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La banalità del male?
21 aprile 2025
Ci è venuta in mente, nel dramma di questi giorni dall’Ucraina a Israele, la controversa definizione di Hannah Arendt, filosofa tedesca ebrea, poi rifugiatasi negli Stati Uniti, “la banalità del male” riferita alle azioni criminali del nazista Adolf Eichmann nell’Olocausto.
Eichmann non sarebbe stato altro che un uomo comune, superficiale e mediocre, incapace di pensare al valore morale dei propri atti. Dietro questa mediocrità, vi è la banalità del male, poiché sono individui banalmente comuni a poter compiere il male. E’ questo il dramma del nostro tempo, non solo sui fronti di guerra, dove governanti senza scrupoli e senza morale uccidono e massacrano innocenti, ma perfino nei più banali commenti di odio che girano sui social. In realtà, il male può verificarsi su larga scala e solo per nostra responsabilità. Quando una massa di persone “normali” riempiono il web di minacce e insulti, non possiamo non pensare che quelle persone non riconoscano la gravità della violenza che producono in rete, ma senza sentirne la responsabilità, quasi che non fossero loro azioni. In fondo sono solo parole, anche quelle di Hitler erano solo parole che galvanizzarono un popolo portandolo a commettere atrocità sui propri simili, anche bambini innocenti, che nemmeno le bestie commettono. Xenofobia, razzismo, sessismo, fanno parte della nostra vita quotidiana in una realtà virtuale che sembra lontana da noi e la cui violenza non riusciamo a percepire, perché trasmessa attraverso una tastiera. Come se quelle parole non fossero violenza reale. Non si vergogna chi scrive parole di odio, come non si vergognava Eichmann di sterminare gli ebrei. Ma questa violenza si sta radicando con sempre maggiore frequenza nella realtà in cui viviamo. Ad alimentarla sono anche i politici populisti che alimentano l’odio verso gli avversari, considerati nemici, e i migranti, considerati invasori che mettono a rischio il loro benessere e la loro tranquillità ipocrita, magari in nome di un dio che non conoscono e che, anzi, promettono di difendere, interpretandone anche il pensiero. “Gott mit uns” era il motto dei nazisti e delle SS: Dio è con noi! Tutto nasce dalla una massa che ha delegato ad altri la propria responsabilità morale, pensando di liberarsi di un peso, allontanandosi dalla logica kantiana del “cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. Ed è proprio questa “normalità” ad essere spaventosa, perché ci conferma che il male può accadere, e accade, su larga scala se dimentichiamo che ogni nostro gesto implica la nostra responsabilità. E’ quello che dimostra Putin, quando commette crimini di guerra, uccidendo senza alcuno scrupolo donne, bambini, anziani in Ucraina e quello che accade in questi giorni tra israeliani e terroristi palestinesi. E, senza andare lontano, è quello che accade ogni ora sul web dove la massa di uomini “normali” riempie la rete di insulti e minacce verso chiunque e per ogni cosa, senza riconoscere la gravità della violenza che producono sul web, quasi che non si trattasse di loro azioni. E quello che fa un ministro irresponsabile, quando spinge la massa al disprezzo contro un giudice che ha osato mettere in discussione una pessima legge sull’emigrazione, arrivando a incitare all’odio verso una persona, mettendola anche in pericolo. Non era mai avvenuto prima, ma oggi accade, complici i social e il web, dove la dignità umana non conta, di fronte alle proprie ragioni che non ammettono di essere contraddette. E tutti si fanno forza dell’essere una massa, un gran numero che protegge le bestialità del singolo. Proprio perché ormai sembra “banale”, normale, leggere insulti pieni di odio, è importante rileggere il passato e imparare, dove sia possibile, qualcosa dalle lezioni della storia (il caso Eichmann è emblematico). E’ possibile che la storia umana possa ripetersi, è già avvenuto che eventi accaduti una volta si sono ripetuti, anzi la Arendt scrive che «il ripetersi di un’azione comparsa una volta nella storia umana è molto più probabile della sua prima apparizione».
La tesi della banalità del male continua a essere un utile mezzo di indagine della complessità del mondo umano. Spesso giudichiamo o prendiamo decisioni seguendo la corrente: lo dimostrano nei talk show politici e giornalisti di parte, ai quali spetta solo il compito di trovare una giustificazione ad una congettura, un assunto del capo del momento. Accadeva con Berlusconi quando si doveva giustificare l’inesistente nipote di Mubarak, accade oggi con il Meloni quando si deve giustificare la lotta ai migranti. Il male, infatti, spesso non ha nulla di grandioso, si nasconde nella superficialità di azioni compiute senza pensare, nascondendosi dietro luoghi e abitudini comuni, per proteggersi dalla realtà che non si sa e si vuole affrontare. Questi nuovi tipi di criminali – come scriveva la Arendt -, che sono in realtà
hostis generis humani
, ostili al genere umano, commettono i loro crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agiscono male. Ma questa non può essere mai una giustificazione, altrimenti si apre la strada verso la barbarie: la cecità collettiva si produce sempre nei regimi totalitari, che traggono forza proprio dalla distorsione della percezione e dallo stravolgimento dei principi etici universali, in clima di paura (alimentata da politici irresponsabili) o di esaltazione, di conformismo e di obbedienza acritica all’autorità che sia essa politica, scientifica (vedi caso Covid) o religiosa. Additare i propri avversari alla rabbia popolare come nemici del popolo, nel tentativo di saldare la volontà della massa a quella del potere, ma è uno strumento per evitare che i cittadini possano svegliarsi dal sonno ipnotico e rivoltarsi contro chi li sta realmente danneggiando. Quando questo avviene, dopo lungo tempo, la reazione è anche peggiore e sproporzionata (vedi Piazzale Loreto con Mussolini e la Petacci). Ezio Mauro ha scritto qualche giorno fa su “Repubblica”, che «scopriamo che le fondamenta dei nostri ideali sono fragili, le nostre convinzioni deboli, le promesse incerte, gli impegni intermittenti. L’eterna realpolitik fa sbiadire l’identità valoriale, si salda al nuovo egoismo politico, si somma al consumo soltanto individuale della libertà, al restringimento di ogni prospettiva, all’esaurimento di qualsiasi “causa” generale, alla ricerca in solitudine di risposte a domande che sono ormai soltanto private, al sentimento di concorrenza tra il mio destino e quello altrui: con il futuro che torna ad essere una sfida tra indigeni e intrusi, in una contesa per lo stesso spazio di vita». Primo Levi ci ha insegnato che lo sterminio nazista fu solo l’ultimo atto di un processo di persecuzione iniziato con la contrapposizione fra “noi” e “loro”, attraverso parole di odio e intolleranza, con la discriminazione. Accade anche oggi, con le fake news, le accuse false e la perversa volontà di punire chi dissente. Ancora Primo Levi: «Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse “normale”». Ecco perché non possiamo essere indifferenti, lo diceva Antonio Gramsci: «Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti». Una lezione valida ancora e soprattutto oggi.
Felice de Sanctis
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