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Giornata di studi sulla Prima guerra mondiale organizzata dal Comune di Molfetta Conoscere la grande guerra per ripudiare tutte le guerre: imperialismi e nazionalismi a confronto domani giovedì 11 dicembre dalle 9.30 alle 19 alla Fabbrica di San Domenico
10 dicembre 2014

MOLFETTA - “Confido che si proceda con il dovuto impegno nell’opera di conservazione della memoria e di analisi e riflessione storica sul primo grande conflitto mondiale, e che da parte delle competenti istituzioni si segua con attenzione l’anniversario". Il Comune di Molfetta, accogliendo l’invito del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, promuove giovedì 11 dicembre alla Fabbrica di San Domenico una giornata di studi dal titolo: “Conoscere la grande guerra per ripudiare tutte le guerre: imperialismi e nazionalismi a confronto”.

I lavori sono divisi in due sessioni. Quella mattutina si aprirà alle 9.30 con il saluto del Sindaco Paola Natalicchio e dell’assessore alla cultura Betta Mongelli cui seguiranno gli interventi del prof. Angelantonio Spagnoletti, Università degli Studi di Bari, sul tema “La fine della vecchia Europa”; del prof. Giuseppe Poli, Università degli Studi di Bari, “L'Italia e la Grande Guerra: la Quarta guerra di indipendenza?” e del prof.
Vito Antonio Leuzzi, direttore dell’Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea, su “La Puglia e Molfetta nella Grande Guerra”. 
Nel pomeriggio si apre alle 16.30 la seconda parte con i docenti dell’ Università degli Studi di Bari, Ornella Bianchi: “Il contributo delle popolazioni civili alla guerra”; Italo Garzia: “La questione adriatica”; Vincenzo Robles: “La Chiesa di Puglia e la guerra” e dello storico salveminiano, illustre collaboratore di "Quindici" Marco Ignazio de Santis: “Un interventista democratico in trincea: Gaetano Salvemini alla guerra”. 
Alla giornata di studi aperta alla cittadinanza parteciperanno gli studenti delle scuole superiori della città. 

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La maggior parte delle guerre ha avuto chiare connotazioni religiose o, quanto meno, ha trovato una giustificazione religiosa. Le guerre di religione da una parte e le numerose giustificazioni che esistono per la guerra, dall'altra, avvalorano questa affermazione. Le guerre europee del tardo Medioevo e la rivoluzione eslamica in Iran sono chiari esempi di guerre a carattere religioso. L'ultima guerra mondiale nonché quella americana nel Vietnam possono costituire esempi di guerre non di religione ma che, tuttavia, rivestono un carattere religioso: non furono guerre di conquista, né puramente economiche; erano comunque ispirate da un ethos religioso: salvare la Civiltà, la Libertà, la Democrazia, tutte con la maiuscola. La guerra civile spagnola del 1936 fu definita da una parte come “crociata” e dall'altra assunse, soprattutto all'inizio, un carattere marcatamente antireligioso, in particolare nei confronti della Chiesa cattolica istituzionale. La Guerra del Golfo, che nello specifico fu dapprima una guerra economica e di dominio politico, si vide significativamente giustificata da entrambi le parti da motivazioni religiose e, in ambedue i campi, con un linguaggio teista, e questo si sta ripetendo ancora a distanza di anni. Ogni guerra è al contempo civile e religiosa. Coloro che intraprendono le guerre di religione, invocano il nome di Dio e asseriscono di farne la volontà, si giustificano con la difesa di nuna determinata confessione religiosa e, in genere, cercano di dimostrare che la guerra viene intrapresa per una causa di vita o di morte, cioè religiosa. Gli Stati Uniti si considerano successori del popolo eletto dell'Antico Testamento difendendo la democrazia e la Libertà in nome di Dio e salvando il mondo dai falsi Dei. Le istituzioni religiose da tempo immemorabile hanno impartito alle imprese militari la loro benedizione. Il carattere religioso della guerra è manifesto. L'uomo e la società umana si trovano a confrontarsi con i problemi ultimi della morte, della vita, della giustizia, della fedeltà, dell'obbedienza e altri ancora. In una parola: la guerra, da sempre, è stata un nfenomeno religioso. Gli Dei facevano la guerra e quasi sempre gli uomini la facevano all'ombra di stendardi ed emblemi delle rispettive religioni. Bisognava consultare l'oracolo, i sacerdoti impartivano le benedizioni. Per secoli la Croce e la spada sono state unite. “Dien le veut”, “Gott mit uns”, “In God we trust”, “Sancta Maria” sono state grida di guerra utilizzate per giustificarla. La PACE è un desiderio di dialogo che sorge quando ci rendiamo conto che non bastiamo a noi stessi, ma possiamo imparare qualcosa dagli altri mettendo in comune le nostre esperienze. In questo senso, non riguarda esclusivamente la politica, l'etica o la religione: è un compito integralmente umano al quale, come uomini siamo chiamati.
.........frattanto, si sostiene che urgenti problemi economici e sociali determinino un declino della civiltà: il deperimento delle città e l'inquinamento dell'ambiente si accrescono di continuo, mentre il problema dei trasporti, quello dell'istruzione, delle abitazioni, delle cure mediche, degli ospedali e del benessere sociale soffrono a causa della diversione della ricchezza in preparativi di carattere militare. Il contributo degli Stati Uniti agli aiuti internazionali (che comprendeva in gran parte3 aiuti militari, invece di quell'aiuto economico di cui le nazioni sottosviluppate hanno bisogno per conseguire un miglior livello di vita) è stato ridotto di oltre la metà. Gli Stati Uniti hanno posato l'uomo sulla luna nel 1969, trascurando però problemi più immediati sulla terra. ( Senza dubbio l'ex Unione Sovietica provava la stessa frustrazione di fronte alla possibilità che le spese militari crescendo ulteriormente, distruggendo ogni speranza di poter conservare solidità all'economia e alla finanza dello stato sovietico. Questo stato d'animo contribuì a rendere possibili i colloqui sulla limitazione delle armi strategiche che si aprirono nel novembre del 1969). La via verso il controllo internazionale sarà nondimeno lunga e ardua. E' probabile che sia l'Occidente sia l'Oriente continuino a prepararsi per una guerra che non desiderano, portando avanti la lotta fra potenze con altri mezzi e con l'accompagnamento a noi oggi familiare di minacce e controminacce nucleari. La guerra ci appare oggi capace di distruggere la società; eppure i mezzi adottati per scongiurarla consistono nel costruire i mezzi per intraprenderla. In un tale mondo le potenze occidentali, per tenere una via di mezzo tra la catastrofe e la capitolazione, facendo fronte validamente alla sfida delle potenze orientali, dovranno consolidare all'estremo la loro disciplina sociale, il loro atteggiamento politico e tutti i valori impliciti nella tradizione occidentale.
Non lo sarà nemmeno in futuro. La condizione che un conflitto, per essere classificato come stato di guerra, debba essere in qualche misura un'attività organizzata, può suggerire che la guerra sia una condizione che si sviluppa con l'evolversi della civiltà. Di fatto taluni filosofi, come Rousseau, e taluni etnologi, come W. J. Perry e la scuola dei “diffusionisti”, hanno attribuito alla guerra e alla civiltà un'origine comune. Alcuni etnologi si sono rifatti a talune popolazioni ferme all'età della pietra, come gli eschimesi, per suggerire che l'uomo primitivo era “pacifico”; ed è chiaramente manifesto che la guerra si è andata intensificando man mano che l'uomo è diventato più “civile”. Partendo da questi elementi è possibile inferire che la guerra sia un fatto “innaturale”. Se essa è “innaturale” ci sono fondati motivi a sostegno della tesi che essa può essere eliminata dalla società; se infatti l'uomo non è per natura un animale combattivo, è concepibile che si possa trovare un rimedio al male che ha sempre afflitto la civiltà.La maggior parte degli antropologi culturali dissente d'altra parte dall'opinione che l'uomo più primitivo non conoscesse la guerra. Essi considerano le sue spedizioni alla ricerca di cibo e di una compagna una forma primitiva di guerra. Il cammino della civiltà, mentre ha intensificato la guerra a certi livelli, per esempio sul piano dei conflitti tra le nazioni, ha di fatto chiaramente abolito le sue manifestazioni ad altri livelli, per esempio all'interno dello Stato nazionale. Pochi vorranno negare che, all'interno di questa sfera, lo Stato nazionale è diventato uno tra i più importanti strumenti di civiltà creati dall'uomo. La guerra non è, come ci viene detto talvolta, il prodotto dello Stato nazionale e del nazionalismo estremo. Le guerre esistevano già prima della nascita degli Stati nazionali. Alla luce di queste circostanze, la guerra moderna tra nazioni può essere considerata una regressione alla barbarie non ancora soggetta a controllo da parte delle crescenti forze civilizzatrici che hanno educato l'uomo all'interno dello Stato. Sia che si accetti la tesi che la guerra è figlia della civiltà sia che si inclini all'opposta nozione che vede la guerra un prodotto della natura umana, è chiaro che lo sviluppo che si osserva nella guerra è stato strettamente legato al processo del mutamento storico. Il progresso sociale, politico, economico e culturale dell'uomo ha risentito, nel bene e nel male, dell'influenza e dell'urto del conflitto armato. Il giudizio della guerra è stato, molto spesso, il fattore decisivo nel processo del mutamento storico. Le guerre persiane salvarono l'Europa dalla tirannide asiatica. L'Impero romano fu fondato mediante la guerra, e la guerra contribuì alla sua distruzione. In tutti i secoli la guerra fu determinante quando altri metodi di giungere a una decisione si erano rivelati impari al compito. Sarà così anche in futuro, forse anche domani?

La Guerra mondiale del 1914-1918 ebbe un effetto molto serio sulla compagine sociale del mondo intero. Le sue solo conseguenze fisiche furono sufficienti a rallentare la marcia in avanti della civiltà e a distruggere quella fede generale nell'inevitabilità del progresso umano che aveva contrassegnato gran parte della filosofia dell'Ottocento. I costi materiali della guerra, compresi i danni inflitti alla proprietà, sono stati stimati a 28 miliardi di dollari, e a 20 milioni il numero dei morti e invalidi permanenti tra militari e civili. Poiché la maggior parte di essi erano giovani e padri potenziali, la perdita reale per la popolazione mondiale fu molto maggiore. La disorganizzazione causata direttamente da perdite fu solo un aspetto della questione. La nuova direzione imposta in tempo di guerra ai canali commerciali, la stimolazione di industrie non economiche e di un'agricoltura sub-marginale, la nuova sistemazione postbellica di frontiere politiche sulla base dell' “autodeterminazione nazionale, che veniva a volte a incidere negativamente su economie regionali solide e vitali, gli enormi debiti contratti dai governi dei paesi belligeranti e le pesanti riparazioni imposte ai vinti, tutto ciò sottoponeva a sforzi tremendi le economie nazionali e la bilancia dei pagamenti internazionali. Il valore di molte monete entrò in crisi, il numero dei disoccupati salì, aumentarono i disordini e le irrequitezzse sociali e si ebbe un declino dei valori morali. Per la prima volta nella storia dell'uomo, il flagello della guerra fu considerato dalla maggior parte dell'umanità il male peggiore. Una dimostrazione di questo fatto si può vedere nei tentativi compiuti dai vincitori di punire i “criminali di guerra” e i responsabili dello scoppio della guerra stessa. Si parlò di processare il Kaiser e addirittura di impiccarlo. Se questi progetti finirono in nulla, le stesse tendenze vennero in luce in un'accusa contenuta nel trattato di pace con la Germania, e nelle grandi somme di denaro che furono imposte come riparazioni di guerra. Gli alleati furono mossi in grande misura dal desiderio di vendetta, ma queste cose erano indicative anche di un nuovo atteggiamento: ossia che i responsabili di aver causato la guerra e i criminali di guerra dovevano in qualche modo pagare per i loro misfatti. Una prova più chiara di questo nuovo atteggiamento nei confronti della guerra ci è offerta dal fatto che agli uomini di Stato incaricati di elaborare i trattati di pace fu affidato anche il compito di progettare un sistema destinato a impedire il ripetersi dell'olocausto. Molte persone abbracciarono senza riserve la causa del pacifismo, altri tentarono di stabilire una distinzione tra guerre “giuste e “ingiuste” e di chiedere l'istituzione di un meccanismo capace di mantenere la pace. Perciò il patto sociale di un nuovo tipo di organizzazione politica, la Società delle Nazioni, fu inserito nei trattati che misero legalmente fine alle ostilità. Molti credevano che l'umanità stesse entrando in una nuova epoca in cui non ci sarebbero state più guerre. Non è stato così: lo sarà in futuro?

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