I FUNERALI. Il vescovo: non rimanga inascoltato il monito di queste bare
Ancora una volta la chiesa della Madonna della Pace ricolma di gente fino alla strada, di nuovo un funerale comune che coinvolge e chiama in causa la città, di nuovo i manifesti e gli striscioni sulla cancellata, di nuovo tante, troppe bare con dentro corpi troppo giovani. Il funerale di quattro delle vittime (le esequie di Dritan Hoxha si sono svolte in Albania) dell'incidente stradale sulla statale 16 tra Molfetta- Bisceglie, che ha chiuso un'estate di sangue sulle strade della nostra città, ha il sapore di un triste dejà vu; ma se nello scorso marzo, dopo la morte dei cinque operai della Truck Center, si piangeva la tragedia della solidarietà, questa volta si è storditi dalla futilità dei motivi per cui quattro vite, quelle di Lazzaro, Sergio, Annalisa e Elisabetta, si sono spezzate “in un cumulo di lamiere, nel cuore della notte”. Anche il vescovo, mons. Luigi Martella, lo sottolinea, in maniera diretta e anche cruda, senza ipocrisie, nel corso della omelia funebre: “Cari giovani, nessuno vi impedirà mai di fare festa, ma vi supplico, non rimanga inascoltato il monito che si leva da queste bare. Le istituzioni possono fare avvertimenti, sanzioni disciplinari, ma non basta se non c'è raziocinio: la prudenza è una virtù necessaria da acquisire e la sicurezza è una cultura da indossare. Non dobbiamo abituarci a questa triste realtà degli incidenti stradali, occorre un senso di responsabilità: anche la guida è un campo in cui difendere il valore della vita”. Anche più tardi, nel corso del messaggio finale, il vescovo tornerà sull'argomento: “queste bare parlano ancora, parlano ai giovani. Alcune volte la morte dipende da fattori esterni alla volontà umana, altre volte no: non buttate via l'esistenza; siate, invece, accorti, vigilanti, prudenti”. Fuori dalla chiesa, una fiumana di gente: tanti conoscenti, tanti coinvolti anche se non hanno mai conosciuto nessuno dei quattro passeggeri di quella Mercedes impazzita nel cuore della notte di un sabato sera di fine estate, altrettanti curiosi che vogliono passare un pomeriggio a far vedere il nuovo occhiale da sole, anche se di sole non ce n'è: non potrebbe essercene, di sole, in un pomeriggio così. C'è la stampa regionale, quella nazionale è andata via quando ha capito che non era l'albanese ad essere finito addosso agli italiani, c'è la solita corsa allo scatto fotografico migliore e, anche se c'è il divieto di introdurre in chiesa telecamere e macchine fotografiche, c'è qualche localissimo reporter che pensa che sia molto più morale fare riprese a un metro fuori dalla chiesa, con la porta aperta, durante l'omelia, come se lì misteriosamente il divieto, almeno quello del buon gusto, non ci fosse più. C'è il MotoClub Molfetta con le vetture in parata: su una, c'è un giubbotto di pelle che non verrà mai più indossato; sotto, il messaggio “Sergio, con noi in vita, in noi per sempre”. A salutare Sergio anche la Federazione italiana cuochi con un messaggio per ricordare il collega. Il momento più duro e più insopportabile, così come fu nello scorso marzo, arriva proprio poco prima della fine, prima che le quattro bare escano. Ci sono due amici che ricordano i quattro ragazzi, due futuri sposi, gli altri due futuri testimoni di quel matrimonio, e altrettanto vicini nelle intenzioni a coronare il loro sogno d'amore, come rivela una lettera letta subito dopo: è firmata da Sergio, indirizzata alla sua fidanzata Elisabetta, porta la data della festa per il loro primo anno insieme ed è troppo pulita, semplice e dolce per finire su qualsivoglia giornale. E' strano: nel pomeriggio dei sogni spezzati, quelli d'amore di Lazzaro e Annalisa, di Sergio ed Elisabetta, e quello di un futuro sereno e un presente fatto di lavoro di Dritan, esce il sole solo per un momento. E' strano perché viene fuori dalle nuvole quando le bare vengono fuori dalla chiesa, tra due ali di folla, neanche a farlo apposta, neanche nella mente del più retorico degli scrittori. Capita spesso così. Escono prima Lazzaro e Annalisa. Poi escono assieme le due bare bianche dei promessi sposi Sergio ed Elisabetta. C'è commozione, ma c'è ancora l'eco consapevole delle parole del vescovo: questi qui, di funerali, hanno un come e un perché molto precisi. La gente lo sa: è la maniera giusta di ricordare queste quattro vittime della velocità, è giusto tenerlo a mente. 'Non buttate via la vita', dice il vescovo. E gli applausi quando le bare escono sono tanti, ma se anche uno solo di coloro che applaudono domani porterà più giù il suo tachimetro, smetterà di correre in macchina, vorrà dire che quattro vite non sono volate via, come se nulla fosse, che quei quattro ragazzi magari lì dove sono, e come si augurano gli amici dall'ambone della chiesa, sorrideranno veramente. Tanti, tantissimi applausi, su quattro bare, su quattro carri funebri, con la stampa, con le istituzioni affrante, con la città. Ancora una volta.
Autore: Vincenzo Azzollini