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Educazione formale: giovani a confronto in un meeting mondiale
15 febbraio 2010

Nessuno può educare un’altra persona, nessuno può educare sé stesso. Le persone possono soltanto educarsi l’un l’altro, insieme dall’una all’altra parte del mondo, è questo il famoso aforisma di Paulo Freire, che è diventato frase emblematica e riassuntiva di uno dei gruppi di lavoro del meeting mondiale, quello relativo all’educazione. Così come per gli altri workshop, il lavoro dei vari sottogruppi, il quale ha permesso un primo confronto tra ragazzi di diff erenti nazionalità, supportati da validi interpreti,è stato riassunto infatti in un documento fi nale, presentato il pomeriggio dell’ultima giornata del meeting. Tra le tante proposte, si è posto l’accento soprattutto sulla necessità di garantire l’istruzione a tutti, soprattutto alle ragazze, della cui educazione culturale i genitori non sempre comprendono l’importanza. Risulta per questo indispensabile, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, sfruttare le infrastrutture preesistenti e crearne altre itineranti, per poter coinvolgere un maggior numero di persone. Inoltre in molti Paesi è necessario incentivare la ricerca e, per quanto concerne gli insegnanti, incentivare dei seminari per approfondire la loro formazione e creare dei criteri di valutazione per assicurarsi che gli standard di competenza siano raggiunti. Ma il punto chiave del documento fi nale sembra essere la necessità di integrare l’educazione informale a quella formale (curricolare). Infatti ci sono argomenti, di fondamentale importanza per la formazione di un cittadino, quali i temi sociali, politici, civici, ambientali, che troppo spesso non vengono adeguatamente trattati. Ma l’educazione informale può consistere anche in nuovi metodi di studio, quali, ad esempio, rappresentazioni teatrali per assimilare i contenuti storici o letterari e in un maggior numero di visite sul campo. Ma soprattutto uno sforzo deve essere costante: trovare l’applicazione pratica di ciò che si studia. Conclusasi dunque l’esposizione dei temi principali, si apre un ultimo dibattito conclusivo, permettendo così un confronto tra un numero più ampio di persone, dunque anche un più esteso numero di nazioni. Vanessa, studentessa italiana, si dichiara fortemente soddisfatta dell’iniziativa,in quanto “ha reso possibile la stesura di un documento i cui contenuti, certamente, non sono stati pensati né scritti da noi per la prima volta ma la cui importanza consiste nella fortissima condivisione che c’è alla base, sia di professori, sia soprattutto di noi ragazzi”. Infatti, come sostiene Gwen, studentessa del Paraguay, “siamo noi studenti gli esperti della scuola, noi che sappiamo cosa ci fa svegliare al mattino e desiderare di andare a scuola, e cosa ce la fa invece odiare”. Luca, insegnante di Treviso, sostiene però che “per ottenere i cambiamenti in cui speriamo, sono necessarie due cose: innanzitutto cambiare la mentalità degli insegnanti stessi. I miei colleghi, infatti, troppo spesso non capiscono l’importanza del contatto con i ragazzi e di una formazione che non può limitarsi all’ambito curricolare. In secondo luogo i provvedimenti devono venire anche dall’alto: i politici locali devono farsi promotori di progetti, sia pure sporadici,che migliorino la qualità dell’istruzione e integrino quella informale in quella formale. Ricordo d’altronde che la possibilità di incidere negli eventi politici con il voto, che in Italia abbiamo, manca in altri paesi, ma il movimento dei politici tutti deve comunque volgersi verso un miglioramento del sistema educativo che, se pure non dà frutti immediati, è un fondamentale investimento per il futuro”. Sebastian, insegnante cileno, tuttavia, ricorda che “in alcuni Paesi è necessario stabilire delle priorità e dare il giusto rilievo all’educazione formale: in Cile i bambini non leggono, gli mancano proprio le basi”. L’intervento di Raff aele, italiano, conclude il dibattito: “E’ importante che le cose che abbiamo detto non restino parole. Bisogna farsi promotori di progetti che siano innanzitutto misurabili, concreti, che abbiano delle scadenze”. Insomma, quella del meeting si è rivelata non solo un’importantissima occasione di confronto tra ragazzi provenienti da diverse nazionalità, ma anche un occasione di responsabilizzazione, un modo per sentirsi “cittadini del mondo attivi”, considerato che per ogni workshop c’è stata appunto la produzione di un documento, un prodotto concreto. Ma non di minore importanza è stato anche il lato più “informale”: la possibilità di conoscere coetanei del mondo, scambiarsi piccoli prodotti della propria cultura, curiosità su contesti diversi dai propri, ma anche sorrisi, nella prospettiva di un futuro in cui i rapporti internazionali, di cui noi stessi ragazzi saremo protagonisti, siano amichevoli e pacifi ci.

Autore: Giulia Maggio
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