MOLFETTA - Nulla di nuovo rispetto all’ultimo comunicato. La conferenza stampa sull’assoluzione dei quattro carabinieri, accusati di favoreggiamento nell’omicidio Bufi, ha confermato quanto già pubblicato da Quindici. Presenti nello studio degli avvocati Ragno - de Cosmo l’avv. Giacomo Ragno, il maresciallo Antonio Rosato e i luogotenenti Vito Lovino e Luigi Policastri, ora in pensione (foto). Assente, invece, Pietro Rajola Pescarini.
«Un processo grossissimo, enorme, in cui sono citate una quantità indescrivibile di testimoni e prove non tutte necessarie per l’accertamento della verità», ha esordito l’avvocato Ragno: un processo «Bindi-bis», cioè «attraverso un’indagine condotta su chi aveva eseguito nel 1992 le indagini, si voleva risolvere il caso». Questo il problema del processo, secondo l’avvocato. Intanto, «cercheremo di restituire la dignità, l’onore, la professionalità che questi militari (i quattro carabinieri assolti, ndr) hanno perso nel tempo, durante il periodo buio delle indagini».
È stato un processo anche «nei confronti di tutta la compagnia dei carabinieri di Molfetta, le cui utenze telefoniche sono state intercettate per lungo tempo - ha spiegato - queste stesse intercettazioni non hanno fatto altro che avvalorare la tesi difensiva, perché nelle sentenze di merito alcune intercettazioni sono portate come esempio per escluderne la responsabilità dei quattro carabinieri». Inoltre, «se si dovessero guardare con la lente d’ingrandimento tutte le indagini a distanza di 20 anni - rapida considerazione dell’avvocato - forse qualcuno riuscirebbe a trovare un po’ di sciatteria investigativa».
«Non abbiamo mai o quasi mai rilasciato dichiarazioni, non abbiamo mai commentato lo stillicidio processuale cui siamo stati sottoposti, affrontando con la dignità derivante dalla consapevolezza dell’innocenza e con la fiducia nella giustizia - si legge nel comunicato consegnato alla stampa - ci siamo accontentati, dopo la sentenza di secondo grado, di un trafiletto di poche righe che riportava la sentenza assolutoria. Abbiamo osservato il silenzio, nonostante fossimo stati imputati di reati gravissimi e infamanti, nonostante il clamore mediatico abbia distrutto le coscienze, le famiglie, la rispettabilità, le carriere, in una parola la vita di ognuno di noi».
All’indomani dell’assoluzione in Corte di Cassazione, il
19 gennaio scorso, i quattro carabinieri coinvolti nella vicenda «
stanno valutando di intraprendere eventualmente la strada della legge Pinto, che consente di essere risarciti in caso di lungaggine del processo - ha aggiunto l’avvocato Ragno -
protrattosi così a lungo per la mole dell’istruttori probatoria che la pubblica accusa ha inteso provare per dei fatti che potevano essere accertati in tempo minore». Decisione che sarà presa dopo la valutazione degli atti.
La stampa avrebbe voluto sapere contro chi sarebbero state assunte le «eventuali determinazioni del caso». Così non è stato, anche se nel comunicato stampa si evidenzia come il processo penale sia entrato «abusivamente» nella vita dei quattro carabinieri, «offerta in pasto a coloro che, ignari dei reali accadimenti, erano condotti per mano a attuarne la completa distruzione». Del resto, «dopo la sentenza di primo grado, il P.G. e la parte civile insistevano nelle loro richieste punitive - si legge nel comunicato - perché venisse affermata la prescrizione dei reati».
Intervenuto in coda alla conferenza anche Vito Lovino, maresciallo e comandante della stazione dei carabinieri nel 1992, che ha ribadito l’essere stato chiamato in causa a distanza di 10 anni dall’omicidio, «accusato di falso nella redazione del verbale della perquisizione, nemmeno firmato - postilla dell’avvocato Ragno - perquisizione cui lo stesso non aveva partecipato».
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