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La pace e i suoi nemici
15 luglio 2021

La casa editrice “La Meridiana” di Molfetta ha pubblicato recentemente il volume “Era una sfida audace. Una stagione da raccontare”, curato da Francesco Minervini. Alla fine del 1983, presso due locali del convento dei Cappuccini di Molfetta, siti in via Massimo d’Azeglio 46, concessi dall’Ordine anche grazie all’intervento del Vescovo Don Tonino Bello, sorse la Casa per la Pace, centro di educazione e documentazione per la pace. Il taglio delle attività che furono programmate e attuate fu subito chiaro: conferenze, seminari, biblioteca, doposcuola nei luoghi di degrado materiale e morale. Numerosi i volontari che giunsero a Molfetta per uno scambio reciproco di esperienze: Giovanni Franzoni, Giorgio Nebbia, Alex Langer, Alex Zanotelli, David Turoldo, Luigi Bettazzi, Luigi Ciotti, Danilo Dolci e tanti altri. Le campagne di ampio respiro intraprese per la diffusione della problematica non violenta furono tante: la denuclearizzazione del territorio, lo smantellamento del poligono di tiro sulla Murgia, l’obiezione fiscale alle spese militari, i referendum abrogativi della caccia e delle centrali nucleari, la lotta a tutte le mafie. Nel gennaio del 1987, sempre nei locali di via d’Azeglio, nacque la Cooperativa Editrice “La Meridiana”, specializzata in pubblicazioni di argomento pacifista e non violento, diretta tuttora da Elvira Zaccagnino. Francesco Minervini ha curato egregiamente il volume, alternando la storia della Casa per la Pace alle testimonianze di alcuni protagonisti, quali Franco de Palo, Pina Pisani, Lazzaro Gigante, Lella Salvemini, Antonia Scardicchio. Su di tutti giganteggia la figura di Guglielmo Minervini, indimenticabile guida morale e civile della nostra città, prematuramente scomparso. Sono pagine pervase da una sottile nostalgia per una esperienza forse irripetibile, ma anche dalla consapevolezza, per chi ha il dono della Fede, che dall’attuale degrado possa rinascere una stagione di speranza. Seguono alcune considerazioni che non hanno alcun intento critico, ma che vogliono soltanto ricordare un dibattito di respiro mondiale che ha attraversato il pacifismo sin dal suo nascere, e al quale in questa sede possiamo solo accennare. L’ultima grande stagione del Movimento non violento si sviluppò negli anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale e si protrasse fino alla metà degli anni Settanta del Novecento, con le grandi manifestazioni contro la guerra americana nel Vietnam. Lo sganciamento nell’agosto del ’45 delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki non avevano avuto uno scopo militare, ma politico. 250.000 civili giapponesi inceneriti in una frazione di secondo dovevano dimostrare a Stalin che lo zio Sam era ancora il più forte. Il grande Movimento pacifista antinucleare non ebbe risultati decisivi, aldilà della protesta e della testimonianza morale: gli esperimenti e la proliferazione continuarono e le numerose conferenze internazionali si limitarono a stabilire il numero delle testate da stipare negli arsenali della morte, senza consentire controlli esterni. Intanto nasceva il Movimento Ecologista, in tutte le sue articolazioni. Quelle lotte si avvalgono di un grande appoggio mediatico e finanziario. Esse hanno tuttora due caratteristiche: non minacciano direttamente la proliferazione atomica militare, e i danni denunciati per il pianeta, quantunque gravissimi, hanno una evoluzione lenta e possono teoricamente essere limitati e fermati. Questo induce gli apparati militari e statali a consentire e persino ad incoraggiare queste proteste, fino a quando non compromettano la loro sicurezza. Una guerra nucleare può distruggere per sempre il pianeta in pochi secondi; un grave cambiamento del clima può avere un andamento plurisecolare. Gunther Anders (1902-1992), filosofo tedesco di origine ebraica perseguitato dal nazismo, ha dedicato una parte considerevole della sua riflessione alla difesa dell’uomo contro l’olocausto nucleare. Memorabile il suo “Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki”. Nei suoi ultimi saggi il suo pacifismo si colora di inediti e discussi aspetti militanti. Leggiamo alcuni brani tratti dal suo volume “Il Mondo dopo l’uomo. Tecnica e violenza”: “Dato che la minaccia è totale e il possibile annientamento è globale, anche la nostra legittima difesa deve diventare totale e globale. Per una guerra di difesa di tutti i minacciati, contro una così enorme minaccia, abbiamo il diritto di esercitare una contro-violenza, sebbene anche questa non possa contare su nessun potere amministrativo o legale, insomma su nessuno Stato. Ma lo stato di necessità legittima l’autodifesa, la morale infrange la legalità. Fintanto che essi tentano di dominarci, o ricattarci, o sottometterci, o sterminarci, noi siamo “costretti” da questo stato di necessità a rinunciare ad una nostra rinuncia di violenza. Coloro che preparano o che perlomeno accettano il rischio della eliminazione di milioni di persone di oggi e di domani devono sparire, non devono più esserci. Dobbiamo annullare il pericolo, mettendo in pericolo gli annientatori. Nei cimiteri in cui riposeremo, nessuno verrà a piangerci. I morti non possono piangere altri morti”. Dopo 40 anni di pacifismo non violento, Anders constata l’irrilevanza e il fallimento della sua battaglia, ed approda alla convinzione che la resistenza contro la bomba debba mutare metodi ed obiettivi. Insomma, possono verificarsi delle situazioni estreme nelle quali il pacifista, per poter restare tale, deve rinnegare se stesso. Ma la non violenza ha altri nemici: l’uomo si può incenerire con la bomba, ma si può anche assassinare con la fame. L’America Latina compare raramente nei media, a parte la samba brasiliana e il tango argentino, ma è un sub continente che muore letteralmente di fame, e certamente non per una sfavorevole congiunzione astrale. Negli anni ‘60 e ‘70 del Novecento sorsero numerosi movimenti non violenti che auspicavano, tra l’altro, una più equa distribuzione delle risorse e il disarmo di polizie private, pagate per “bonificare” i quartieri popolari dai “terroristi” comunisti e socialisti. Ebbene, in pochi anni, questi nuclei di resistenza non violenta, alcuni di matrice cattolica, furono repressi brutalmente con il ricorso ad alcuni assassinii mirati, e scomparvero. Molti attivisti lasciarono le chitarre e imbracciarono i fucili, dandosi alla lotta armata. Attualmente la situazione sembra più tranquilla, ma è una calma apparente, dovuta a dei privilegi concessi alle classi medie. Segue ora un riassunto molto schematico della dinamica socio-economica e politica sud americana. Se un Paese latino-americano riconosce l’esclusività della protezione militare e geostrategica della CIA, se protegge le condizioni capestro degli investitori, del Fondo Monetario Internazionale e delle banche ad esso collegate, se difende un sistema dei media dominato dagli interessi commerciali dell’estrema destra, se ostacola qualsiasi seria organizzazione degli operai e dei contadini, se consente lo sviluppo di politiche agricole mono colturali, volte all’esportazione e destinate ad affamare la popolazione indigena, se consente deforestazioni indiscriminate e politiche estrattive miranti a decuplicare i profitti delle multinazionali, se imprigiona, tortura ed elimina sindacalisti e militanti di partiti e movimenti di sinistra, allora e solo allora gli Stati Uniti dimostrano di tollerare forme democratiche di governo e si astengono dal rovesciarle direttamente o, più spesso, tramite polizie e mercenari. Altrimenti, come è successo decine di volte, si decide per il golpe, per la “soluzione cilena”. Un bagno di sangue travolge il paese. Naturalmente, la repressione dei movimenti pacifisti e antimilitaristi non ha luogo solo in America Latina, ma è in quel sub continente che il saccheggio e la violenza imperialista hanno raggiunto dimensioni spaventose. Accennerò, infine, ad un altro nemico della pace. Colui che, al termine di una straordinaria carriera scientifica, e pervaso da un profondo pessimismo per il disastro che prevedeva per l’Europa, ritenne di averlo individuato, lo definì invincibile, connaturato antropologicamente all’evoluzione e alle dinamiche della psiche umana. La sua efficacia, anzi la sua stessa esistenza, sono state messe in dubbio ed hanno suscitato vive polemiche. Scrive Stefano Mistura nell’introduzione einaudiana (2010) al “Disagio nella Civiltà”, di Sigmund Freud, edito nel 1931, una delle sue opere più controverse: “La civiltà, anziché provvedere agli scopi per cui è nata, sembra piuttosto aumentare il nostro malessere e il nostro disagio, nella misura in cui essa accresce gli interdetti e le limi- tazioni che impediscono la realizzazione del Principio di Piacere. Essa si costruisce sulla rinunzia pulsionale, sulla rimozione del godimento, sulla creazione di oggetti sostitutivi, ma anche sulla inibizione delle tendenze aggressive innate negli uomini che procedono dalla Pulsione di Morte. Nascono così gli imperativi morali, le leggi civili, i grandi progetti utopici di emendamento e miglioramento degli uomini, dal comandamento di amare il prossimo, al progetto di costruire una società di eguali. Ma nel corso della sua lotta contro le pulsioni aggressive e distruttive sarà proprio la civiltà ad introdurre un fattore di ulteriore infelicità, il Senso di Colpa, che si incarica di rovesciare contro se stessi l’aggressività, l’odio, la distruttività, in origine rivolti verso l’Altro, verso l’oggetto. La comunità civilizzata terrà solo fino a quando esisterà qualcosa o qualcuno destinati ad assorbire il carico di distruttività che altrimenti gli uomini riverserebbero su di sé e sul proprio gruppo di appartenenza. Al centro dell’analisi freudiana della società civile sta l’affermazione che esiste una contraddizione fondamentale tra le richieste che la civiltà pone ai singoli, ed il soddisfacimento pulsionale ed individuale. E mettendo in dubbio il valore della civiltà, ai fini della felicità dell’uomo, Freud chiarisce il suo punto di vista sulla sua stessa essenza”. Così il padre della psicoanalisi conclude il suo saggio: “A me pare che la questione vitale del genere umano sia se e in quale misura l’evoluzione della società sarà in grado di dominare i perturbamenti della vita collettiva, causati dalle pulsioni aggressive ed autodistruttive dell’uomo. Nel dominio delle forze della natura, gli essere umani sono ormai arrivati ad un tale livello che, grazie ad esse, potrebbero facilmente sterminarsi a vicenda. Lo sanno, e questo spiega buona parte della loro attuale inquietudine, della loro infelicità, del loro stato d’animo angosciato. E ora dobbiamo aspettarci che l’altra potenza celeste, l’eterno Eros faccia uno sforzo per imporsi nella lotta contro il suo altrettanto immortale avversario (Tànatos). Ma chi può prevedere quale sarà l’esito e se sarà felice?”. © Riproduzione riservata

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