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Come superare lo stress da smart working. Parla la psicologa Petruzzella di Molfetta
29 agosto 2020

MOLFETTA - A causa della diffusione del Covid-19 e delle conseguenti misure di contenimento sanitario adottate per contrastare questa pandemia – tantissime aziende, sia pubbliche che private – hanno fatto ricorso alla modalità di lavoro agile o a distanza (smart working) così che i propri dipendenti potessero proseguire la propria attività produttiva da casa e in sicurezza. Ma se da una parte lo smart working rappresenta una grande possibilità – aiutando il singolo a conciliare meglio vita privata e vita lavorativa, allontanandolo dalla frenesia quotidiana – dall’altra può diventare una situazione stressante che può incidere psicologicamente e tradursi in forme di isolamento sociale o di forzata convivenza tanto da rendere complicata la gestione degli spazi e dei tempi. Di questo e molto altro ne ha parlato la dott.ssa Mariagrazia Petruzzella di Molfetta durante l’intervista rilasciata a Quindici.

 

Si sente tanto parlare negli ultimi tempi di smart working. Di che cosa si tratta e qual è la differenza con il telelavoro?

«Per telelavoro si intende, per l’appunto un lavoro che si svolge a distanza rispetto alla sede centrale. Diffusosi negli anni ’70 grazie allo sviluppo delle tecnologie informatiche, il telelavoro deve seguire normative precise come l’obbligo da parte del datore di eseguire ispezioni per assicurarsi regolarità nello svolgimento del lavoro, un adeguato isolamento dell’attività lavorativa da quella quotidiana e sicurezza per il dipendente e per le apparecchiature tecnologiche utilizzate. Lo smart working, a sua volta segue alcuni punti essenziali. Per esempio uguale trattamento economico rispetto agli “insiders” e obbligo di informazione su rischio infortuni e malattie professionali con copertura Inail. Ma l’aspetto più evidente che segna il distacco con il telelavoro è che non è più obbligatorio legarsi ad un luogo fisico fisso in cui lavorare. Una sede distaccata va benissimo come ad esempio un ristorante, un pub o un parco o in qualunque luogo si possa portare un computer o uno smartphone – andando sempre di più verso il concetto di Byod – e sia presente una connessione Wi-Fi».

Lo smart working può creare nel lavoratore un senso di frustrazione inadeguatezza? Se sì, come si può contrastare questa condizione? 

«La gestione del lavoro in smart working può avere vantaggi e svantaggi e come accade nell' ambito psicologico non si può dare una risposta generica. Tutto è relativo in base soprattutto al significato che assume il lavoro. Avremo, di fatti donne lavoratrici che ne hanno tratto vantaggio sapendo di stare a casa magari in un altra stanza e al contempo dedicarsi ai figli. Diverso per i più giovani che vedono il lavoro come un modo anche per socializzare nelle pause, condividendo idee e comuni esigenze. Dalla mia personale esperienza presso lo sportello d’ascolto è emerso come a patire siano stati docenti e alunni. Mentre a trovarne beneficio dipendenti di call center e dipendenti di aziende di informatica».

E' vero che si può incorrere nella difficoltà di gestione del tempo quando si lavora da casa?

«La difficoltà non esiste. Dopo una fase di normale spaesamento alcuni possono sviluppare difficoltà di adattamento, sindrome da adattamento (ma ciò vale allo stesso modo per i vari cambiamenti nella vita privata, relazionale e lavorativa) mentre altri hanno quasi da subito reinventato i ritmi della propria vita in toto. Chiaro è che in questa situazione il concetto di resilienza può tornare utile. Ma inutile negare che per tutti l’avvento del corona virus, la fase di lockdown e il riadattamento lento ad una vita pseudo normale non sono state fasi affatto semplici da vivere. Perfino nel nostro lavoro ci si è trovati a modificare il setting di lavoro ma ora altre ricerche stanno valutando e rivalutando la consulenza in line».

Come si può conciliare lo smart working con la condivisione di spazi magari ristretti da condividere con gli altri membri della famiglia? 

«Anche in questo caso non è possibile fornire una risposta netta e universale. Certo è che chi ha vissuto la fase dello smart working o la sta ancora vivendo in una casa grande e con diversi ambienti separati di sicuro è più avvantaggiato. Questo perché i fattori ambientali incidono nella divisione dei compiti a casa e anche nel modo di fronteggiare cambiamenti simili. Ad esempio. Di quanti computer dispone una famiglia di 4 persone generalmente? E se tutti sono in smart working o smart learning come si fa? In tal caso la questione dovrebbe abbracciare gli interventi sociali o scolastici o il tipo di azienda che può finanziare strumenti di lavoro».

Il confronto - seppur a distanza - con i colleghi può aiutare l'individuo a vivere meglio la sua condizione di isolamento dal contesto lavorativo?

«Il confronto e sempre produttivo e lo è ancora di più se al centro della condivisione c’è l’espressione emotiva anche del disagio. Sarebbe conveniente usare la tecnologia non solo per sfogarsi in termini negativi magari contro il capo o lo stipendio bloccato ma anche e soprattutto per creare sinergie tra i colleghi che se prima si concretizzavano nella era la condivisione della benzina per andare insieme a lavoro adesso potrebbe esprimersi attraverso la condivisione di spazi comuni come ad esempio la condivisione di libri, film, ricette. D’altronde il bisogno sociale e di socializzazione fa parte dell'organizzazione lavorativa: mai vedere il lavoro solo come semplice obbligo a fine remunerativo».

Quali sono o meglio quali dovrebbero essere a grandi linee le soft skills per poter affrontare lo smart working? 

«Stando alle ricerche ultime del 2020 sicuramente per un buon adattamento sociale, il problem solving credo sia una della capacità trasversali fondamentali. Se vogliamo tutti hanno la capacità di modificare le proprie strategie a fronte di un problema ma visto che oggi abitiamo nella cosiddetta società "fast food" – ed essendoci disabituati all’idea di sviluppare soluzioni intelligenti – questa capacità un po’ si è andata perdendo. Andreoli direbbe che siamo nella società dell'uomo stupidus stupidis. Ossia nella società in cui non ci si impegna più di tanto. Credo che il trovarsi dinanzi a un drastico cambiamento abbia portato l’uomo a reinventare un nuovo modo di lavorare, organizzare spazi, relazioni, tempo libero e comunicazione. Anche l’intelligenza emotiva è di sicuro una soft skill importante che serve spesso a schermarsi dall’esasperante valanga di notizie – spesso false – pubblicate sui social, facendo così sviluppare all’individuo un atteggiamento critico e una strategia di comunicazione non per forza assertiva. Però spesso bisogna fare i conti anche con chi, al contrario si lascia spesso e volentieri sovrastare da emozioni negative quali paura e rabbia».

 Lo smart working potrebbe essere una reale condizione futura di gestione del lavoro? È plausibile?

«Il mondo del lavoro sia in termini di prestazione del singolo che aziendale avrà di sicuro dei cambiamenti: mi piace pensare in positivo e credo che, in linea di massima, i mutamenti sono sempre funzionali al progresso. Quindi il mio invito è cogliere anche queste novità con ottimismo».

© Riproduzione riservata

Autore: Angelica Vecchio
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