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Le lettere di San Paolo concludono la Settimana biblica a Molfetta
20 febbraio 2009

MOLFETTA - La personalità di San Paolo si completa nelle Lettere Pastorali (Prima e Seconda lettera a Timoteo, Lettera a Tito), dense di messaggi per la formazione cristiana dei pastori (i ministri), che devono essere i primi educatori della comunità. A conclusione della Settimana Biblica, il quarto incontro “La Chiesa, istituzione educativa della grazia, nelle Lettere Pastorali”, ha tracciato, come ha affermato il vescovo Mons. Luigi Martella, “le nozioni che oggi Paolo consegna alla comunità dei cristiani”, le quali sono state illustrate dalla dott.ssa Rosalba Manes (nella foto), biblista e docente di Sacra Scrittura dell'Istituto Superiore di Scienza Religiose “Ecclesia Mater” di Roma. La Parola di Dio è il luogo per ripensare il senso profondo dell'educare, ma “è la Chiesa - sottolinea in modo pacato la dott.ssa Manes – sorretta dallo Spirito Santo, che deve continuare l'educazione del fedele ad imitazione di Cristo-maestro”. Questo giustifica l'attenzione che nelle Lettere Pastorali è dedicata alla comunità: l'insegnamento (ricordiamo che queste lettere non sono scritte da Paolo, ma dalla seconda e terza generazione cristiana di fine I sec. a.C. che ripropone il messaggio paolino) è indirizzato ad una sincronizzazione storico-educativa con le nuove comunità, “che devono crescere sane e durare nel tempo, radicate in Cristo”. La didattica paolina è pietra miliare per la Chiesa cristiana e fa riferimento ad una teologia che pone come fondamento il concetto di fede: vi domina l'aspetto parenetico-esortativo, accanto a sprazzi di catechesi teologica, edificata sulla “filantropia di Dio, che è amore, grazia per gli uomini e bontà, e sulla concreta epifania di Gesù Cristo”. Alla base della redazione di queste lettere, si pongono una serie di preoccupazioni: il trascorrere del tempo, che può allontanare i fedeli dall'annuncio evangelico, perché la comunità rischia di smarrire la freschezza e lo zelo degli inizi; la minaccia di falsi dottori; la visibilità del cristiano nella società e la loro espressione attraverso le opere. Tema ricorrente è la presenza costante della grazia di Dio, “che è comunicazione della salvezza ed educa a vivere la vita corrente”: si tratta, come ha affermato la dott. Manes, di educare con lungimiranza, per produrre l'etica della virtù, in quanto la morale cristiana si genera dal dogma, ovvero l'esemplarità dell'opera di Dio nella vita dell'uomo, dunque, “l'etica che nasce dall'accoglienza del Cristo”. Compito dei ministri è, allora, diffondere il messaggio di Dio, che ha voluto la sua Chiesa come “istituzione educativa di grazia, tale da riflettere la Sua grazia”: questo è possibile attraverso un'etica negativa, ovvero la rinuncia al male, alle passioni, all'odio, alla rinuncia di Dio, ed una positiva, basata sulla conversione, sul rispetto di Dio, sulla giustizia, sulla pietà, sulla sobrietà, palesando come la grazia divina, attraverso la Parola, svolga un'opera pedagogica all'interno dell'uomo, che diviene specchio delle qualità di Dio. Una delle metafore più importanti è quella della Chiesa come casa, quest'ultima intesa come “il luogo che offre educazione, sicurezza ed appartenenza, come luogo di incontro con Dio e testimonianza”: pertanto, scenario feriale dell'epifania di Dio, grembo della rinascita e spazio dell'uomo e del culto e come tale deve usufruire di codici socio-religiosi che possano trasmettere l'insegnamento. Questi codici di comportamento “non sono sterile moralismo, ma dottrina che custodisce le verità di fede, per orientare lo stile di vita del fedele all'incarnazione dell'annuncio”: due sono le figure che queste normative comportamentali richiamano. Innanzitutto, i ministri, figura esemplare della comunità, che devono portare l'ordine e far vivere il Vangelo, in base alla ministerialità del vissuto, viatico per poter convivere con la realtà in fieri, applicandovi la filantropia di Dio. Accanto ai ministri, i collaboratori, che sono definiti come compagni, conservi, compagni di lotta (missionari) e figli, come nel caso di Timoteo e Tito, quasi a delineare un intimo rapporto di paternità e filiazione spirituale, il cui compito è quello di continuare la missione dell'Apostolo. È evidente che tra Chiesa e famiglia debba statuirsi una stretta sinergia, “quasi a mostrare come la parola si manifesti nella sua naturalezza all'interno della dimensione famigliare”: entrambe le realtà devono essere impegnate nell'educazione alla fede, senza ipocrisia, e nella trasmissione ecclesiale, secondo una prospettiva escatologica. I figli sono l'eredità, ovvero “il presente della casa ed il futuro della vita eterna – secondo la dott.ssa Manes – e la Chiesa è quel luogo in cui ogni componente collabora al bene comune”. Mons. Martella all'inizio dell'incontro si è domandato quale potrebbe essere il messaggio che San Paolo lascia alle nostre attuali comunità ecclesiali: la bellezza della testimonianza dell'identità cristiana, a voler riprendere una frase della dott.ssa Manes, “che dovrebbe essere applicata e testimoniata nella famiglia e accresciuta dalla Chiesa, solo se si è radicati nella speranza”. L'etica cristiana si ispira all'Incarnazione, per offrire all'uomo le stesse qualità di Dio per compiere “opere buone e belle, che rivelino la natura di Dio che è bellezza”, non mera estetica o ossessione per la perfezione fisica e per il fascino del corpo. È la bellezza dello spirito, che si palesa anche nel corpo, come manifestazione della grazia di Dio ed adesione a Cristo, nella consapevolezza di possedere la vita eterna, attraverso la virtù della speranza”.
Autore: Marcello la Forgia
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