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“Io, molfettese nell'inferno dell'Iraq” ESCLUSIVO – Un militare racconta: è stato faticoso, ma lo rifarei
15 novembre 2003

“Sono sconvolto, non chiedetemi nulla, per favore. Non ci sono parole che possano descrivere il mio stato d'animo in questi momenti. Quando mi avevate fatto l'intervista non avrei mai immaginato una tragedia di queste dimensioni. Chi ha vissuto quell'esperienza può capire. Sono vicino alle famiglie distrutte dal dolore. Scusatemi, non riesco a dire altro”. Poche parole per descrivere uno stato d'animo di un giovane, Michele D. che è stato protagonista della missione in Iraq. L'intervista che segue era stata realizzata prima della tragedia di Nassiriya. “Appena scesi dall'aereo avvertimmo molto caldo, ci dicemmo, beh, sarà colpa del motore, siamo ancora troppo vicini. C'è bastato allontanarci di 100 metri per capire che l'aereo non c'entrava, era l'Iraq quello, la sua temperatura normale”. Inizia così il racconto a QUINDICI di Michele D., militare molfettese volontario in Iraq. Un ragazzo come tanti, con nessuna voglia di fare l'eroe, la normale trafila, il diploma, la ricerca di un lavoro e poi la decisione di arruolarsi nell'esercito e di fare il volontario permanente. E' partito per l'Iraq il 27 giugno di quest'anno e lì è rimasto fino al 17 ottobre, 113 giorni davvero duri. “Eppure le rifarei”, ci ha detto. Tanto per cominciare adattarsi ai sessantotto gradi del deserto non deve essere stato facile. “I primi 15 giorni sono stati terribili, non c'era nulla, il campo interamente da costruire, niente tende né cucine, tanto che abbiamo dovuto arrangiarci con le razioni portate dall'Italia, nemmeno a parlarne di aria condizionata. Abbiamo dormito nei casolari dove prima alloggiavano i militari di Saddam Hussein”. Il pensiero di Michele torna, più che a questi disagi, al caldo e alla maniera di difendersene in qualche maniera: “Abbiamo contato sull'arte di arrangiarsi. C'era chi costruiva una specie di cintura con le bottigliette di acqua ghiacciata e addirittura chi si è rifugiato nelle celle frigorifere. Poi sono arrivate le tende climatizzate e siamo stati un po' meglio”. Inizialmente erano lì 1.000 militari e poi sono diventati 3.000 in seguito all'aggiunta delle altre forze dell'ordine. Il comando dei militari italiani distava una decina di chilometri dal luogo dove si erano accampati, più vicino alla città di Nassiriya. Michele si occupava della contabilità dei viveri, ma in momenti di difficoltà anche di problemi di manutenzione. “Il clima tra i soldati italiani era vivibile” - dichiara il nostro militare in missione - “si sopravviveva”. Anche il rapporto con gli americani era buono. Sebbene i contatti con la popolazione civile fossero quasi nulli, si poteva ben constatare la povertà nella quale viveva la popolazione. Nessun episodio di rilevanza militare, tranne quando durante la operazione “Sesterzi” c'è stata una piccola rivolta sollevata dagli iracheni, ma l'esercito italiano ha placato tutto senza aprire il fuoco. “E' stata un'esperienza indimenticabile, perché vedere la povertà ti insegna molto e -continua Michele - ad ogni modo non potrò mai dimenticare il fascino delle lune piene e delle stelle”. Alessandra Palmiotto
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