I liceali di Molfetta e la grande guerra
Entrare in una vecchia biblioteca, per riordinarla, può dare origine ad un'avventura della conoscenza e in un simil luogo polveroso tra libri in scaffali o affastellati dappertutto o ammucchiati in un angolo, m'accadde di pervenire. Mi accingevo a strologare una nuova lanterninosofia a modo di Mattia Pascal, quando per servizio civile entrò in azione un manipolo, esattamente un trio, di giovani donne, laureate e laureande: Rosanna Salvemini, Miriam Massari, Claudia Modugno. In poche settimane fu trasformato in biblioteca “civile” un antro polveroso e graveolente sotto la guida competente ed alacre della dottoressa Salvemini, che spesso trovavo seduta sul pavimento in silente solitudine tra un gregge di libri, nelle cui “anime”, presenti o trapassate, ella introspiceva. E me ne trasmetteva messaggi. Avendovi trovato un discorso del prof. cav. Domenico Magrone sugli studenti liceali, caduti nella guerra del 1915-18, ne traggo buon uso anche in ordine all'informazione toponomastica urbana della nostra cittadina. L'opuscolo fu stampato con i tipi di Gadaleta nel 1928 ed è presumibile che l'evento, cui il discorso fu dedicato, appartenga allo stesso anno. S'era quindi in un sistema fascistico ormai stabile e totalitario. Tra retorica e sentimento la Vittoria per antonomasia, quella di Vittorio Veneto, rimase un mito stabile nel regime e, sebbene già l'amministrazione Roselli, l'ultima eletta prima della marcia su Roma, avesse - incalzata dalla domanda delle donne cattoliche d'affiggere una lapide commemorativa dei caduti della grande guerra nella cattedrale e quindi minacciata di destituzione da parte d'una sorte di volontarie, per giunta idealmente collocate - avvicendato commissioni pigre o inerti, si deve al fascismo (1930) l'erezione del monumento cozzoliano, che scacciò Garibaldi dalla sua piazza. Il liceo pensò di celebrare diversamente i caduti in quella guerra, diciamo in un orticello proprio, il suo edificio. Fu deliberato di dedicar un'aula ai giovani guerrini liceali, fornita di lampada perenne: “E' là” disse il Magrone “una lampada votiva che arde e irradia il nuovo santuario, ove un dovere chiama a raccoglimento”. Egli, dopo aver espirato la sua devozione alla Vittoria, esecrando “l'egemonia teutonica”, pronuncia un'esaltazione della scuola, ma si capisce subito che per lui scuola tout court è il liceo classico. Tale scuola, anzi Scuola, “vissuta fin dagli anni del nostro Risorgimento, andò preparando le generazioni alla completa Unità della Patria. Possiamo affermarlo e dire sinceramente il vero: fu palladio, antesignana della vita italiana, e fra differenti tendenze serbò intatta una direttiva: l'italianità”. “Compiuta la sua Indipendenza, l'Italia ripose nella Scuola la sua cultura, per la propria restaurazione morale”. Nella fucina della scuola sono fusi poeti e filosofi di differenti correnti, ma “tutti convergono nell'Idea del P r i m a - to d'Italia”. La “Scuola” “aveva già dato all'Italia “il suo Vate” ( C a r d u c c i ) “aveva già indicato l'Uomo e il suo Genio, per condurla a quel Primato”. Era ovvio nel 1928 che Primato porta Genio e Genio e Primato portano Mussolini. Se agli studenti, “anime elette”, dice “nella nostra aula tempraste il vostro intelletto alla aspirazione del bene e dell'onesto”, non tace il merito dei professori, “che della scuola e nella scuola vivemmo”, “sentivamo che la nostra opera raccolta, modesta, ma costante ed assidua non poteva dileguare”. L'aula dedicata agli studenti caduti, mi dice il prof. Giovanni De Gennaro, fu la prima a destra, entrando per l'ingresso monumentale, ma non v'è traccia di targhe dedicatorie. La lampada e i ritratti dei giovani dopo anni furono spostati nei corridoi, dove li vedevo studente e ancora sono appesi. Una lapide artistica, affissa a sinistra lungo la scalinatella vestibolare, ne racchiude i nomi.