di Ignazio Pansini
Estate 1940. L'Amministrazione Provinciale di Bari istituisce e finanzia presso la Casa della Madre e del Bambino di Molfetta una Colonia elioterapica per i figli dei cantonieri provinciali. La gestione generale è affidata al locale Comitato di Patronato dell' Opera Nazionale per la Protezione della Maternità ed Infanzia, che ha sede in una villetta a due piani, sita all'angolo tra viale Pio XI e via Baccarini, lato mare.
La Colonia ha la durata di due mesi, e si articola in due turni. Il primo dal 21 luglio al 20 agosto, è composto da 25 maschi dai 3 ai 10 anni; il secondo, dal 21 agosto al 20 settembre, è misto e comprende 30 elementi, della stessa classe di età. Il personale addetto è costituito dalla Direttrice, professoressa Elena Maria de Mari, da due custodi, e da una cuoca-lavandaia. Il servizio sanitario è affidato al Direttore del consultorio pediatrico della Casa del Bambino.
Ogni giorno, tempo permettendo, la Colonia si sposta sulla spiaggia di ponente, nei pressi del Tiro a volo; più raramente, si va in campagna. La domenica, ma non sempre, si segue la messa alla Madonna dei Martiri. Il trasporto è assicurato da un vecchio carrozzone a cavalli. Alla fine dei due turni, la Direttrice compila e sottoscrive un dettagliato Diario di Colonia, che invia all'Amministrazione Provinciale, corredato da un apparato fotografico, e debitamente controfirmato dal Presidente del Comitato ONMI di Molfetta.
Trattasi di un documento di carattere ufficiale e di libera consultazione. Dalla lettura di questi Diari, (disponiamo anche di quello del 1941), abbiamo desunto le notizie che precedono, ma abbiamo anche elaborato i commenti che seguono. Ci sembra infatti che le relazioni della prof. de Mari, quantunque stilate nella sua funzione di Direttrice, siano interessanti non solo, e ovviamente, per la comprensione del “clima” dell'epoca, ma anche per la particolare personalità dell'autrice.
Per esigenze di brevità, ho raggruppato le mie considerazioni per temi. Cominciamo dal primo, che chiameremo “l'occhio del Grande Capo”. Ventuno luglio 1940: “Nel nome del Duce, la Colonia finanziata dall'Amministrazione della Provincia, si è inaugurata oggi”. Il 20 settembre, a conclusione del secondo ed ultimo turno: “Nell'azione svolta di assistenza, di affettuosa assistenza, ed ancor più di propaganda al Regime, noi siamo stati sorretti dal grande pensiero del Duce, “Andare verso il popolo”. Il 23 luglio dell'anno seguente, a proposito del desiderio dei bambini di poter conservare delle fotografie: “E' il loro gran desiderio di portare a casa il ricordo della Colonia, il ricordo di questa vita sana, allegra e spensierata, trascorsa con ogni agiatezza, per la bontà del nostro Grande Capo”.
Passiamo ora ad un altro tema che ricorre, se possibile, ancora più frequentemente dell'ossequio al fascismo, e che ha dei risvolti umoristici e quasi felliniani. Lo chiameremo “Ispezioni e caramelle”.
Gli ospiti ed il personale della Colonia vengono quotidianamente perseguitati da gruppi numerosi e variopinti di personaggi che si informano dell'andamento, dell'igiene, del vitto, dello stato di salute, dell'umore, insomma di tutto quanto concerne il corpo, e possibilmente anche l'anima, degli innocui abitanti di quell'amena villetta di periferia. E immancabilmente, dopo una lauta distribuzione di caramelle e di sorrisi, i visitatori si congedano congratulandosi vivamente per l'efficienza e il perfetto funzionamento della Colonia. Cito l'elenco (incompleto!), di questi signori: Preside della Provincia, Segretario Generale, Sua Eccellenza il Prefetto, Segretario Federale, Segretario del Partito, Segretario della GIL, Segretario del GUF, Comandante del Porto, Ufficiale alla contraerea, vari Fiduciari e Fiduciarie, non meglio identificate “Signore Fasciste”.
Sembra che l'intero apparato del Partito non abbia niente di meglio da fare che vigilare quotidianamente sulla tranquillità di 30 bambini e 4 impiegati! La Direttrice è naturalmente orgogliosa di far bella figura e gradisce quella lugubre processione di camicie nere: ma non può scrivere altrimenti: solo un avverbio, “Improvvisamente”, più volte ripetuto, tradisce un probabile stato d'ansia o di insofferenza.
Procediamo oltre. La sciagurata guerra, dichiarata dal “Grande Capo” un mese prima dell'inizio della Colonia, non viene citata che rarissime volte. Il primo agosto del 1940 un bambino di Putignano è ancora spaventato per l'allarme delle sirene, sentito giorni prima nel suo paese. Saltuariamente passano al largo navi da guerra e si vedono aerei da combattimento. Ma c'è chi sente il disastro incombente sulla propria pelle e, a differenza della Direttrice, può ancora testimoniarlo. Il 29 luglio dello stesso anno una madre, da Gravina, invia ai suoi figli una cartolina di saluti, non ancora “Verificata per Censura”, e così conclude: “Dite una Ave Maria tutte le sere alla Madonna per la pace”.
Altrettanto rari, e in genere intrisi di paternalismo, sono nei Diari gli accenni alla situazione economico-sociale dei figli dei cantonieri. Uno, che ha perso il padre, vive in estrema povertà presso il nonno; un altro, quando ritornerà in famiglia, troverà da mangiare “soltanto patate”. Il 20 settembre del primo anno la Direttrice, congedandosi dai piccoli ospiti, scrive: “Quale differenza, nel vederli avvolti nei loro vestiti, invece che nell'uniforme linda e semplice dei coloni! Sembravano altri bambini, ingoffati in abiti non adatti, troppo lunghi, troppo vistosi, troppo miseri!”.
Scrivevo all'inizio che questi Diari di Colonia rivelano anche certi aspetti della personalità della Direttrice. Uno in particolare colpisce il lettore: il grande amore per i bambini. Esso appare superiore alla stessa adesione al fascismo: quest'ultima, per quanto “obbligatoria”, si rivela tuttavia così sentita, da imporre un ennesimo ripensamento sui meccanismi di acquisizione del consenso nei regimi totalitari. Ma l'attaccamento ai piccoli ospiti è sicuramente più forte. Esso, pur tra le pieghe dell'imperante mammismo fascista, emerge in ogni pagina nel lessico, nelle allusioni, nella esplicita ammissione di vivere una esperienza troppo intensa e troppo breve.
Scelgo dei brani a caso, fra tanti altri: “Io li vedrò partire, questi miei ospiti, impenitenti e vivaci, con un senso di pena”; “Ora che questi bei pargoli dovranno partire, è in me, come in loro, un accorato senso di tristezza”. Infine, per concludere, un'ultima frase. Le parole finali, scritte, si badi bene, in piena guerra, racchiudono a mio parere il più intimo sentire di Elena de Mari, solerte e fascistissima Direttrice di Colonia: “La Casa ha aumentato il suo movimento, e solo la sera disperde tante voci, e calma tanti spiriti bollenti. Poi, ognuno alle proprie case, ai propri paesi lontani. Li vedremo l'anno prossimo? Che ne sarà di noi?”