Energia e passione: per Fiorella Mannoia a Molfetta una cascata di affetto
Fa a fette le gradinate dell’anfi teatro e il cuore della sonnolenta Molfetta di fi ne estate, Fiorella Mannoia, la coverista più grande d’Italia. E da questo cuore grondano passione, un’attaccamento quasi insospettabile, e delle vibrazioni che è diffi cile ricordare così, nonostante la rassegna estiva curata dalla Fondazione Valente (anche quest’anno inserita nel cartellone dell’Estate Molfettese), presieduta dal dott. Pietro Centrone e dall’amministrazione comunale, diverse volte, specie nell’appuntamento fi nale della stagione, abbia off erto negli ultimi anni grandissimi ospiti, con spettacoli di primissimo livello (gli ultimi due Francesco De Gregori e Antonello Venditti). Ma tra Fiorella Mannoia, cui è toccato quest’anno chiudere la rassegna, e il pubblico si crea qualcosa, una energia pura subito avvertibile. Fino al gran fi nale, profumato di affetto ed emozioni, in cui la cantante è appunto passata tra le fi le dell’Anfi teatro di Ponente, nel cuore del suo pubblico, cantando e ballando assieme a gente di ogni età. E’ la trasversalità che caratterizza realmente il concerto, tappa dell’«Acoustic Tour 2010» della 56enne (incredibile, eppur vero) interprete romana: chi accompagna la sua voce dalle gradinate cantando a memoria i testi delle sue canzoni non ha davvero età, ed è normale che sia così, perché il suo viaggio attraversa trent’anni di musica leggera italiana. Ma è, anche e soprattutto, quel feeling che Fiorella Mannoia crea subito, quell’istrionismo che tradisce le sue origini, come attrice di cinema, sempre frizzante e al tempo stesso elegante. E anche quando scivola sulla buccia di banana della retorica, su Clandestino (Manu Chao) e subito dopo, non lo fa in maniera becera, come potrebbe capitare. Visibilio dei fan (suoi, o del messaggio), sventola una bandiera di Emergency, organizzazione cui la cantante ha diverse volte manifestato solidarietà. Era partita da lontano ma vicino nel tempo, Fiorella Mannoia: il bell’inizio, con, tra le altre, Le tue parole fanno male di Cesare Cremonini (qualcuno dirima il mistero del perché la snobbissima critica continui ad esiliarlo dal gotha della grande musica cantautorale) e «Ho imparato a sognare», brano di nicchia dei Negrita, sono materia recente dello studio musicale dell’interprete e dei musicisti che la affi ancano. Con il quartetto d’archi di Marcello Sirignano (primissimo livello), Nicola Costa alla chitarra, Fabio Valdemarin al pianoforte, Alfredo Paixao al basso, Lele Melotti alla batteria e Carlo Di Francesco alle percussioni, è una formazione che garantisce robustezza e delicatezza per tutta la durata dello spettacolo. Spettacolo che entra nel vivo con i classici: Sally, in una versione ancora più distante rispetto all’originale di Vasco Rossi. Sono passati quasi 15 anni e forse questa donna ferita ma sopravvivente cantata dal Blasco è diventata ancora più grande, ancora più serena e in pace con se stessa. E poi I treni a vapore di Ivano Fossati, un’altra pietra miliare. E il viaggio alle origini, con Caff è Nero Bollente, anno ’81. Come il treno scritto da Fossati, di stazione in stazione (e di canzone in canzone), con poche chiacchiere, lo spettacolo scivola via leggero e denso. Ai primi versi di Il pescatore di Pierangelo Bertoli, giuriamo di vedere una donna singhiozzare. Su quella preghiera a un Dio da una moglie di un uomo in mare, una preghiera che Molfetta conosce bene da secoli, su quel “dimmi che tornerà”, in quelle lacrime oneste durante un concerto allegro, c’è una storia forse immaginabile, ma che conosce solo lei. E’ una canzone che è il pensiero di chi resta a casa, mentre il suo uomo è in mare. E fa fronte alla paura, alla lontananza, alla tentazione di un nuovo amore: nella sera di settembre sembra scritta per Molfetta, da decenni per ironia e sberleff o “città delle belle donne” perché, si diceva, allegre e disinvolte, mentre i loro uomini erano in mare. Probabilmente, scrive Bertoli e canta la Mannoia, la storia è un po’ diversa, c’è tanta solitudine e paura di non farcela, e forse è una storia che merita più rispetto. Il gran fi nale è il già citato show con il pubblico coprotagonista. Via i tacchi, e per il bis la cantante romana passa tra il pubblico, cantando e ballando, trascinando con sé tutti, sotto Il cielo d’Irlanda. Mani strette, cascata di aff etto, è un one-girl show. Girl, perché questa donna fatta di energia e brillantezza, è destinata a restare ragazza sempre. E chi l’avrebbe detto.
Autore: Vincenzo Azzollini