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Molfetta, al Rotary si parla di olivicoltura pugliese tra innovazione e problemi economici
Tentenna il settore pugliese, nonostante i finanziamenti europei. Gli imprenditori agricoli non hanno un reddito sufficiente a coprire i sempre più elevati i costi di produzione e di manodopera. Olivicoltura superintensiva, la possibile soluzione
05 aprile 2011
MOLFETTA
- Non è affatto rosea la situazione dell’olivicoltura italiana e soprattutto pugliese, situazione problematica emersa dalla conferenza «
L’olivicoltura pugliese tra valorizzazione e innovazione
», organizzata dal
Rotary Club
di Molfetta. Secondo il dott.
Pietro Preziosa
, agronomo e rotariano, sebbene la Puglia conti oltre 30mila ettari di olivo, spesso l’imprenditore agricolo non riesce a raggiungere un reddito sufficiente per ricoprire i costi di produzione. «
Ma è tutta l’olivicoltura italiana che non sta bene, non solo quella pugliese
», ha aggiunto il dott.
Angelo Godini
, docente di coltivazioni arboree all’Università degli Studi di Bari, introdotto dal presidente del Club di Molfetta
Pietro Facchini
(nella foto da sinistra: Godini, Camposeo, Facchini, Preziosa, la segretaria del Club Petruzzella).
L’Italia ha una superficie di circa 1milione di oliveti con una produzione media di olive di circa 3t/ha e una produzione media di olio di circa 0,6t/ha, i dati forniti dal prof. Godini. La produzione totale pugliese è di circa 215mila ton di olio, il cui 60% è olio extravergine di oliva. Il prof. Godini ha anche chiarito che, mentre l’olio extravergine di nicchia riesce a essere commercializzato e venduto a prezzi notevoli, l’olio extravergine di massa non è molto apprezzato sul mercato e chi lo produce si trova in difficoltà.
La CEE, accortasi delle difficoltà nella produzione di olio d’oliva, ha finanziato i produttori con dei sussidi economici (la Puglia ha ricevuto circa 280mila euro), ma la situazione rimane ancora precaria. Sui costi di produzione incide molto la manodopera: «
mentre il lavoro in Puglia è retribuito a circa 8 euro all’ora, in Marocco e in Tunisia viene retribuito a circa 60 centesimi all’ora
- ha spiegato il prof. Godini -
questo ci costringe ad importare l’olio da questi paesi
». Per risollevare le sorti dell’olivicoltura, secondo il prof. Godini, una soluzione può essere individuata nell’olivicoltura superintensiva, capace di apportare numerosi vantaggi: si riducono i costi di raccolta, si migliora la qualità dell’olio, si aumenta la produttività.
Il primo impianto di olivicoltura superintensiva è stato realizzato in Spagna, mentre, come ha spiegato il dott.
Salvatore Camposeo
, ricercatore di coltivazioni arboree all’Università degli Studi di Bari, l’Italia e la Puglia mostrano ancora una grande inerzia di fronte a questa innovazione in grado di produrre numerosi miglioramenti.
Innanzitutto, si tratta d’impianti a basso impatto ambientale dal punto di vista ecologico: la difesa fitosanitaria si realizza con circa 23 insetticidi e 2 fungicidi, mentre la raccolta viene effettuata “
in continuo
” con macchine estremamente delicate nei confronti dei rami e dei frutti. Si riducono, infine, i costi della manodopera, dato che è richiesto il lavoro di soli due operai per guidare la macchine. Considerati tutti questi vantaggi, l’olivicoltura superintensiva può essere considerata un’opportunità da seguire per cercare di risolvere i gravi problemi dell’olivicoltura nostrana.
© Riproduzione riservata
Autore:
Loredana Spadavecchia
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