Lumen, Verbum et Caro
La croce è lì, splendente, nella Basilica di S. Apollinare in Classe. Il catino absidale l’accoglie, fulgida, per dichiarare la meta del pellegrinaggio terreno: l’uomo cammina verso l’Oriente, verso la luce che si manifesta cromata dal dolore redento dal Cristo. La croce gemmata – gemme, come avvertono i Padri della Chiesa, non preziose per il loro vile valore economico, ma per i colori che riverberano – trionfa nel cerchio, figura geometrica appartenente al divino, secondo quanto vuole la letteratura antica, circondata da novantanove stelle. Ne manca una, la centesima: l’umanità. La redenzione è il recupero dell’ultimo aster, dell’ultima stella che deve brillare intorno alla Croce Vittoria. Il paradiso è in attesa dell’asterisco: lo splendore che ogni creatura redenta porta con sé, a motivo della Luce, fatta carne, divenuta colore-dolore, ritornata nella luminosità del Padre. Secondo la poetica di Dante, la luce è, nello stesso tempo, la porta e la meta dell’uomo, l’inizio della redenzione e il riposo nel gaudio. L’immagine ravennate non si esaurisce nella Croce, luce e colore, vittoria e trionfo. I1 trofeo appartiene all’episodio epifanico della Trasfigurazione, dove le vesti del Cristo, secondo il racconto dell’Evangelista, si fecero fulgide, bianchissime, candide come la neve e il volto si illuminò di luce indicibile. Quella luce, che ha il sapore immateriale dell’eternità nel gaudio, del benessere dello spirito, che respira primavera e profumo di fiori di prato. Apollinare celebra la croce che trasfigura, vestito con la casula, cosparsa di api. L’ape, unita al pastorale, è il geroglifico egiziano per indicare il faraone e dichiara le virtù del capo, di colui il quale opera per il popolo con laboriosità, con dolcezza, con il brusio parola, come il piccolo volatile. In Egitto, la parola faraone, si scrive anche con il segno della casa, perché l’edificio preparato dal padre significa protezione, vita ordinata, armonia di ruoli, pace. Anche Gesù farà riferimento alla casa: ‘’Nella Casa di mio Padre ci sono molte dimore... io vado a preparare un posto per voi” (Gv. 14,2). Il mosaico ravennate, che costituisce un potente volume figurativo della gnosi teologica cristiana, è per Dante un luogo di luce paradisiaca. Le porte del paradiso sono prive di materia. Penetrarle è un problema di trasfigurazione dello spirito. Solo la lievità dell’animo purificato, può varcare la barriera immateriale. L’animo è purifìcabile soltanto attraverso la libertà, fondamento delle dottrine morali: “Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando, e a la sua bontate più conformato, e quel ch’è più apprezza, fu de la volontà la libertate; di che le creature intelligenti, e tutte e sole, fuoro e son dotate.” (Par. V, 19-24). La libera volontà è un dono, il maggiore, elargito da Dio all’uomo e che nessun umano, neppure in nome del religioso, può avocare a sé. La libertà, l’esprimersi nell’essere luminoso, è partecipazione attiva alla luce in creatività. Luce che, per dono dall’alto, è intuizione del mistero di Cristo, vero Uomo e vero Dio: “… la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne” (Par. XXXIII, 140-141). Mente folgorata che, nella quotidianità dell’artista si traduce in mani luminose che creano. La materia viaggia dall’oscurità alla luce dell’uomo, in una redenzione che canta le meraviglie del divino. Creazione d’arte è sinonimo di vita (luce) per la materia, che respira salvezza e passaggio. La porta materica, in natura buia e pesante, si trasfigura in luce innovativa. Le tante opere d’arte, presenti alla Biennale, in nome di una emozione entrata nel bronzo, stanno a significare che la luce investe l’universo umano. Gli artisti vengono dalle più disparate geografie della terra e ognuno porta un timbro cromatico della lux che investe l’umanità. Il bronzo è la materia prescelta ad essere illuminata, per cantare la luce solare del Cristo, che accende della sua chiarezza le anime, come il sole accende le stelle. Cristo, il Verbo di Dio, è la porta. Lumen, Verbum et Caro sono il discendere metafisico e storico per l’ingresso. Le opere pervenute sono varie per il linguaggio stilistico e le capacità espressive, ma tutte intendono narrare la visione dello sguardo purificato: “e Beatrice disse: “Ecco le schiere del trïunfo di Cristo e tutto ‘l frutto ricolto del girar di queste spere!” ... Quale ne’ plenïlunii sereni Trïvia ride tra le ninfe etterne che dipingon lo ciel per tutti i seni, vid’ i’ sopra migliaia di lucerne un sol che tutte quante l’accendea, come fa ‘l nostro le viste superne; e per la viva luce trasparea la lucente sustanza tanto chiara nel viso mio, che non la sostenea” (Par. XXIII, 19-21; 25-33). Il Cristo Sole, la Porta di accesso al gaudio eterno, la Luce immateriale, che irrompendo inonda, porta alla contemplazione creativa, dove l’animo umano, gemendo, partorisce la vita.