La fidanzata di Joe
“Perciò le nostre due anime, che sono una, benché io debba andare, non subiranno un distacco, ma un’espansione, come oro battuto in sfoglia di aerea tenuità”: l’epigrafe di John Donne ci introduce perfettamente nell’atmosfera di La fi danzata di Joe, di Lucia Sallustio, novella interamente giocata lungo i sentieri asincroni di una lontananza che squaderna, potente, il desiderio. La scrittrice molfettese, che ha già all’attivo la partecipazione a numerosi premi letterari con esiti lusinghieri e ha pubblicato novelle e versi in antologie e su riviste quali il lavallisiano “quadrimestrale di letteratura e altro”, ha affi dato questa sua prima fatica “monografi ca” ai tipi della Faligi. Presto il libro sarà disponibile e acquistabile anche in versione e-book su “book republic”. La caratteristica della brevitas ci consente di ricondurlo all’attualissimo dibattito sul libro del futuro e sulla Twitteratura. Apprezzabile la copertina, curata da Carlo Maria Aimone, che allude delicatamente al tormento amoroso del protagonista, Giuseppe-Joe. La novella della Sallustio, seconda classifi cata al “Premio naturalistico La Majella 2009” per il romanzo breve, ci catapulta tra la variegata umanità che popola la baia di San Francisco negli anni “dal proibizionismo al dopoguerra”. Un’amara ironia traluce sin dal titolo: Lillibeth, la protagonista, è defi nita, quasi con bonomia, la “fi - danzata americana di Joe” proprio dalla sua inarrivabile rivale, la moglie italiana dell’uomo, Teresa, suo unico legittimo amore. La vicenda si snoda quale lunga analessi e predilige la tecnica della focalizzazione interna variabile, a tratti addirittura multipla. La trama è piuttosto semplice: Giuseppe-Joe, emigrato in America, durante una poco galante serata organizzata dal cognato Matteo (fratello di Teresa) per trastullarsi con signorine di dubbia reputazione, conosce la diafana e piena di grazia Lillibeth. La donna, tra partenze e ritorni dall’Italia, scanditi dalle gravidanze di Teresa, diverrà per dieci anni l’amante di Joe, un “amore di compensazione”, nato per lenire una disperata solitudine. Solo molti anni più tardi, complici una lettera e una fotografi a, l’uomo scoprirà il dolceamaro frutto di quel suo egoistico, disperato, fi danzamento americano. La storia d’amore presta il destro a numerosi altri spunti, con una pregevole ricostruzione dell’ambiente degli immigrati italiani in America tra gli anni Venti e Quaranta. Di pari passo con le leggi proibizioniste, sboccia il nefasto fi ore del gangsterismo, cui nel romanzo alludono il dramma, solo rievocato, di Jennifer e la tragica vicenda di Ana e Matteo, ambiguo ristoratore che pagherà a caro prezzo il sorriso “spavaldo” e sornione di chi si considera invincibile. Tra i momenti di maggior effi cacia la scena della toeletta femminile nell’incipit del capitolo primo, cui potrebbe benissimo far da colonna sonora qualche passaggio della Lakmé di Delibes; in queste pagine affi ora anche l’elemento canoro ch’è sempre struggente, si concreti nella “ninnananna polacca” di Ana, “quasi un addio”, o nei gorgheggi di Lillibeth. Il suo passato di cantante in un locale notturno, che le aveva valso il nomignolo di “Nightingale” (“usignolo della notte”), sembra far presagire il ruolo che ricoprirà nella vita di Joe: dovrà risplendere, come quella stella cadente cui affi derà il suo più gran desiderio, nel buio melanconico delle notti americane, in contrasto con il fascino solare e mediterraneo della moglie Teresa. La novella ci regala molti altri personaggi interessanti, come il semplice Tonino, angelo della buona dipartita, e ci riconduce al cuore delle nostre tradizioni. Peppino affi derà alla scelta di tramandare i nomi dei propri genitori, e al sogno di una famiglia numerosa, il disperato desiderio di ricostruire un nido distrutto dalle avversità della sorte. Lo sguardo di Lillibeth evidenzia l’eccessiva seriosità della pettinatura di Teresa (di moda tra le donne italiane), con la tendenza a legare posteriormente i capelli “in una crocchia bianca” che la faceva apparire molto più vecchia, quasi in una riaffermazione della propria intemerata seriosità di vedova bianca. Non mancano persino riferimenti al mito di Rodolfo Valentino, emigrato italiano divenuto “astro di Hollywood”, e, in qualche modo, modello per chi, come Joe, non poteva fare a meno di sentirsi straniero nella terra dei sogni e dei sacrifi ci. Il fi nale sancisce la rivincita di Lillibeth, ma una malinconia crepuscolare aleggia su questo palcoscenico di vinti, che nell’amore hanno ricercato l’unico linguaggio in grado di opporsi al male di vivere e in quest’aspirazione sono rimasti disperatamente frustrati, proprio come la signorina Carla protagonista di un altro bel racconto della Sallustio.
Autore: Gianni Antonio Palumbo