicamente quello di alimentare il dibattito in città che negli ultimi mesi si è spento. Tutto qui”.

Poi davanti a una platea costituita dagli amici di una vita che in lui hanno sempre visto un punto di riferimento, Di Gioia ha ripercorso intere stagioni politiche. Forse rivolto alla città o forse agli amici, magari in vista di un suo ritorno in campo o un’iniziativa politica condivisa da Annalisa Altomare, membro del Pd e consigliere comunale che con la sua partecipazione a questo incontro ha voluto rimarcare la sua posizione critica nei confronti del Pd e dell’amministrazione Natalicchio.

Ma torniamo a Di Gioia. Irripetibile e indimenticabile per lui la prima Repubblica: “è stato un periodo straordinario per Molfetta. Il periodo dello statuto comunale (siamo stati i primi ad averlo), recupero del centro storico, della 167, della prima zona artigianale, della zona Asi, del piano edilizia scolastica. Sono stati costruiti scuole, campi da tennis, palazzetto, stadio, piscina comunale, compiuta la metanizzazione della città, realizzati ben due depuratori e spesa la bellezza di 300 miliardi di lire in opere pubbliche. Molfetta poteva vantare una tradizione culturale grandiosa e avvenimenti politici di grande spessore come confermato dagli incarichi di prestigio ricoperti anche fuori dalla nostra città da politici come De Cosmo, Finocchiaro e Fiore”.

Poi il caos: “dopo i venti anni di seconda Repubblica la nostra città versa in una condizione di prostrazione assoluta. Non c'è proprio termine di paragone con il punto di partenza”.

Fortemente negativi i giudizi sulla classe politica emersa dopo tangentopoli: “Guglielmo Minervini è diventato sindaco nel 1994. Diceva di essere il nuovo, fuori dai partiti e invece diventerà segretario regionale della Margherita dopo che Tommaso Minervini lo aveva  rovesciato al Comune. Lancia la candidatura di Boccia alla carica di governatore della Regione nel 2005 e invece fa votare Nichi Vendola che lo premierà garantendoli un decennio da assessore. Nel 2006 quando dopo le primarie di coalizione sono stato candidato a sindaco, ha remato contro e favorito Antonio Azzollini che è diventato sindaco. E' un personaggio che i molfettesi amano molto poco: nel 2010 dopo cinque anni da assessore regionale è stato eletto consigliere solo dopo ripescaggio”.

Ma il vero disastro della politica molfettese, a parere di Di Gioia è Tommaso Minervini, alla cui politica, a suo parere, sono da attribuire anche le conseguenze dei disastri successivi dalla crescita politica di Azzollini agli scandali edilizi di Rocco Altomare a quello del porto.  Infatti “è con lui che sono iniziati i problemi: arriva il piano regolatore che poteva essere attuato e invece niente. Non un piano dei servizi, dell'Agro, della Zona Turistica. Nulla. Sulla questione porto ha gravi responsabilità: nel 2003 sono arrivati i primi soldi ed è stato lui a chiedere la delega alla Regione per gestire l'operazione. Progetto sgangherato: bisognava puntare su raddoppio lungomare e porto turistico”

Infine Antonio Azzollini: “sono stati gli anni del sindaco del week end e dell'illegalità diffusa. Esperienza tremenda per Molfetta”.

Le cose non sarebbero migliorate con l'avvento di Paola Natalicchio: “il primo anno bisogna dare il taglio di quello che l'amministrazione farà. Ma porto, microcriminalità, urbanistica attendono ancora delle risposte forti. La squadra poi è sbagliata: ruoli chiave affidati a gente come Giovanni Abbattista e Rosalba Gadaleta che sono reduci da una bocciatura elettorale severa. Inoltre Giovanni Abbattista avrebbe dovuto ritirarsi già da segretario del Pd per il conflitto d'interessi che lo lega a Rocco Altomare. E' stato imposto da Guglielmo Minervini. La giunta deve rispondere con decisione alle problematiche della città”.

A questo punto il direttore di “Quindici” Felice de Sanctis ha fatto notare la giovane età media della nuova giunta che forse dovrebbe indurre la cittadinanza a porsi in un atteggiamento di attesa costruttiva che garantirebbe serenità e nuovi margini di manovra all'amministrazione Natalicchio. Se si vuole il rinnovamento, insomma, occorre dare tempo anche ai nuovi amministratori di capire la macchina amministrativa, altrimenti teniamoci il vecchio fatto di gente esperta, ma non nuova.
Non di questo avviso il consigliere comunale del Pd Annalisa Altomare, presente in sala: “Non si può dire devo imparare, bisogna agire. Quando si amministra si amministra e tu sindaco ti devi prendere le responsabilità dell'operatività della squadra. Non può essere un alibi l'inesperienza. Bisogna costruire un modello più efficace, snello, che faccia capire alla gente che siamo diversi dal passato".

Di Gioia ha quindi concluso: “serve un mix tra esperienza e novità, altrimenti è solo nuovismo che non porta da nessuna parte. Dobbiamo ripensare amministrazione e giunta e irrobustirla con persone di livello, altrimenti non si va da nessuna parte”.

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Autore: Onofrio Bellifemine
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1°parte. - Al di fuori della politica l'uomo ha fatto miracoli: ha sfruttato il vento e l'energia, ha trasformato sassi pesanti in cattedrali, è riuscito a controllare e vincere quasi tutte le malattie, ha cominciato a penetrare i misteri del cosmo. “In tutte le altre scienze si sono registrate notevoli progressi” ebbe a dire una volta John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti “ma non in quella del governo, la cui prassi è rimasta immutata.” Esistono quattro tipi di malgoverno, spesso combinati fra loro: la tirannia, l'eccessiva ambizione, la inadeguatezza e la decadenza, e, infine, la follia o la perversità. Ma follia e perversità, potrebbe obiettare qualcuno, fanno parte della natura umana, e allora per quale ragione dovremmo aspettarci qualcosa di diverso dagli uomini di governo? La follia dei governi preoccupa perché si ripercuote con effetti più negativi su un maggior numero di persone; di qui l'obbligo per i reggitori di stati di agire più degli altri seconda ragione. Tutto ciò è risaputo da tempo immemorabile, e allora perché la nostra specie non ha pensato a prendere precauzioni e a cautelarsi? Qualche tentativo è stato fatto, a cominciare da Platone, che propose di creare una categoria di cittadini destinati a diventare professionisti della politica. Secondo lui la classe dominante, in una società giusta, doveva essere costituita da cittadini che avevano imparato l'arte di governare, e la sua soluzione, affascinante ma utopistica, erano i re filosofi: “Nelle nostre città i filosofi devono diventare re, oppure chi è già re deve dedicarsi alla ricerca della sapienza come un vero filosofo, in modo da far coesistere in una sola persona potere politico e vigore intellettuale.” Fino a quando ciò non fosse accaduto, riconosceva Platone, “le città e, io credo, l'intero genere umano non potranno considerarsi al riparo dai mali.” E' così è stato. (continua)
2°parte. - Il conte Axel Oxenstierna, cancelliere svedese durante la terribile Guerra dei Trent'anni, parlava con ampia cognizione di causa quando disse: “Renditi conto, figlio mio, che ben poco posto viene lasciato alla saggezza nel sistema con cui è retto il mondo.” Lord Acton, uomo politico inglese del secolo scorso, usava dire che il potere corrompe, e di ciò ormai, siamo perfettamente convinti. Meno consapevoli siamo del fatto che esso alimenta la follia, che la facoltà di comandare spesso ostacola e toglie lucidità alla facoltà di pensare. La perseveranza nell'errore, ecco dove sta il problema. I governanti giustificano con l'impossibilità di fare altrimenti decisioni infelici o sbagliate. Domanda: può un paese scongiurare una simile “stupidità difensiva” come la definì George Orwell, nel fare politica? Altra domanda, conseguente alla prima: è possibile insegnare il mestiere ai governanti? I burocrati sognano promozioni, i loro superiori vogliono un più vasto campo d'azione, i legislatori desiderano essere riconfermati nella carica. Sapendo che ambizione, corruzione e uso delle emozioni sono altrettanto forze di controllo, dovremmo forse, nella nostra ricerca di governanti migliori, sottoporre prima di tutto i candidati a un esame di carattere per controllarne il contenuto di coraggio morale, ovvero, per dirla con Montaigne, di “fermezza e coraggio, due virtù che non l'ambizione ma il discernimento e la ragione possono far germogliare in uno spirito equilibrato.” Forse per avere governi migliori bisogna creare una società dinamica invece che frastornata. Se John Adams aveva ragione, se veramente l'arte di governare “ha fatto pochissimi progressi rispetto a 3000 o 4000 anni fa” non possiamo aspettarci grandi miglioramenti. Possiamo soltanto tirare avanti alla men peggio, come abbiamo fatto finora, attraverso zone di luce vivida e di decadenza, di grandi tentativi e d'ombra. (fine)







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