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Donne, tradizioni e antichi saperi, alla Consulta femminile di Molfetta il ruolo della donna nel passato
21 marzo 2016

MOLFETTA - Serata intensa e piena di fascino, quella intitolata Donne, tradizioni e antichi saperi, pensata e creata dalla Consulta Femminile per celebrare la Giornata della Donna alla Cittadella degli Artisti. In questo incontro la Consulta ha anche colto l’occasione per festeggiare con il pubblico il suo 25° compleanno. La sua presidente, Alina Gadaleta Caldarola, ha sottolineato l’importanza dell’8 marzo, giornata emblema del rispetto dei diritti delle donne, in una società che conserva ancora una mentalità patriarcale. Gli ospiti della serata raccontano del ruolo delle donne nel passato, detentrici degli antichi saperi della medicina popolare, molto spesso povere, considerate fattucchiere che intrattenevano un rapporto malefico con il diavolo, accompagnando gli ascoltatori in luoghi e tempi contornati di magia ma reali più che mai (nella foto: Gadaleta Caldarola, Tripputi, Mongelli).

Anna Maria Tripputi, docente di Storia delle tradizioni popolari all’Università degli Studi di Bari, parla del ruolo importante rivestito dalla donna nella società contadina per quanto riguarda l’acculturazione dei figli e la medicina popolare, quest’ultima soprattutto si rivela un campo affascinante. La medicina spagirica (che prende il nome dal greco) prevedeva metodi naturali, impiegati per riequilibrare una rottura tra spirito e corpo. Questi erano poi abbinati a scongiuri, esorcismi, preghiere rivolte ai Santi, uso di oggetti. Sono, questi ultimi, relitti arcaici che le donne tramandavano di madre in figlia o da nonna a nipote quando la figlia non aveva le attitudini necessarie. Questi segreti venivano rivelati nella notte di Natale o di San Giovanni (notti in cui si credeva che le erbe avessero proprietà più intense). Il malocchio e l’affascino erano pratiche temute fin dall’antichità, anche il taglio dei vermi era diffusissimo o i rimedi per il mal di testa.

Betta Mongelli, assessore alla Cultura e Pari Opportunità, è presente in veste di studiosa e narra una storia romantica e di eroismo svoltasi nella seconda metà del seicento, più precisamente tra il 1671 e il 1676, ricostruita attraverso gli atti processuali dell’Inquisizione. Siamo a Molfetta, una società povera, superstiziosa, che cerca nella fantasia e nelle pratiche di bassa magia la soluzione ai problemi del vivere quotidiano. Il centro storico ha ormai raggiunto il suo attuale assetto e tutte le pratiche non ammesse si svolgono al di fuori dalle mura della città.
La protagonista di questa vicenda dall’esito tragico è Rosa di Pantaleo che dopo un matrimonio e una vedovanza, attraversa anni bui. In seconde nozze ha tre figli (di cui due diventeranno preti) ma resta presto di nuovo vedova e si trova a dover fronteggiare una situazione familiare difficile e di malessere fisico, che affronta con la pratica di bassa magia del piombo fuso, tollerato dalla Chiesa. Iniziano a giungere le prime accuse contro Rosa da parte del vicinato per motivi futili che la portano al processo ma, nonostante la diffida del Vescovo, Rosa, se pure con titubanza, si presta a curare una vicina di casa. La pratica non ottiene risultati e le dichiarazioni fantasiose della vicina destano ulteriori sospetti negli inquisitori che riservano a Rosa il carcere duro. Lei confessa di fare uso di magia bianca a fin di bene, come guarire dai malanni, facilitare i matrimoni o riportare la pace nelle famiglie.
Nel ’72 il carcere diventa sempre più duro e sotto tortura Rosa inizia a confessare cose che non ha fatto: di aver rinnegato il battesimo, Cristo e la Madonna, di trasformarsi in gatto, di aver praticato infanticidio e di essersi unta con il sangue del bambino nella notte del Sabba. Confessa tutto ciò che le streghe sono state costrette a confessare in decenni di torture. Le viene affidato un avvocato d’ufficio che comprende subito la sua innocenza, ma la sentenza nel ’75 ripercorre tutti i capi d’accusa e viene condannata al carcere duro e ad una serie di prescrizioni altrettanto severe. Dal carcere tenterà più volte la fuga cercando l’aiuto dei passanti ai quali promette mondi meravigliosi.
Cercheranno di farla abiurare, ma lei ormai non rinnega niente. Si fratturerà calandosi dalla finestra del carcere e gli inquisitori ed il Vescovo la pregheranno di confessarsi senza successo. Verrà trovata morta nella sua cella nel 1676. La storia di Rosa è un esempio di dignità e forza personale di una donna sola e senza mezzi che non si è piegata di fronte alle minacce.

Al termine della conversazione il pubblico ha potuto ascoltare quelle litanie che per secoli sono state tenute segrete e trasmesse di generazione in generazione in linea femminile, grazie alle Faraualla in concerto: il quartetto femminile pugliese con Ogni male fore ha deliziato e rapito il pubblico che gremiva la sala, portando sul palco un universo misterioso come può esserlo soltanto l’orizzonte magico-religioso popolare.

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Autore: Marianna Palma
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