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L’Operaismo
15 aprile 2017

Raniero Panzieri nato a Roma nel Febbraio del 1921, iscritto sin da giovane al Psiup, si laureò in Giurisprudenza con una tesi su L’utopia rivoluzionaria del Settecento. Si dedicò in seguito ad approfonditi studi su Marx ed ottenne l’insegnamento di Filosofia del diritto presso l’università di Messina. Entrò in contatto con un gruppo di intellettuali e filosofi romani, fra cui Mario Tronti, che costituivano la cellula del partito comunista dell’Università di Roma. In quel periodo ( gli anni cinquanta ) uno degli studiosi più influenti del marxismo era Galvano Della Volpe che teneva relazioni sia all’università che all’Istituto Gramsci. Si trattava di liberare il marxismo dalle coordinate storiciste per restituirlo ad un rapporto diretto con il mondo reale e con la prassi storica. Il mondo della fabbrica era quasi sconosciuto per i giovani intellettuali di quel periodo e del resto la dirigenza del PCI comunista era per la maggior parte coinvolta nella strategia frontista avanzata da Palmiro Togliatti. Al gruppo romano si unirono in seguito il gruppo dei sociologi torinesi con Vittorio Rieser e Rita Di Leo. Per i torinesi un momento decisivo del lavoro teorico era costituito dall’inchiesta o auto inchiesta sul lavoro operaio e sulle condizioni del lavoro in fabbrica, temi che costituiranno il nucleo forte dei Quaderni Rossi e della rivista Classe operaia. Successivamente aderirono anche Romano Alquati e Danilo Montaldi. Il 1956 e il XX congresso del Partito comunista sovietico segnarono un momento importante e drammatico per le sorti del comunismo realizzato in Unione Sovietica e nel mondo intero. Per la Russia sovietica cominciava il processo di liberazione dalla dittatura stalinista e l’avvio di un nuovo corso, mentre l’invasione dell’Ungheria doveva determinare un colpo durissimo all’internazionalismo proletario e l’abbandono del Partito comunista da parte di molti intellettuali. In Italia il Manifesto dei 101 firmato da Mario Tronti e Alberto Asor Rosa conteneva una critica esplicita dello stalinismo e la denuncia delle condizioni miserevoli dei lavoratori sovietici. Venivano inoltre avanzate numerose riserve sulla ‘via italiana al socialismo’ proposta da Palmiro Togliatti, basata su lotte di massa e riforme graduali. Gli intellettuali che non si riconobbero nella invasione sovietica cercarono strade nuove che ebbero un momento di sintesi nella pubblicazione del primo numero dei Quaderni Rossi (1961) dal titolo Lotte operaie nello sviluppo capitalistico. La rivista prosegue negli anni successivi con un dibattito molto serrato al suo interno fra il gruppo romano con Mario Tronti e Antonio Negri che poi daranno vita a Classe operaia e il gruppo torinese, con Raniero Panzieri, Dario e Liliana Lanzardo, Mottura, che volevano mantenere un rapporto con il sindacato. La pubblicazione dei Quaderni rossi proseguirà fino al ’64, anno della morte improvvisa di Panzieri. Uscirà un sesto numero nel ’65. In provincia, in terra di Bari alla Facoltà di Lettere e filosofia queste notizie, queste idee cominciarono a circolare ad opera di un intellettuale Nicola Massimo de Feo che aveva conosciuto Tronti all’esame di libera docenza e aveva continuato a tenere rapporti con il gruppo romano. Nel ’68 e negli anni successivi in terra di Bari si formarono quasi tutti i gruppi della Sinistra extra-parlamentare: Avanguardia operaia, Lotta continua, il Manifesto, la IV Internazionale, il Circolo Lenin e il CAA (comitato antifascista e antiimperialista). Il Circolo Lenin e il CAA erano formazioni marxiste- leniniste, ma il secondo si rivelò una cinghia di trasmissione del PCI che non voleva perdere il rapporto con il movimento degli studenti e da essa furono reclutati tutti gli intellettuali di partito della École barisienne. In provincia, a Molfetta, fu fondato un Circolo di Potere operaio che in seguito sarebbe approdato al Gruppo politico del Manifesto con Lucio Magri, Rossana Rossanda, Valentino Parlato, Luigi Pintor. Gli indignati partecipano alla storia attraverso la microstoria, la microstoria che un soggetto vive in una piccola città di provincia, riuscendo a connettere i grandi eventi con le contraddizioni che ciascuno incontra nella vita quotidiana. Nell’università di massa di quegli anni confluivano elementi provenienti dalla piccola borghesia, pezzi della borghesia di stato, alcuni frammenti del ceto agrario e solo qualche figlio di operaio. In quel contesto la centralità della fabbrica, della realtà di fabbrica diventava qualcosa di astratto perché la zone industriali di Bari e Taranto erano in fase di insediamento, mentre le Ferriere di Giovinazzo stavano per essere dismesse. Nelle assemblee della centralità operaia, della lotta salariale come lotta politica parlavano solo i funzionari di partito (perché le formazioni extra- parlamentari erano diventate partiti) e nessuno riusciva pienamente a comprendere la portata dello scontro in atto. Più convincenti divennero i discorsi quando si cominciò a parlare di operaio sociale, dello studente come operaio sociale e delle condizioni di espropriazione a cui tutti gli studenti erano sottoposti attraverso la meritocrazia, la selezione e i costi crescenti degli studi. Si aveva fretta di finire per trovare un posto di lavoro, magari al Nord, a insegnare Materie letterarie in una scuola media di provincia per liberare i genitori dall’onere a cui nel corso dell’esistenza erano stati sottoposti. Il corso di studi in Filosofia prima della liberalizzazione era penoso perché prevedeva ancora il Latino come esame obbligatorio con un testo di traduzioni chiamato Meletemata che ancora oggi non so cosa significa. L’impegno politico era considerato dai più roba da fanatici privilegiati perché la vera politica al Sud era dominata dalla Balena Bianca che ancora utilizzava le squadracce fasciste di Almirante per pestare gli studenti con i capelli lunghi che indossavano l’eskimo. Il ’68 e il ’69 furono anni di liberazione perché avevamo lasciato alle spalle quella scuola arcaica chiamata Liceo classico e finalmente eravamo approdati all’università dove si diceva stavano i maestri del pensiero. Nell’università di Bari, a Lettere e filosofia, tranne il già ricordato de Feo e esistevano alcune teste pensanti del Pci come Vacca, De Giovanni e de Castris. Il pensiero europeo con l’operaismo e il poststrutturalismo era attraversato dalle drammatiche domande che le ecceità, le nude vite, i soggetti ponevano al mondo e quelli a parlarci del povero singolo esistente. Alcuni di noi si dedicarono al positivismo logico, alla filosofia analitica, alla logica- matematica perché intuirono che il pensiero imperiale, il pensiero del contesto- linguaggio, il pensiero lineare aveva prodotto alcuni risultati che sarebbero stati applicati nella Computer Science. Intuirono che si era prodotta un frattura fra Filosofia continentale e Filosofia analitica a cui il Nuovo razionalismo di Ludovico Geymonat aveva tentato di porre qualche rimedio. Tuttavia Geymonat e la sua scuola lo fecero in modo banale, riproponendo il Diamat che aveva ormai fatto il suo tempo e non era una risposta adeguata alle domande avanzate dal Materialismo dell’incontro, dal Materialismo aleatorio. Molte nude vite, molti ricercatori delle università italiane cominciarono a percorrere i territori dell’Impero (Inghilterra e Stati uniti) con la coscienza che l’investigazione della Filosofia analitica potesse produrre un’adeguata conoscenza del modo in cui il linguaggio diventa codice, comando, scienza già fatta, mettendo in angolo la trasgressione del codice, la rivolta, la scienza nel suo farsi. Sul piano politico la Triplice (Avanguardia operaia, Lotta continua, il Manifesto) era fallita con il Congresso di Rimini del ’77 ed aveva liberato una moltitudine di soggetti che si misero a percorrere le strade del mondo occidentale con l’idea fissa che l’operaio sociale e la nuda vita erano soggetti sacrificabili, sacrificabili ad una vita oscura, randagia, nel sottopassaggio, meglio nel sottosuolo e che le classi dirigenti stavano provvedendo al proprio avvicendamento preparando le poltrone per i propri figli, il nepotismo. Dalla scuola all’università, dalle sagrestie al parlamento. La lotta contro il precariato fu vinta nel ’77, quando i contratti di ricerca furono trasformati nel ruolo dei ricercatori con procedure idoneative. Tuttavia gli apparati ideologici di stato, e l’università è uno di questi, sanno introdurre manovre protettive per rendere crumiri i soggetti. Separarono il ruolo del ricercatore dalla docenza retribuita, rinunciando definitivamente alla terza fascia di docenza che in seguito sarebbe diventato il professore aggregato che esiste ancora oggi. Però riceve ogni anno la nomina dal Rettore. Il nepotismo ha caratterizzato l’ossatura della università italiana negli ultimi quarant’anni e le nude vite si sono difese andando in giro per il mondo. Per non fare la fine dei crumiri. Dell’operaismo rimaneva quel dispositivo teorico dell’operaio sociale unito alla centralità che fin da quegli anni assumeva il lavoro immateriale, la conoscenza come dispositivo di potere. Nel periodo degli studi universitari nel contesto della fenomenologia si studiava il testo di E. Husserl sulla Logica formale e trascendentale. Si trattava della fondazione trascendentale della Logica formale elaborata da D. Hilbert con il suo programma di Göttinga. I linguaggi formali si stavano rivelando gli strumenti più validi di investigazione del pensiero ed alcuni risultati fondamentali erano stati ottenuti da K. Gödel, A. Church ed A. Taski. Del resto l’avvento del nazismo e dei regimi totalitari avevano costretto gran parte degli intellettuali europei ad emigrare negli Stati Uniti e l’Università di Princeton, dopo l’arrivo di A. Einstein, era diventato un punto di riferimento sul piano mondiale. Se negli Stati Uniti il pragmatismo e il positivismo logico si imponevano come modalità prevalente del pensiero filosofico con la presenza egemonica di pensatori come R. Carnap e W. O. Quine, in Europa risultava ancora dominante il pensiero di E. Husserl e M. Heidegger. Il progetto di fondazione fenomenologica e tra-scendentale della logica di Husserl si iscrive nel tentativo di ridefinizione delle strutture teorematiche, elaborate all’interno dei linguaggi formali, rispetto alle operazioni costitutive di senso che il soggetto compie nel suo rapporto con il mondo della vita. Questo poderoso fermento di idee, prodotto a livello internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale, doveva ricevere un parziale livello di osservazione nell’opera fondamentale di L. Geymonat, l’Enciclopedia del pensiero filosofico e scientifico, che costituisce la più importante operazione culturale nello scenario dell’accademia italiana dopo la crisi della filosofia di Benedetto Croce e che alcuni tentano di dimenticare e far dimenticare. Il pensiero di L. Geymonat è molto complesso e si articola in una serie di opere che indicano l’evoluzione della sua filosofia a partire da Studi per un nuovo razionalismo attraverso Attualità del materialismo dialettico per pervenire a Scienza e realismo. L’elemento di unificazione, il tratto d’unione, dell’intera prospettiva è la riproposizione del Materialismo Dialettico, il Diamat, contro la possibilità di una interpretazione regressiva e formalistica della scienza avanzata da pragmatisti e positivisti logici. Nel contesto di quel programma veniva aperto un confronto serrato sia con i filosofi analitici sia con i pensatori della Scuola di Francoforte (Th. W. Adorno, H. Marcuse, M. Horkheimer). Il Diamat veniva presentato come l’unica valida interpretazione del reale e si coniugava con un processo di trasformazione della società italiana che vedeva nel PCI il principale protagonista. A questo proposito Geymonat guardava con sospetto alla nuova strategia avanzata all’interno del più grande partito comunista d’Occidente, l’attraversamento del guado e il compromesso storico. Aveva aderito ad una formazione marxista-leninista che si presentava come Movimento studentesco ed era collegata a livello nazionale con la realtà disseminata dei Circoli Lenin e di tutte le formazioni marxiste leniniste. Sul piano teorico, tuttavia, l’avversario, la prospettiva da combattere, era l’ideologismo dei francofortesi che metteva in discussione il carattere conoscitivo della scienza e la sovversione dei decostruzionisti che, anche sul piano strategico, si andavano aggregando nel gruppo di Potere operaio e in seguito di Autonomia operaia. Questa storia non è stata ancora scritta, ma l’interlocutore di L. Geymonat non erano i nuovi soggetti, le talpe, il proletariato intellettuale, ma il Partito comunista italiano e i settori del partito organizzati nelle facoltà universitarie. Sulle colonne di Rinascita intervenne negli anni settanta, denunciando la scarsa attenzione rivolta dal partito, dall’intellettuale collettivo, da uno dei soggetti della trasformazione alla nascita dei nuovi saperi e dai fenomeni che questi inducevano nel tessuto della società italiana. Questo grande intellettuale, quest’uomo del passato che aveva fatto la Resistenza, non si rendeva conto che anche il Diamat da lui proposto agiva come forma, la forma partito, la forma del comando sociale, la forma che rimuove la materialità decostruttiva dei soggetti da sacrificare, delle nude vite, delle talpe, di chi vive nel sottosuolo, che erano i soggetti della trasformazione e che si rivolgevano ad altre fonti della cultura contemporanea. La problematica dei bisogni, lo spazio del corpo, l’evento della parola, la balbuzie di Artaud, il corpo del carcerato, i pazzi della Salpétrière a Parigi, i reclusi delle strutture manicomiali e degli ospedali psichiatrici, gli spettacoli di Carmelo Bene, tutti momenti di riflessione e di vita che erano indagati da quello che oggi viene definito come il post-strutturalismo francese. Il ritorno dagli Stati Uniti dopo la permanenza di un anno alla Boston University è stata la cosa più triste e avvilente della mia vita. Eravamo verso la fine degli anni Ottanta e tutto era cambiato. Nelle facoltà universitarie non esistevano più i collettivi, mentre si stava consolidando l’informatizzazione della pubblica amministrazione e delle strutture formative. I luoghi dei racconti stavano diventando sempre più simili a degli uffici comunali o a squallide agenzie di collocamento. I corridoi delle facoltà umanistiche, ormai ritenute facoltà a sviluppo zero, diventavano sempre più deserti. Qualche vecchio matusa proponeva scampoli di pensiero debole, ma la maggior parte dei cattivi maestri era fuggita all’estero o aveva lasciato l’università. Finalmente si poteva tornare a proporre una filosofia accademica, una filosofia che non induceva processi di trasformazione della realtà, una filosofia della società aperta. K. Popper aveva pubblicato La società aperta e i suoi nemici e molti intellettuali italiani aderirono al messaggio, individuando nel marxismo una filosofia della schiavitù umana. Se sul piano europeo si imponeva la London School of Economics, su quello nazionale emergevano e si affermavano università come La Bocconi e la Luiss. Cominciarono a circolare testi di F. von Hayek come quello sul Liberalismo, mentre in campo epistemologico diventavano dominanti filosofi come F. Barone, M. Pera e D. Antiseri. Finalmente nel 1990 arrivò la Pantera contro la proposta dell’inserimento dei privati all’interno dei Consigli di amministrazione delle università pubbliche. La facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Bari fu occupata per sei mesi, da Ottobre a Marzo dagli studenti del Movimento. Qualcuno invocava l’intervento della polizia, qualche altro sbavava in assemblea perché non riusciva da sei mesi a proporre il suo vano turpiloquio. A Parigi Derrida teneva un seminario sul cannibalismo e sull’amore, l’atto d’amore come mangiare l’altro, nutrirsi di esso. La problematica della decostruzione contenuta ne La scrittura e la differenza veniva proiettata nell’attimo estatico dell’amore. Un segmento del pensiero contemporaneo in seguito approfondito da Jean- Luc Nancy. Nella mia vita ho incontrato solo mezzi uomini, i più squallidi nella vita accademica. Non credo di aver avuto mai veri maestri a parte de Feo, Geymonat e Casari. Gli ultimi due hanno rappresentato un punto di riferimento importante per la cultura filosofica italiana, anche se il materialismo dialettico e la logica matematica non davano risposte adeguate alla nozione di razionalità complessa che da qualche tempo vado elaborando. J. Baudrillard ha sostenuto nella parte finale de Lo scambio simbolico e la morte che se marxismo e psicoanalisi sono in crisi bisogna farli cozzare contro per vedere che spettacolo ne viene fuori. In effetti la psicoanalisi, spesso accusata di essere un sapere piccolo-borghese, è l’unica dimensione in cui emerge la natura rimozionale e potestativa del pensiero normale. L’unica scienza che permette di interpretare i percorsi della devianza, la sua genesi, le dinamiche complesse che la condizione di devianza mette in campo. L’origine della malattia è sempre sociale e per questo bisogna inventare politiche dell’amicizia. “Con questo divenir politico, attraverso tutti gli schemi che gli attribuiamo, a cominciare dal più problematico di tutti, quello della fraternità, si apre la questione della democrazia, la questione del cittadino e del soggetto come singolarità contabile. E’ quella di una fraternità universale. Non c’è democrazia senza rispetto della singolarità e dell’alterità irriducibile, ma non c’è neanche democrazia senza comunità degli amici, senza soggetti identificabili, stabilizzabili, rappresentabili e uguali fra loro.” (J. Derrida)

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