La cultura neolitica e la nitriera borbonica del Pulo
“Questo sarà un ritorno nel grembo della “grande madre” per tutte le generazioni che sono scese nella dolina carsica per visitarla”. Con questa premessa la prof.ssa Betta Mongelli ha iniziato il suo intervento su “La Cultura neolitica e la nitriera borbonica del Pulo di Molfetta”, una conferenza organizzata dall’ANEB (Associazione Nazionale Educatori Benemeriti) di Molfetta presso la sede sociale in Via Cap. De Candia 90 alla presenza di un numeroso pubblico attento e incuriosito Il presidente dell’ANEB prof. Michele Laudadio nel salutare i presenti ha ringraziato la socia prof.ssa Mongelli per aver accettato di preparare, come lei stessa ha affermato, una conversazione propedeutica alla visita guidata programmata per il 29 e 30 Ottobre al Pulo ed al Museo Archeologico di Molfetta. I luoghi e i manufatti che saranno oggetto della nostra indagine – ha esordito la prof.ssa Mongelli nella sua prolusione - risalgono a varie epoche tra cui il Neolitico a partire dal VII millennio a. C. che ha regalato un immenso patrimonio di reperti conservati nel museo archeologico di Bari, Taranto, Roma, Ancona e Molfetta. È di particolare importanza anche il patrimonio ceramico del Pulo che a lungo è stato definito della “civiltà di Molfetta”. La zona archeologica comprende oltre alla dolina, due fondi attigui: Area del fondo Spadavecchia ed Area del fondo Azzollini che la prof. ssa ha raffigurato con delle immagini. La cultura neolitica è caratterizzata dalla diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame, dall’invenzione della cera- mica e della tessitura, dalla lavorazione della pietra leviga- ta in aggiunta a quella scheggiata già nota dal Paleolitico. Dal nomadismo si passa alla sedentarizzazione, migliorano le condizioni di vita e gli uomini si raggruppano in villaggi. Uno dei più antichi risalente al 6000 - 5500 a. C. è il villaggio anatolico di Catal Huyuk (Turchia) fatto di case di mattoni e legno con pareti dipinte e decorate. In provincia di Foggia, in località’ “Passo di Corvo”, la Sovrintendenza ai Beni Archeologici ha recuperato un villaggio trincerato ricostituendo la vita quotidiana dell’epoca. La prima sistematica campagna di scavi a Molfetta fu diretta da Massimiliano Mayer mentre la seconda risale al 1908- 1910 e fu diretta da Angelo Mosso con la collaborazione di Michele Gervasio, successore del Mayer nella direzione del museo archeologico di Bari. La ricerca del Mayer si fermò nei campi circostanti la dolina (ex fondo Spadavecchia) da lui denominati “Stazione superiore” dove lo studioso ritrovò e descrisse in maniera dettagliata resti di capanne, di tombe e reperti di ogni tipo, risalenti alla fase più antica dell’insediamento neolitico di Molfetta (fine VII, inizio VI millennio). Nella “Stazione inferiore” (fondo della dolina e grotte) il Mayer raccolse svariati materiali: ceramiche, conchiglie e frammenti ossei e litici riferibili alle più diverse epoche di frequentazione del Pulo. La seconda campagna di scavi fu diretta da Angelo Mosso. Egli spostò le ricerche nel “fondo Azzollini” e lasciò una dettagliata relazione degli scavi condotti, corredata da preziose fotografie in cui riuscì a fotografare trincee di scavo, fondi delle capanne, tombe dei nostri antenati di 8000 fa. Dalla fine degli anni Novanta del Novecento fino al 2016 si sono susseguite varie campagne di scavi sul fondo Azzollini, dove state ritrovate le trincee di scavo del Mosso con interessanti reperti vascolari. La sovraintendenza attrezzò l’area con bellissimi pannelli didattici. La dolina da un paio di anni è stata riaperta al pubblico ed è divenuta oggetto di ricerche da parte degli archeologi Alessia Amato e Nicola de Pinto con la supervisione della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Puglia. I due studiosi hanno avuto l’insperata emozione di trovare nei pressi della nitriera borbonica due meravigliosi idoletti lapidei e un frammento vascolare che arricchiscono significativamente i dati sulla frequentazione umana del Pulo. Uno di questi reperti è costituito da un ciottolo calcareo di forma ovale con incisioni antropomorfe, databile intorno al sesto o quinto millennio a. C., e rappresenta una figura probabilmente maschile con le arcate soprac- ciliari e il naso realizzati secondo uno schema a “T” e o a “volto di civetta”. Il secondo idoletto anch’esso su ciottolo calcareo potrebbe rappresentare un soggetto femminile per la presenza sul retro di inci- sioni simili a una capigliatura. Tali caratteristiche potrebbero collocare la statuina in un discorso le- gato alla fecondità. Il frammento di un vaso a vernice nera rinvenuto nel 2021, invece, databile al IV-III secolo A.C., recante l’iscrizione mes- sapica della sacerdotessa TABARAS potrebbe far pensare alla presenza di un’area occupata da numerosi santuari messapici dedicati a divinità come Demetra o la figlia Persefone. Molfetta ha ormai il suo museo ar- cheologico in cui vengono esposti i ritrovamenti degli ultimi anni. Nella seconda parte della conferenza, la prof.ssa Betta Mongelli ha il- lustrato la presenza nella dolina, della Real Fabbrica del salnitro (1783- 1791) che ebbe una breve vita e fu definitivamente chiusa nel 1808. La nitriera del Pulo di Molfetta fu un esempio unico di archeologia indu- striale, riportato alla luce dopo 2 secoli di occultamento, con gli scavi a partire dal 1997. Era un ciclo produttivo completo: nella struttura della fabbrica la materia prima subiva tutti i processi necessari di raffinazione fino ala realizzazione del prodotto (il salnitro), che era una componente importante nella polvere da sparo. Nella seconda metà del XVIII secolo le grotte del Pulo, ricche di de- positi naturali di nitrati, richiamarono l’attenzione dei vertici milita- ri borbonici e suscitarono negli ambienti scientifici europei un acceso dibattito per l’eccezionalità della scoperta. La casuale scoperta di ni- tro “naturale” si deve all’abate Alberto Fortis, membro dell’Accademia delle Scienze di Padova, giunto a Molfetta su sollecitazione dell’erudi- to molfettese Ciro Saverio Minervini, che lo affidò all’abate Giuseppe Maria Giovene, scienziato molfettese dai vasti interessi. Fortis rima- se stupito per la qualità del salnitro esistente nella dolina e dopo di lui giunsero numerosi naturalisti e scienziati attratti dalla produzione naturale di questa sostanza. Giuseppe Vairo e Francesco Vega ebbero il compito di costruire nel 1784 l’opificio con 3 tettoie. La prima con 4 fornaci per la cottura del lisciviato, la seconda con l’immagazzi- namento e la cristallizzazione dei nitrati e la terza con la cisterna per il deposito temporaneo del lisciviato destinato alla cottura del composto. Sono state rinvenute dopo gli scavi 12 vasche(medre) dove le terre venivano depositate e lavate. Nella fabbrica la materia prima subiva i necessari processi di raffinazione, fino alla realizzazione del prodotto finito. L’argomento della conferenza ha suscitato l’interesse del numero pubblico, grazie alla prof.ssa Mongelli che con grande passione e ric- chezza di notizie ha fatto apprezzare l’importanza scientifica del centro neolitico di Molfetta e del museo archeologico e al tempo stesso ha sa- puto emozionare i presenti molti dei quali con la mente e il sentimento sono tornati ai tempi della loro giovinezza quando di solito scendevano nella dolina per avventurarsi nelle caverne ormai diventate inaccessibili. Nei giorni successivi e precisamente sabato 29 e domenica 30 l’A- NEB ha organizzato attraverso l’Info Point di Molfetta una visita guidata dei luoghi oggetto della conferenza. Particolare curiosità e meraviglia ha suscitato nei partecipanti la visita al Museo Civico Archeologico del Pulo per i numerosi reperti conservati, per le illustrazioni chiare e ricche di notizie scientifiche e per l’ottima sistemazione dei vari materiali su piani diversi lungo un percorso guidato che consente di scoprire le va- rie fasi della frequentazione del Pulo, gli insediamenti dei frati cappuc- cini in terra di Bari, il sepolcreto in grotta, la produzione e la cottura di vasi, le rappresentazioni figurative di uomini e donne nonché la flora e la fauna della dolina. Questa iniziativa, promossa dall’ANEB di Molfetta, ha così contri- buito alla divulgazione di un patrimonio archeologico e naturale, indi- cativo della storia stessa della nostra città da qualche tempo un po’ dimenticato. © Riproduzione riservata