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Molfetta: dopo la riesumazione della Dc, arrivano i “vertici”. Ma tutto sa di vecchio per sostenere Azzollini
28 febbraio 2012

MOLFETTA – Le elezioni amministrative sono lontane, ma a Molfetta si comincia a preparare il terreno per uno scontro elettorale che si prevede acceso, sia per le divisioni all’interno del Pdl, dove è cominciata la resa dei conti con il sindaco-senatore Antonio Azzollini, sia per i contrasti nel centrosinistra, dove la tentazione di intercettare personaggi (e voti) del centrodestra, è sempre forte.

Azzollini dal canto suo punta a moltiplicare le liste e fra queste c’è quella della riesumata Democrazia Cristiana che annuncia di aver aperto una sede e di aver “nominato” i vertici, come è detto nel comunicato stampa che segue.
In realtà, dietro questi nomi stanno alcuni esponenti dell’attuale maggioranza di centrodestra, fedelissimi del sindaco, al quale devono molto. Due nomi per tutti: Mimmo Corrieri e Mariano Caputo (e sembra anche l’assessore Enzo Spadavecchia) che faranno da portatori d’acqua al senatore e oggi rispolverano il simbolo dello scudo crociato, facendo credere in una novità che non c’è, appellandosi ai nostalgici, proclamando di voler formulare una proposta programmatica per i prossimi anni (sic!). E poi, dulcis in fundo, continuare nello sviluppo della città avviato in questi anni (calcolando il degrado in cui è stata precipitata Molfetta, c’è da stare freschi). Forse, prima di lanciarsi in quest’avventura, i novelli democristiani dovrebbero andare a rileggersi la storia del passato, nel bene e nel male della Dc a Molfetta.
Insomma, nessuna novità, al di là di un freddo comunicato che annuncia i primi passi dell’infante…
Ecco il comunicato:
«Muove i primi passi a Molfetta il Partito della Democrazia Cristiana – annuncia un comunicato  del Coordinamento politico -. Mentre prosegue la campagna adesioni (per informazioni: democraziacristiana.2011@virgilio.it), si è costituita la segreteria politica cittadina della Dc molfettese. Ai vertici dello scudo crociato di Molfetta sono stati nominati Andrea Degennaro, Cosimo Pappagallo e Raffaele Salvemini. La sede provvisoria del partito è in via Carlo Alberto 48 a Molfetta.
Messo a punto l’organigramma, la Democrazia Cristiana di Molfetta si prepara a formulare una proposta programmatica per la crescita socio-economica di Molfetta. A tal proposito, sono in rampa di lancio gli incontri monotematici per la stesura di un programma amministrativo da sviluppare nel prossimo quinquennio.
Tutti coloro che intendono collaborare  ad una idea di politica sviluppata come progetto d’ascolto delle esigenze della propria città e per dare contributi concreti ai processi di risanamento avviati e da avviare nei settori dello sviluppo socio-culturale, della crescita economica e dell’ambiente possono ritrovarsi sotto lo stesso storico simbolo della Democrazia Cristiana».
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I sistemi e le strategie sono sempre quelle. - Exodus|mercoledì 29 feb 2012 08:12:44 L'educazione dei giovani è sempre stata prioritaria per qualsiasi forza di potere – Il futuro è nei fanciulli? - Uno sguardo alla Storia. Subito dopo la firma dei Patti Lateranensi, Stato e Chiesa si scontrano sul problema dell'educazione dei giovani. Ha la meglio il regime, ma L'Azione cattolica intanto prepara la futura classe dirigente della Democrazia Cristiana. La tavola da gioco a cui il duce si riferiva in quel momento era soprattutto quella dei giovani e della loro educazione, settore nel quale il fascismo soffriva la concorrenza dell'Azione Cattolica e della sua rete organizzativa. Mussolini era stato esplicito e minaccioso: “In questo campo siamo intrattabili. Nostro deve essere l'insegnamento. Questi fanciulli debbono essere educati nella fede religiosa, ma noi abbiamo bisogno di integrare questa educazione, abbiamo bisogno di dare a questi giovani il senso della virilità, della potenza, della conquista; soprattutto, abbiamo bisogno di ispirare loro la nostra fede e accenderli delle nostre speranze”. Perché una predica così a muso duro? La firma dei Patti Lateranensi, con quell'articolo 43 del Concordato che legittimava, seppure con molti vincoli, l'operazione dell'Azione Cattolica, aveva dato ossigeno all'associazionismo cattolico, tanto che Mussolini aveva ordinato telegraficamente a qualche prefetto: “Non basta sorvegliare: Bisogna ostacolare nella maniera più rigorosa questa ripresa”. Dietro alle organizzazioni, ai gruppi, alle attività dell'Azione Cattolica, che aveva invitato i suoi iscritti a votare “si” al plebiscito del 24 marzo 1929, il fascismo intuiva l'esistenza di legami con il disciolto Partito Popolare, un far politica e fronda. In sé quel movimento, che solo di facciata aveva finalità esclusivamente religiose, metteva a repentaglio la pretesa mussoliniana di un totale monopolio nella formazione civica, fascista delle nuove generazioni e poteva trasformarsi in un'incubatrice di non allineati, di potenziali avversari. E fu così, se si pensa che proprio dalle file dell'apostolato laico, dell'Azione Cattolica, della Gioventù Cattolica, dei Laureati Cattolici, della FUCI, la Democrazia Cristiana ha tratto i suoi quadri e il suo stato maggiore. Le squadracce dei ras di provincia cominciarono ad assediare di minacce i dirigenti e gli iscritti del laicato cattolico. C'era aria di tempesta e, nell'omelia natalizia, Pio XI, sempre senza inasprire i toni, prese posizione, difendendo l'Azione Cattolica dall'accusa di far politica. Papa Ratti non aveva nessuna intenzione di rassegnarsi. Il 31 dicembre, una sua enciclica, “Rappresentanti in terra” (Divini illius magistri), affrontò, senza mezzi termini né prudenza, il tema della “cristiana educazione”. Vi si ribadiva la necessità di un primato della Chiesa nella formazione morale della gioventù, il compito della Chiesa di vigilare su tutta l'educazione dei fedeli, l'illegittimità di ogni monopolio statale in questo campo, i dubbi su un' educazione fisica di tipo militaristico, la condanna delle scuole miste e della scuola laica………………..Poi la Storia fece il suo corso, tracciata dagli uomini, i soli ed unici responsabili. - Non è una lezione politica, bensì una rilettura storica. (non me ne vogliano "Q" e "Exodus") -

La Democrazia Cristiana non fu mai la continuità del Partito Popolare, il partito di don Sturzo.- Il 16 novembre del 1919, gli Italiani furono chiamati alle urne: Contro ogni previsione, i “popolari” adottarono una tattica intransigente, cioè parteciparono alla competizione elettorale con lista propria, senza allearsi con altri partiti. Su 410 candidati, riuscirono a mandarne a Montecitorio ben 101; e presero 1.176.473 voti di lista. Soltanto i socialisti fecero meglio, con 156 deputati e 1.835.000 voti. Un risultato rivoluzionario. L'insperato successo diede la carica ai seguaci di don Sturzo, che si presentarono in Parlamento agguerritissimi, attirandosi la simpatia dell'opinione pubblica. Nel giro di qualche mese, gli iscritti salirono a 255.000 e le sezioni divennero 3.173. Forte di questo seguito, il sacerdote di Caltagirone si permise di attaccare Giolitti, definendolo un pessimo presidente del Consiglio. Anche il futuro “duce” incominciò a temere il piccolo prete. Preoccupato per il grande seguito che il prete siciliano andava raccogliendo, Mussolini volle incontrarsi con lui per studiare la possibilità di un accordo. Il colloquio si svolse in un istituto di frati. “Perché mi avversate con tanta tenacia?” chi8ese il futuro duce. “Perché avete adottato il metodo della violenza che io, come sacerdote e come uomo, non posso approvare”, rispose don Sturzo “oltretutto non abbiamo nessuna opinione in comune”. “Allora è inutile che continuiamo il discorso”, sbottò secco Mussolini. “ E ciò che penso anch'io”, commentò seraficamente Luigi Sturzo. In seguito Mussolini disse di don Sturzo: “Quel pretazz mi è antipatico perché parla sempre di libertà e democrazia. In futuro dovrà restare in sacrestia; non è ammissibile che trascini le sue sottane nelle anticamere ministeriali mettendo il naso dove non dovrebbe”. Malgrado queste polemiche, però, il duce non esitò a chiamarlo quando formò il suo primo governo. Don Sturzo, ovviamente, rifiutò la proposta. Infuriato, Mussolini, chiese la testa del sacerdote e autorizzò gli squadristi a dare il via a una nuova stagione di violenza. Don Sturzo fu invitato dal Vaticano a farsi da parte, poiché la sua presenza avrebbe potuto attirare rappresaglie fasciste su tutto il clero italiano. Il primo agosto del 1923, il Gran Consiglio incitò la popolazione a “vigilare e a considerare questo torbido e imbelle prete siciliano e il suo partito nemici del governo e del fascismo”. Preoccupato per la sua sorte, e anche per non guastare troppo i rapporti tra vaticano e Mussolini, don Sturzo si fece da parte affidando il Partito a De Gasperi, e il cardinale segretario di Stato, Gasparri, gli chiese di abbandonare l'Italia. La partenza fu fissata per il 25 ottobre, tre giorni prima dell'anniversario della “marcia su Roma”. Don Sturzo lasciò l'Italia diretto a Londra, con passaporto della Santa Sede. Nel 1940 si trasferì a New York, continuando la lotta e appoggiando la Resistenza. Si manteneva accettando i lavori più umili. Ritornò in Italia sbarcando a Napoli il 6 settembre del 1946 e si ritirò a vivere in un convento della capitale, dalle suore canossiane di Via Mondovì, stanco e malato. Nel 1952, il Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, lo nominò senatore a vita. Una mattina d'estate del 1959, mentre stava celebrando messa in convento, fu colpito da collasso cardiaco. Morì alle 16.45 di sabato 8 agosto 1959. Don Luigi Sturzo, il patriarca della Democrazia Cristiana, anche questa non è mai stata la continuità del Partito Popolare: il partito di DON STURZO.

Don Luigi Sturzo, il sacerdote siciliano che Giolitti definiva sprezzantemente “l'intrigante pretino”, varcò la soglia della sua camera, al secondo piano dell'albergo Santa Chiara, nel cuore della Roma papalina. Erano le 5 del pomeriggio del 17 gennaio 1919. Dal basso giungevano attutite le voci di alcuni seminaristi che stavano giocando a palla in cortile. Il religioso restò ad ascoltarle, soprappensiero, per qualche secondo. Poi, malgrado il feroce mal di testa che lo affliggeva, prese carta, penna e calamaio e si sedette allo scrittoio. Due ore dopo, aveva davanti a sé cinque fogli fitti fitti, riempiti con una calligrafia sottile: la bozza del discorso che avrebbe letto, l'indomani, per comunicare alla stampa la sua intenzione di dar vita al Partito Popolare Italiano, il movimento politico cattolico dalle cui ceneri, 24 anni dopo, sarebbe nata la Democrazia Cristiana. Il documento si concludeva con un appello indirizzato “a tutti gli uomini liberi e forti”; uomini che don Sturzo invitava a unirsi a lui per contribuire concretamente alla ricostruzione morale del Paese, provato da una guerra vittoriosa, ma luttuosissima. I giornali pubblicarono la notizia senza darle troppo risalto, ma, evidentemente, il sacerdote aveva saputo suonare” le note giuste, perché, di lì a cinque mesi, il suo partito era già in grado di fare la prima sortita ufficiale, coronando un sogno cominciato molti anni prima. Per l'esattezza nel 1895, anno in cui il giovane sacerdote lasciò Roma, dove aveva frequentato la Pontificia Università Gregoriana addottorandosi in teologia, per ritornare nella natia Caltanisetta. Qui don Sturzo, che apparteneva a una famiglia dell'aristocrazia siciliana, si mise subito a mostrare le sue idee anticonformiste. Divenne un efficiente organizzatore della resistenza e degli scioperi contadini, e cominciò a predicare contro lo statalismo e il malcostume politico che imperavano in Italia. Un'attività che, ben presto, lo avrebbe portato davanti al pretore di Militello con l'accusa di essere “un pericoloso sovversivo”. La Democrazia Cristiana non fu mai la continuità del Partito Popolare, il partito di don Sturzo. - L'accusa che si rivolgeva a don Sturzo, era quella di non aver cercato di differenziare il suo partito dagli altri gruppi politici in modo dichiaratamente cattolico e di aver relegato soltanto all'ottavo punto del programma la questione della libertà e dell'indipendenza della Chiesa. Al primo congresso che si svolse al teatro Comunale di Bologna, dal 14 al 16 giugno del 1919, don Sturzo affidò l'apertura ad Alcide De Gasperi, giunto in rappresentanza del “Trentino riunito all'Italia”. Poi partì all'attacco, com'era suo costume, prendendo di petto proprio i “confessionalisti” che lo avevano criticato. “ E' superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico”, esordì con voce tonante. “I due termini sono antitetici: il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dal principio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, e abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito, che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione………..” Dopo aver sgominato il campo da ogni possibile malinteso, don Sturzo si scagliò contro alcuni esponenti della corrente di sinistra, capeggiati da Guido Miglioli, che miravano alla costituzione di un movimento di classe. “Noi saremo interclassisti” – sentenziò, “perché la società è formata di classi differenti”. - Ci sarebbe ancora tanto da scrivere e da dire, dicci…………..


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