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La conoscenza in una società libera, un libro sui problemi della scienza Il volume, edito da Levante è stato scritto dai molfettesi Marino Centrone, Vito Copertino, Rossana de Gennaro, Massimiliano di Modugno e Giacomo Pisani (redattore di "Quindici")
08 febbraio 2011

E’ appena uscito “La conoscenza in una società libera”(Levante editori, Bari, pp.456), il nuovo libro di Marino Centrone, Vito Copertino, Rossana de Gennaro, Massimiliano di Modugno e Giacomo Pisani (redattore di "Quindici")
Il volume, facente parte della collana “I problemi della scienza”, sarà disponibile in libreria già da questa settimana.
“La conoscenza in una società libera” è stato il tema di un seminario che un gruppo di ricercatori ha svolto nel corso del 2009-2010 nei Giardini di Avalon a Molfetta.
Nel volume Marino Centrone analizza la natura dispotica del sapere nella società contemporanea, il sapere come potere; Vito Copertino individua nel paradigma della complessità il carattere della nuova narrazione, della nuova scienza; Rossana de Gennaro affida al pensiero utopico il superamento della miseria del presente; Massimiliano di Modugno presenta il rapporto fra anarchismo e post-strutturalismo come una nuova filosofia al lavoro; Giacomo Pisani analizza il fenomeno dell’alienazione nella scienza.
Marino Centrone è professore aggregato di Filosofia della scienza presso l’Università degli Studi di Bari. Per Levante editori ha pubblicato sette volumi nella collana “I problemi della scienza”. Vito Copertino è professore ordinario di Costruzioni idrauliche dell’Università della Basilicata.E’ autore di numerose pubblicazioni nel campo scientifico e tecnico dell’ingegneria fluviale e della pianificazione dei bacini idrografici. Rossana de Gennaro è docente di Storia e filosofia nei licei. Ha pubblicato il saggio “Discendendo nel continente nero della psicoanalisi” in AA.VV., “Metafore per una filosofia della carezza” (Schena Fasano, 1986) e diverse recensioni sulla rivista Paradigmi, nonché alcuni articoli di critica politica sulla rivista Le passioni di Sinistra. Massimiliano di Modugno è dottorando di ricerca in Filosofie e teorie sociali contemporanee presso l’Università di Bari. E’ autore del saggio “La visione della tecnica fra deep ecology e social ecology” nel volume collettaneo “Governare l’ambiente? La crisi ecologica fra poteri, saperi e conflitti” (Milano, 2009) a cura di Ottavio Marzocca. Giacomo Pisani è Giornalista pubblicista. Laureando in Filosofia presso l’Università di Bari, è redattore di "Quindici" e collabora con diverse riviste. E’ direttore di Terre libere.

Autore: Giacomo Pisani
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……….e se la cultura non fosse che il tentativo più riuscito per esorcizzare la morte, per pensare al di là di quell'evento condannato ad essere irriferibile perché quando uno l'affronta non è mai nei paraggi per raccontarne la storia? Non è infatti la cultura la più alta espressione di trascendenza, di oltrepassamento di quanto è dato e trovato prima che l'immaginazione creativa si metta all'opera nel tentativo di raggiungere quella permanenza e durevolezza che così atrocemente manca alla vita, a quel prestito a breve termine, come direbbe Schopenhauer, fattoci dalla morte? Questa tesi, sostenuta da Zygmunt Bauman ne Il teatro dell'immortalità, parte dalla constatazione che gli uomini si affannano tanto a costruire la loro vita perché sanno di dover morire, conservano il passato e creano il futuro perché sono consapevoli della loro mortalità, trovano il senso della loro esistenza nell'oltrepassamento del ritmo biologico perchè conoscono il limite di questo ritmo e adesso non si vogliono arrendere, non perché il loro desiderio di sopravvivenza è infinito, ma perché in quel ritmo non reperiscono alcun senso. La cultura nasce come ricerca di quel senso che non si trova in natura, ma questa ricerca non nascerebbe se l'uomo non sapesse della propria morte che segna l'implosione di ogni senso. “Quante persone scoprirebbero che vale la pena di vivere una volta che non si dovesse morire?” si chiedeva Elias Canetti? Non molti, forse nessuno. E' dunque la consapevolezza della morte a promuovere, con la cultura, quell'oltrepassamento del dato naturale scandito dall'ineluttabilità del ritmo biologico, dalla sua insensatezza e dal suo limite, per cui la morte testimonia la sua presenza non tanto in quei luoghi deputati a farla apparire sotto il suo nome, piuttosto in quei luoghi dove la morte non appare sotto il suo nome.- (Umberto Galimberti)
Gli effetti della tecnica. Così scrive Clifford Stoll, uno dei pionieri di internet, che dal 1975 ha aiutato la Rete a diventare un fenomeno planetario da quell'oscuro progetto di ricerca che era: - Grazie all'elettronica digitale, gli studenti sfornano risposte senza elaborare concetti: la soluzione di problemi diventa la pressione di tasti. Non è necessario capire come formulare quantità astratte, si va direttamente dai numeri alle risposte. Le calcolatrici sfornano risposte senza richiedere il minimo pensiero. Di fronte a un problema matematico gli studenti ovviamente scelgono l'elettronica piuttosto che l'esperienza. Lo strumento, in un primo tempo adottato per rafforzare la comprensione della matematica, è diventa la stampella che causa l'analfabetismo numerico. A questo punto non può sorprendere che gli studenti svezzati dalla calcolatrice non sappiano fare a mente né una moltiplicazione né una divisione. Nel loro sistema cognitivo l'aritmetica è assente. Risolvono i problemi matematici con una calcolatrice. Pigiano sui tasti, guardano i risuktati e accettano ciò che la macchina dice loro”. Lo stesso è per la scrittura a mano: calligrafia e grammatica non vengono considerate degne di insegnamento, vengono messo da parte a favore del word processing. Risultato, pochissimi studenti universitari sanno scrivere in modo chiaro, con periodi che stiano in piedi e quindi in grado di rendere la consequenzialità dell'argomentazione, posto che questa ci sia. Ma gli inconvenienti più gravi dell'informatizzazione della realtà “fisica” a favore di quella “virtuale” e la riduzione drastica dei processi di socializzazione, con tutte le conseguenze etiche e psicologiche che la cosa comporta, per effetto dell'isolamento indotto dal rapporto del singolo individuo con il suo computer.-
1°Parte. - Il problema è quello di dare una risposta semplice e comprensibile a una domanda difficile. La domanda è questa: che cos'è la modernità? La risposta non può essere “razionalità rispetto allo scopo” (Max Weber), “valorizzazione del capitale” (K.Marx), “differenzazione funzionale” (T.Parsons, Niklas Luhmann), ma anche, in aggiunta e in contrapposizione con tutto questo, libertà politica, cittadinanza, società dei cittadini. Il significato di questa risposta è che senso, morale, giustizia non sono grandezze date – per così dire extraterritoriali – della società moderna. Modernità significa dunque: un mondo di sicurezze tradizionali tramonta, e al suo posto – quando va bene – subentra la cultura democratica di un individualismo universale giuridicamente sancito. La “catastrofe” sta nel fatto che siamo chiamati a comprendere, riconoscere e sopportare libertà molteplici e assai diverse dalle parole asettiche e dalle promesse contenute nel libro illustrato della democrazia. L'espressione “figli della libertà” significa questo: noi viviamo nelle condizioni di una democrazia “interiorizzata”, rispetto alla quale molti concetti e molte ricette della prima modernità sono ormai inadeguate. La nostra vera “malattia” non è dunque una crisi, ma la libertà, o, più precisamente, sono le conseguenze involontarie e le forme in cui trova espressione quel sovrappiù di libertà che, da tempo riconosciuto e accettato a parole, domina ormai la nostra vita quotidiana. (continua)

2°Parte. - I giovani sono mossi da questioni che la politica in larga parte esclude dalla propria agenda: come fermare la distruzione globale dell'ambiente? Come schivare o oltrepassare il tunnel della disoccupazione che minaccia proprio i figli del benessere? Come si può vivere e amare con il pericolo dell'Aids sempre incombente? Il risultato è un rifiuto molto politico della politica da parte dei figli della libertà. I giovani hanno (finalmente) scoperto per proprio conto una cosa con cui possono gettare nel panico gli adulti: il divertimento, sia esso sotto forma di sport, di musica, di consumo o di semplice gioia di vivere. Ma poiché la politica, almeno per come essa viene praticata e rappresentata, non ha nulla a che vedere con tutto questo, e viene anzi percepita come una nemica mortale del divertimento, a prima vista i giovani possono sembrare “impolitici”, e tali essi stessi si considerano. Tuttavia, nel loro essere impolitici c'è qualcosa di molto politico: i figli della libertà si ritrovano e si riconoscono in una variopinta ribellione contro la monotonia e i doveri che devono assolvere senza apparente ragione e quindi senza partecipazione. Alla fin fine, essi contestano agli amministratori del bene comune il monopolio della definizione di quest'ultimo. In sostanza, non abbiamo a che fare con una caduta dei valori, ma con un “conflitto” tra valori, tra due concezioni diverse, per stile e per contenuto, della società, della politica, della democrazia. I figli della libertà, infatti, si trovano dinanzi a sé un mondo in cui il benessere che si credeva sicuri si sta erodendo. (fine)

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