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La Caritas di Molfetta, volontari contro le nuove povertà Conclusa la settimana sociale alla parrocchia San Pio X
15 febbraio 2009

MOLFETTA - La Caritas non è un organo di erogazione di aiuti materiali o di contributi, né una forma di mero assistenzialismo, ma è l'organo che aiuta la comunità a realizzare la sua funzione vitale, quella dell'amore: non un'associazione di volontariato, ma un ente giuridico della Chiesa, che ha alla base il compito precipuo di rendere testimonianza alla Parola di Dio e creare una rete di solidarietà intorno alla povertà. Le parole di don Tonino esprimono in modo chiaro le caratteristiche della Caritas diocesana, che deve “animare alla povertà”: sin dalla sua nascita, essa è stata orientata alla formazione ed al consolidamento del volontariato per sollecitare l'attenzione verso la povertà, problematica da non occultare, ma da prevenire, risolvere e manifestare. Il terzo e conclusivo incontro della Settimana Sociale “Quanti pani avete?”, tenutosi nel Centro sociale Mons. Antonio Bello, presso la parrocchia San Pio X, ha orientato il dibattito sulle “politiche” sociali della Caritas, le cui linee fondamentali sono state illustrate dal prof. Mimmo Pisani (da 30 anni impegnato con la Caritas diocesana), assistito da don Pino Magarelli, parroco della Chiesa San Pio X, oltre alla presenza di Giambattista Sasso (presidente dall'ACI parrocchiale) e Michele Pappagallo (presidente del Centro diocesano). (Nella foto: Pappagallo, Magarelli, don Ignazio de Gioia, don Pino Magarelli, Pisani e Sasso). Il pilastro operativo della Caritas è la carità e quanto espresso da Don Tonino nei suoi scritti e nelle istituzioni da lui fondate (la “Casa di Accoglienza” e la “Casa per il recupero dei tossicodipendenti”) ne è la semplificazione: come sono vissute concretamente queste idee? La Caritas diocesana ha ridimensionato nel tempo i suoi impegni per conferire valore operativo alle Caritas parrocchiali, poiché queste conoscono le reali necessità del territorio con cui vengono a contato ogni giorno, mantenendo, dunque, una funzione di aiuto e supporto, soprattutto nelle esperienze di formazione dei volontari. Tuttavia, se proliferano le associazioni di volontariato che, occupate settorialmente e chiuse in se stesse, falliscono già in partenza, diminuisce il numero dei volontari e non è certo l'assunzione il rimedio giusto da opporre, perché il dio denaro sostituirebbe il Dio della carità. A questo, si aggiunge il deterioramento del dialogo con le istituzioni cittadine, a volte sorde, a volte incapaci nelle loro competenze. Il prof. Mimmo Pisani ha risposto in modo indiretto alle lamentele dell'assessore Nino Caputi, relativamente alla mancata partecipazione degli enti ecclesiastici al tavolo di concertazione: “la Caritas è un insieme di persone che amano e l'amore è il modo di rispondere ai bisogni della gente, ma aiutare il povero non vuol dire elargire un semplice contributo economico, una soluzione solo temporale. Non bisogna pensare che la Chiesa sia una Croce Rossa, cui delegare le problematiche di competenza amministrativa, palesando, in moltissimi casi, sconfortanti incompetenze da parte degli enti pubblici”. Ciò dimostra come questi ultimi siano, a volte, “poco inclini al sacrificio ed alla condivisione, sottovalutando la negatività del semplice contributo economico, un misero palliativo”. Alcuni dei dati forniti dal prof. Pisani sono davvero critici: il 69% di coloro che si rivolgono alla Caritas sono donne tra i 34 ed i 44 anni, il 63,8% italiane, il 35,9% sono donne rumene, bulgare e marocchine, irregolari o clandestine; il 58% sono uomini che hanno famiglia, ma vivono in un grave stato di disagio economico a causa della disoccupazione (solo a Molfetta l'82,5%) e il 50% richiede il soddisfacimento dei bisogni primari, come pagare le bollette, mangiare e trovare un lavoro, ma anche trovare un mezzo per uscire dalla solitudine e relazionare col mondo (perché le nuove povertà sono soprattutto spirituali). Si può dedurre come l'utenza sia composta di famiglie con più di 2 figli e almeno un anziano a carico, con bassa istruzione e con basse possibilità di inserimento lavorativo. Inoltre, delle 485 unità di disagiati mentali, un numero molto limitato è assistito da strutture specializzate e 167 sono stati i casi denunciati al Tribunale per i minorenni. I dati denunciati e le esperienze raccontate dal prof. Pisani sottolineano come sia necessaria la collaborazione tra l'ente pubblico e quello ecclesiastico secondo le competenze ed i ruoli, tenendo conto di una maggiore e produttiva razionalizzazione. Soprattutto, come vuole don Pino Magarelli, cercare di creare un habitus della solidarietà, sapendo che il fratello bisognoso è un'immagine di Cristo.
Autore: Marcello la Forgia
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Condivido parzialmente il pensiero del sig.Vito Mongelli e aggiungo........ La forbice fra i ricchi e i poveri si sta allargando. Il vertiginoso aumento del costo della vita di questi ultimi anni ( un euro= vecchie mille lire ), ha fatto esplodere il fenomeno sociale della nuova povertà. In sintesi si può affermare che la nuova realtà economica non ha impedito ad una consistente fascia sociale di diventare sempre più ricca. Per la fascia mediana ( per lo più stipendiati medio-alti, ma anche imprenditori con piccole attività ) il potere d'acquisto si è ridotto. Alla vecchia povertà si aggiunge qualla nuova di chi singoli o con famiglia, con stipendi o pensioni basse non riesce più ad arrivare alla fine del mese. La nuova povertà non si vede perchè è diversa da quella tradizionale dell'emarginazione sociale visibile per strada o da quella pur drammatica di chi è senza lavoro o da chi vive la condizione di immigrato. Essa è quella discreta, vissuta in solitudine da tanti anziani con pensioni da fame. Quella di tanti giovani con lavoro precario che non possono più farsi sostenere dai genitori. Ma anche quella che riguarda tante persone che un lavoro regolare ce l'hanno. Operai o impiegati in giacca e cravatta e con titoli di studio che, anche riducendo all'osso tutte le spese, con il loro stipendio non ce la fanno più a campare da soli o con le loro famiglie. La Chiesa, i sindacati, le Acli vivono ogni giorno, in maniera capillare dentro le Comunità. Ma non si può trattare la situazione di crescente difficoltà di migliaia di famiglie come una sporcizia da nascondere sotto il tappeto. L'instabilità economica e il sensibile aumento dei prezzi per i beni di prima necessità sta allargando la fascia di chi si può dire povero rispetto allo standard di vita. Le valutazioni più correnti di situazioni individuali danno i brividi: un abitante del pianeta su sei, ossia un miliardo di persone, vive in totale povertà; ottocento milioni di bambini soffrono la fame; l'Europa dei Quindici conta diciotto milioni di disoccupati statisticamente quantificati e dai cinquanta ai settanta milioni di persone in situazioni di precarietà. Cifre in continuo aumento. Situazioni ritenute vent'anni fa eccezzionali in Europa, e più o meno circoscritte, sono oggi correnti. Emergono inizialmente con la perdita di lavoro, poi con l'impossibilità finanziaria di accedere alle cure, con la privazioni dell'alloggio o con la coabitazione di numerose persone nella stessa casa, e così via. Le grandi periferie, oggetto di molte critiche quando furono costruite, sono oggi luoghi d'incontro per le popolazioni precarizzate, depauperate, fragilizzate, "disaffiliate", più o meno abbandonate, guardate con sospetto. Le situazioni di disperazione erano e sono diventate più critiche del previsto: periodi lunghissimi senza lavoro, livelli d'istruzione bassi o peggiorati in seguito a lavori aridi, mancanza di abitazionii o salute deteriorata, sentimento d'impotenza, di isolamento, di abbandono e disperazione. Siamo in grado di promuovere un'azione concreta e immediata di solidarietà? Speriamo di sì. Una goccia nel mare è poca cosa, ma è pur sempre qualcosa di importante rispetto al desolante spettacolo di orgia consumistica dei nostri giorni.
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