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Molfetta, il Signor refuso episcopello
06 ottobre 2010

MOLFETTA - Come da richiesta di alcuni lettori ecco, in via di eccezione, l’editoriale del direttore Felice de Sanctis (foto), pubblicato sul numero della rivista mensile “Quindici” in edicola nel mese di luglio, per aprire anche un dibattito sul nostro forum.

Diventa sempre più diffusa la sensazione di vivere la fine di un’epoca, il tramonto di un’illusione durata 15 anni (per chi ci ha creduto) e, in realtà, più di vent’anni, comprendendo anche il periodo di Tangentopoli, con una rivoluzione mancata e uno Stato corrotto, decadente, furbo, perennemente in crisi, che ha perpetuato se stesso e ora sembra essere arrivato al capolinea per mancanza di risorse.

Non parliamo solo di risorse economiche, che pure sono deficitarie, ma di risorse umane che non siano i soliti imbonitori di turno, ma soprattutto di risorse morali, quando perfino la Chiesa, colpita da scandali e contraddizioni, ha difficoltà a parlare alla gente e soprattutto ad essere credibile, in una società del mordi e fuggi, dove l’alternativa è il sacrificio che non vuole più nessuno. Lo strapotere televisivo voluto e imposto al “popolo bue” incosciente e recettivo, senza più capacità di critica, ha avuto il suo “messia” in un cavaliere capace di mentire perfino a se stesso, riuscendo a trovare una vasta platea consenziente e plaudente per mero opportunismo.

Oggi ci ritroviamo pieni di incertezze, con famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese, mentre sono costrette a mantenere figli senza futuro, che perpetuano, per necessità, la dipendenza economica dai genitori, almeno fino a quando il risparmio non si esaurirà e finirà la grande illusione. Quel momento ognuno di noi lo avverte sempre più prossimo e non sa come reagire. Preferiamo non pensarci, sia per evitare di soffrire, sia per allontanare il dolore, sia perché non abbiamo una soluzione alternativa. Ma è giunto il momento di fare i conti col presente, soprattutto quando il grande imbonitore non riesce più a mentire, perché a corto di argomenti.

Consentiteci una parentesi letteraria, sempre attuale che, forse, può offrire un quadro più esaustivo del presente. Tra i romanzi storici che amiamo, un posto prioritario lo occupa sicuramente “I promessi sposi”, che tutti conosciamo, ma che forse, in pochi, hanno letto come metafora del tempo presente, rivelatore di uno spirito nazionale, di un costume italico, forse dell’unica vera identità nazionale che ci ha accomunato dal Seicento ad oggi.

Viviamo un’epoca caratterizzata dalla preponderanza del fattore economico che diventa “valore” nell’era della globalizzazione, generando individui isolati e incapaci di gestire la propria creatività. Oggi, complice la tv, si va avanti per modelli precostituiti e offerti come pacchetti già pronti al consumo di massa. Si tratta di modelli sociali senza regole o con regole già prestabilite, di comportamento di massa dove non è importante il contenuto, ma il contenitore. Insomma, l’apparire più che l’essere.

La politica nazionale si fa alle cene organizzate da giornalisti di regime, dove si decide del futuro dell’Italia, al di fuori del Parlamento, ormai ridotto a consorteria di servi, di finti laudatores di nuove libertà, che nascondono una reale sudditanza al feudatario di turno.

Non fa eccezione il consiglio comunale di Molfetta, dove è impossibile discutere, dove non è lecito opporsi al volere del sultano e dove va in scena l’ennesimo film di una messa celebrata dal sindaco dove tutti devono annuire in silenzio e nessuno deve interrompere questa celebrazione (blasfema) e chi si oppone è colpevole di sacrilegio, per aver osato contraddire il “Verbo” Azzollini che celebra se stesso e il suo potere. Dall’altro lato c’è un’opposizione timida che non riesce ad esprimere una critica costruttiva e decisa e quando lo fa, con una malcelata timidezza, offre il destro al sindaco celebrante, di aggredirli e insultarli. Il Pd è sempre alla ricerca di se stesso, incapace di rinnovarsi e trovare una classe dirigente alternativa, accontentandosi di perpetrare se stessa e i suoi dirigenti, con qualche nome nuovo, ma metodi antichi: il nuovo è più vecchio del vecchio, senza argomenti, senza una capacità progettuale, senza prospettiva politica.

Per non parlare di Rifondazione comunista, chiusa nei suoi dogmi, sconfitti dalla storia e ai quali si aggrappa per mancanza, anch’essa, di una classe dirigente efficace, invocando vecchie ideologie, dividendosi e frazionandosi a sua volta in modo includente, col risultato di dare l’impressione di non esistere se non su qualche manifesto di protesta e su qualche documento di condanna, lontano dalle esigenze delle masse, non più alla ricerca di valori sociali, ma economici. La coscienza di classe è stata sostituita da una coscienza economica, il proletariato come consumatore sognante. Avere l’ultimo modello di cellulare, in questa società edonistica, materialistica e superficiale, è diventato il nuovo diritto da difendere. Ecco che Rifondazione, anch’essa alla ricerca di un’eredità e di identità, combatte battaglie perdute contro un nemico inesistente, magari inventandosi un nuovo nemico, che serve solo ad illudersi di esistere, incapace com’è di parlare alla gente, ai lavoratori ormai delusi e disincantati perfino dal sindacato.

Intanto, per una sorta di legge del contrappasso, lo stesso sindaco, nel ruolo di senatore è costretto a recitare la parte dell’episcopello come relatore della Finanziaria, dove Tremonti gli impone la proposizione di emendamenti impresentabili (insufficienza dei 40 anni di contributi per la pensione, blocco delle tredicesime, tagli ai disabili). Così il senatore azzurro acquista indulgenze per il suo futuro politico quando non potrà più fare il sindaco, né il senatore, come prevede il regolamento del suo partito, dopo ben 17 anni di mandato parlamentare. Il “Signor refuso”, in pratica si prepara ad incassare il premio per il “gioco sporco” di cui si è fatto carico per il governo di Berlusconi.

L’episcopello era un’antica usanza medievale in occasioni religiose, ma che aveva un carattere profano e licenzioso. Lo sciocco del villaggio (o il bambino più ingenuo) veniva agghindato come un prete ridicolo (da qui il termine “episcopello”) e portato in processione fino al un luogo preposto per lo svolgimento di una messa blasfema. L’episcopello, esageratamente avvolto in stole clericali, recitava i passi della messa, ma lo faceva parodiando il vero testo, sostituendo i versi originali con altri blasfemi e stupidi. Poi, alla consacrazione dell’ostia, l’episcopello veniva obbligato a mangiare escrementi e a bere urina, tra le risate dei presenti.

Così Azzollini presenta emendamenti sui quali è destinato ad essere smentito e che saranno prontamente ritirati, dopo le proteste generali.

Rileggetevi le pagine dei Promessi Sposi durante queste vacanze, non vi sembreranno un romanzo storico ambientato nel ‘600, ma un saggio dei nostri giorni e provate a sostituire personaggi e situazioni del Manzoni per ritrovare casi di straordinaria attualità.

E, forse, vi verrà la voglia di reagire, superando stanchezze e disillusioni, speranze svanite di un possibile cambiamento. Noi come giornalisti stiamo sostenendo una battaglia contro la legge bavaglio, per continuare a informarvi raccontando quello che tutti non dicono e che i politici vorrebbero nascondere: scandali, corruzioni, tangenti, abusi di potere, conflitti di interesse ecc.

A Molfetta occorre pretendere che le sedute del consiglio comunale siano riprese con telecamere le immagini diffuse in diretta (come aveva promesso il presidente Nicola Camporeale). Quindici invita tutti, mass media e cittadini a fare pressione in tal senso: sarebbe il primo passo verso quella riscossa della società civile, per dare una spallata alla seconda repubblica che, in realtà, si è rivelata solo un prolungamento della prima anche peggiore. Quella riscossa che ci fece urlare un tempo, che sembra ormai lontano: “Restituire la città ai cittadini”.

E’ un nostro diritto, pretendiamolo!

 
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Autore: Felice de Sanctis
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Mi hanno chiamato e rispondo. Consideriamo la tecnica come uno strumento a disposizione dell'uomo, quando invece la tecnica oggi è il vero soggetto della storia, rispetto al quale l'uomo è ridotto a "funzionario" dei suoi apparati. Al loro interno, infatti, egli deve compiere quelle azioni descritte e prescritte che compongono il suo "mansionario", mentre la sua "persona" è messa tra parentesi a favore della funzionalità. Se dunque la tecnica è diventata il soggetto della storia e l'uomo il suo obbediente funzionario, l'"umanesimo", che come ci ricorda Heidegger, prevede la centralità dell'uomo, può considerarsi concluso, e le categorie umanistiche, che finora abbiamo adottato per leggere la storia, risultano inidonee a interpretare il tempo dischiuso dell'età della tecnica. A differenza dell'animale che, dal momento in cui nasce, sa tutto quello che deve fare fino al giorno della sua morte, l'uomo è un essere che per natura è così problematicamente dotato, da dover fare di una natura trasformata il punto di appoggio della sua propria, dubbia, capacità di vivere. La teoria per cui gli uomini non hanno istinti è enunciata per la prima volta da Platone nel "Protagora", dove racconta che Zeus incaricò Epimeteo di assegnare a tutti i viventi delle qualità, che erano le qualità instintuali. Giunto all'uomo, Epimeteo più non ne disponeva. Allora Zeus, impietositosi della sorte umana, incaricò Prometeo affinchè desse agli uomini la propria virtù: l'antiveggenza, il pre-vedere. Mentre gli animali mangiano quando hanno fame, l'uomo anche quando è sazio, provvede per il tempo in cui necessiterà di cibo. Questa è la virtù dell'uomo: la capacità di previsione. Dunque l'uomo nasce tecnico. Si potrebbe dire che il giorno in cui tra gli antropoidi si è manifestato per la prima volta un gesto tecnico, quel giorno è nato colui che oggi chiamiamo "uomo". (Tratto da: I miti del nostro tempo - U.Galimberti)







Direttore, per evitare fraintendimenti vorrei spiegare, la mia critica al suo editoriale, fuor di metafora ... e prendo spunto dalle discussioni, accese, del quotidiano on-line....sono stato, spesso, accusato di essere un pasradan, un invasato, un tifoso dellla peggior specie; chi mi lancia abitualmente queste accuse? ad es. due tipi che ostentano perbenismo e voglia di civile confronto, ma che poi su un articolo non piu' letto hanno risposto cosi' ad un mio post... FALKOROSSO D'APULIA|mercoledì 6 ott 2010 20:31:48 A Reggio Calabria, non corrono dietro i peperoni... e non c'é d salire o scendere da nessun carro... di frutta e verdura! Avanti con il cavallo di TROIE... hai esperienza in materia!...a stretto giro di posta risponde l' amichetto... ALBA TALBA|giovedì 7 ott 2010 16:09:10 Falko, apprezzo il Tuo riferimento al cavallo di...TROIE!... come notera' sono due post estremamente retrivi..lei dira': cosa c'entra con l' editoriale?...c'entra,aggiungo, perche' questa e' la societa' nella quale viviamo...tutti, a parole, vogliamo uscire da quest' epoca infima, da basso impero; si chiede a gran voce di abbassare i toni, ma alla prima occasione, quando gli occhi non vedono e le orecchie non odono, ci si comporta allo stesso modo, e forse peggio dei cuochi di bassa cucina che tanto si finge di detestare.Questo e' il male della nostra societa', l'ESSERE SUBDOLI, non esporsi mai. Da qui la mia metafora e la esortazione alla MENIS di Achille , alla PASSIONE, quella vera che non ama la finzione, vive con e per la lealta', non rifugge la verita' e vive pr la bellezza, che si preferisce morire, piuttosto che cedere al vile COMPROMESSO...ecco il motivo per cui insisto sulla riscoperta degli ideali, perche', direttore, un CAMBIAMENTO affinche' sia tale , ma soprattutto reale, occorre che sia corroborato da una spinta CULTURALE e rappresentato da UOMINI nei quali l'ESSERE e l' APPARIRE siano faccia della stessa medaglia!!!

SOFOCLE, nella sua tragedia parla di ULISSE-ODISSEO in questi termini: Filottete è stato abbandonato ( complice ULISSE), già da dieci anni, dai suoi compagni in viaggio per la guerra contro Troia, sull'isola di Lemno, a causa di una ferita infetta e puzzolente provocatagli da una vipera. Un oracolo, però, solo ora svela ai Greci che senza l'arco di Filottete Troia non cadrà mai. Questi incaricano allora ODISSEO ( ULISSE) e Neottolemo di andare sull'isola e recuperare ad ogni costo l'arco di Filottete. ODISSEO, che in questa tragedia è presentato come un EROE MESCHINO e CRUDELE, ha un piano diabolico: Neottolemo dovrà fingere di avere litigato con i capi greci e cercare di accattivarsi la fiducia di Filottete, facendosi consegnare l'arco, che altrimenti sarebbe stato preso con la forza da lui. L'inganno riesce, grazie anche alla comparsata di un marinaio greco che si finge mercante e annuncia l'arrivo di Odisseo, e Filottete consegna all'amico Neottolemo il suo arco, che a sua volta lo consegna ad Odisseo. All'ultimo momento, però, Neottolemo si pente e riprende l'arco ad Odisseo e lo riconsegna a Filottete. Odisseo si infuria e solo l'intervento di Eracle ex machina appiana i dissapori e convince Filottete ad imbarcarsi per Troia....in questa tragedia SOFOCLE elogia i " vecchi maestri" ( FILOTTETE), esponenti di un modo tradizionale di impartire l'educazione, criticando il potere usato arbitrariamente e contro i deboli come fa ULISSE. Mi sarei aspettato, nel leggere l'editoriale, il FILOTTETE, vecchio maestro, depositario dei "sacri insegnamenti" che impugna il suo arco e si dirige con fare sicuro verso Troia, invece l' EPISCOPELLO o peggio ancora, una RACCOLTA di FIRME proposta da un PAVIDO mi ricorda tanto ULISSE...l' OULOMENOS...il ventre!!!

Per donald duck. La ringrazio per la raffica di quesiti che pone. Nelle piazze menzionate in questo momento due alberi e due panchine ci sono, non sarà il verde del Hyde Park ma domani forse ritorneremo al mercato tipo kabul. Lei intende votare e quindi mantenere i vari, rimanendo a livello locale, Azzollini, Vendola, Minervini che da oltre un ventennio “curano” la nostra città con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti o non è forse meglio dire a codesti signori basta? Il messaggio che il movimento vuole dare a tutti i cittadini è quello di riappropriarsi del proprio vivere civile dove in un dibattito, nel contraddittorio, quando si fanno delle proposte ognuno vale uno. Oggi questo non avviene più, i parlamentari vengono decisi a tavolino da quattro segretari di partito, la legge non è più uguale per tutti, l'etica morale non esiste più perché tutto è lecito. Il programma lo può trovare e scaricare sul blog beppegrillo.it. Coloro che sono stati eletti nei consigli comunali e regionali sono cittadini comuni che con spirito civico, senza emolumenti statali e vari benefit, ma armati solo di idee e voglia di migliorare il nostro vivere quotidiano, impugnano una videocamera, filmano le riunioni di commissione e consiglio, e poi li mettono in rete cosi tutti sanno e sono partecipi di quello che succede nel loro comune o nella loro regione. Sfido qualsiasi consigliere comunale del nostro comune a fare una cosa simile. Spero che queste risposte, anche se molto sintetiche, abbiano chiarito a Lei e altri quali sono gli scopi del movimento.

Odisseo-Ulisse possiede tutti i requisiti per rappresentare il mito della modernità, le contraddizioni e le lacerazioni della modernità, l'intelligenza, l'attenzione alle cause e agli effetti che ne derivano, la razionalità dei moderni e le loro passioni, la loro volontà di potenza integrata dalla tolleranza ed evocata dal Romantik. Il vecchio Omero ci ha consegnato l'abbozzo del mito. Dante l'ha portato a compimento, accentuando l'impronta di "virtute e canoscenza", sottolineando il viaggio come condizione umana e sottacendo invece la vocazione del ritorno. Dante sfuma molto il tema del ritorno nel suo canto dedicato a Ulisse; salta Calipso, salta i Feaci. Il racconto che gli fa "la fiamma cornuta" dal girone dell'Inferno punta solo sul viaggio: è quello il valore che Ulisse porta con sè. Circe la maga, Calipso l'innamorata, Nausicaa la vergine palpitante: le tentazioni della vita. Ma i pensieri di Odisseo sono altrove: Itaca è prossima e la sua mente e il suo cuore sono dominati dall'amore per il figlio che lasciò bambino e per Penelope, se ancora lo vorrà dopo vent'anni d'abbandono. Ora Odisseo non è più soltanto un eroe, ma un padre, un marito e un re che torna per governare la sua gente. Penelope è un faro che dall'inizio alla fine indica al navigante la via del ritorno. Un faro immobile ma sempre acceso: questo è il suo compito e non altro. Odisseo la sa e per questo rifiuta l'offerta di immortalità. Sa anche che il viaggio è il suo destino e il ritorno la sua meta. La potenza non tollera attributi, neppure quello dell'intelligenza. Perciò nasce Atena dalla testa del padre, la dea che presiede alla convivenza, alla polis, alla volontà responsabile, alla destrezza, al controllo e all'uso efficace della saggezza. Atena ha un compito: indicare all'uomo i suoi limiti affinchè non perda il controllo di sè e sia consapevole che quando la sua libera volontà decidesse di superare quei limiti, a quel punto avrà termine la sua umana avventura. ( P.A.M.A-E.Scalfari)
Ho avuto modo di apprezzare questo splendido editoriale, Caro Direttore, mi preme però stigmatizzare alla mia maniera, gli scritti di un invasato pasdaran della kasta processionaria, intellettualoide da strapazzo che sproloquia su tutto e tutti dando la possibilità a tutti noi di "apprezzare al meglio", il suo folle orgiastico e degenerativo profluvio verboso. Chi è l'intellettualoide? L'intellettualoide sarebbe la versione trash dell'intellettuale, e cioè la banalizzazione e volgarizzazione di un ruolo dapprima riservato a pochi eletti e ora diventato di massa, l'intellettuale prét à porter di kasta borghese e sinistroide, in grado di mettere insieme bei discorsi vuoti farciti di frasi fatte e parole difficili, di esprimere pareri su tutto e su tutti, nel pieno della esaltazione di se stesso, magnificando sino alla paranoia la kasta cui appartiene. Egli sarebbe così una specie di intermediario culturale da strapazzo, una sorta di suppletivo della cosa scritta, cui non serve del vero talento o della creatività, gli basta solo un po' di competenza e di abilità, un bell'eloquio e un po' di cultura classica sciorinata a piè sospinto anche nell'atto d'estrema liberazione corporale di corpo solido e d'angosciante durezza! Anche lì, non si risparmia e soffre! Nuota così nella logorrea, nel mainstream, collocando al centro dell'attualità la sua pervesione, a lunghezza d'onda dell'ideologia dominante, sapendo che la parola è più importante del pensiero, che l'opinione pubblica è più importante delle idee, che il paratesto è più importante del testo. Gli basta all'invasato imparare a dissimulare e a guardarsi bene dall'utilizzare l'unica vera e propria arma dell'intellettuale e cioè la critica, a servirsi abilmente di termini e concetti magniloquenti per legittimare di fatto lo status quo.



Parte 1. - Personalmente ringrazio il Direttore dott. de Sanctis per questa splendida ripetizione dell'editoriale di luglio che ha coinvolto i lettori, appassionati di “Quindici” e non. Ci sarebbe molto da discutere, avanzare varie ipotesi ma, Il limite dei 2000 caratteri – a volte – , limita le appassionate repliche a volte condivise, altre no. “Ci piacerebbe credere che sia l'amore a determinare il nostro destino, o che i vari fattori formativi che dirigono la nostra vita siano i grandi sogni e le passioni dell'anima o i progressi delle scienze tecnologiche. Invece, nel vivere reale, solo le idee del business sono di fatto sempre presenti, dalla soglia di casa alla scrivania in ufficio, dall'alba al crepuscolo. E fra le idee del business, il potere la fa da padrone. Il potere non si presenta mai come tale, ma indossa sempre i panni del prestigio, dell'ambizione, dell'ascendente, del carisma, della decisione, del veto, del controllo, e dietro queste maschere non è facile riconoscere le due leve su cui si fonda: il controllo assoluto delle nostre condizioni di vita e la massima efficienza delle prestazioni che ci sono richieste. Il mito dell'efficienza, che molti sembrano condividere applaudendo i leader politici che promettono di garantirla, fu sperimentato su larga scala come macchina di potere nei lager nazisti, dove il problema era di “sistemare” in ventiquattrore i convogli dei deportati che quotidianamente arrivavano. Celandosi dietro la maschera dell'efficienza, il potere ottiene da un alto l”ubbidienza dei subordinati”, inducendo in loro un pensiero a breve scadenza, per cui non si guarda più intorno e in avanti e a lungo termine sui valori di fondo della vita con conseguente atrofizzazione dei sentimenti, e dall'altro lato quella “diffusa insensatezza per cui i “fini” raggiunti diventano “mezzi” per fini ulteriori, dove il semplice “fare” trova la sua giustificazione indipendentemente da ciò che si fa.” (continua 2 )

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