Cinesi a Molfetta, dialogo con l'universo degli occhi a mandorla
Inchiesta - Continua il rapporto "a puntate" delle intrivcate vicende della struttura per lo smaltimento dei rifiuti
Alla luce degli incidenti di Milano tra comunità cinese locale e forze dell'ordine torna il 'problema' immigrazione. Diverse le problematiche nelle grandi metropoli ma, qual è la situazione nelle piccole città? A Molfetta potrà mai accadere qualcosa di simile? Il fatto. Non sono molto chiare le concause che hanno scatenato la rivolta di alcune centinaia di Cinesi in un quartiere bene di Milano. Da un lato l'amministrazione si difende indicando il gruppo di diverso ceppo etnico colpevole di una volontaria ghettizzazione che, tra i fini, vede quello di non rispettare le leggi facendo fronte comune contro lo Stato. Dall'altra parte gli Asiatici si mostrano come persone rispettose della legge e tutt'al più denunciano ingiustizie da parte della stessa polizia nei loro confronti. Ma lasciando al Capoluogo lombardo quello che è del Capoluogo lombardo, è bene, per un interesse più prossimo ed immediato, analizzare la situazione molfettese. China-town diverse. Che la situazione milanese sia differente da quella molfettese, è una banalità. E' bene affermare ciò per anteporre, a qualsiasi considerazione, la premessa che si tratta di realtà completamente diverse. Pur considerando il fenomeno della globalizzazione, grazie al quale è una normalità incrociare uno straniero per le strade, è innegabile che le città ne siano investite in maniera direttamente proporzionale alle loro dimensioni. Mentre ci sono città dove interi quartieri, ormai da diversi anni, hanno preso il nome della nazionalità dei residenti (quartiere albanese, cinese, spagnolo), quello che può succedere a Molfetta, al massimo, è che un Senegalese frequenti la vostra stessa palestra o un Albanese sia vostro compagno di banco a scuola. Le cifre. A Molfetta ci sono meno di venti Cinesi che gestiscono attività commerciali. Sono di loro proprietà cinque negozi d'indumenti, uno dei quali ha aperto pochi giorni fa, ed un ristorante cinese, che ha affisso, all'entrata, un ben'augurante “vendesi attività”. I Cinesi che risiedono da più tempo in città, sono qui da sette anni; un tempo relativamente breve. Un incremento delle presenze s'è avuto, però, all'incirca due anni fa con il trasferimento d'una famiglia asiatica, dal Comune di Bari al nostro. Probabilmente s'inizia ad assistere alla transizione di residenti d'origini straniere, dalle grandi città nelle medie. Un fenomeno noto in economia ed indice di benessere. Quando gli appartamenti hanno un valore troppo elevato, un cittadino medio, può preferire risiedere in una città satellite della centrale piuttosto che in grigie periferie. Chi vorrà potrà divertirsi a comparare la grigia periferia alla nostra città o meno! L'arrivo in città. Diverse le testimonianze da parte dei due gruppi, quello arrivato sette anni fa e quello più recente. Il primo ha affermato che, inizialmente, atti vandalici furono compiuti davanti alle attività appena aperte. Una scritta su un muro, con un invito a rimpatriare, comparve contemporaneamente a danni di lieve entità. Eppure i Cinesi non hanno mai voluto parlare di razzismo; piuttosto di bravate giovanili compiute da persone non ben consapevoli delle proprie azioni. Chi è arrivato più recentemente, invece, non lamenta nulla di simile. Unica difficoltà è nella lingua, hanno detto, con un sorriso e qualche errore grammaticale. Riguardo figure politiche che in questo momento fanno tendenza tra i nostri giovani, ponendo la domanda: “Avete avuto sentore o problemi con fascisti, ultimamente?”, hanno risposto negativamente. Discutendo degli ultimi fatti, poi, hanno espresso dubbi sulla questione che un vero movimento fascista possa ripresentarsi. Buoni e cattivi. Allo stesso modo si sono pronunciati sui temi degli incidenti di Milano e sulle scritte sui muri del sottopassaggio della stazione molfettese. “Le persone non sono tutte uguali – ha fatto capire una signora molfettese – ci sono individui più o meno conformi ai principi morali”. Ha continuato parlando, in particolare, del caso della metropoli settentrionale, non prendendo una posizione netta. Non si può, a suo parere, colpevolizzare l'una o l'altra parte a priori. Piuttosto bisognerebbe conoscere le persone coinvolte. “La colpa potrebbe essere dalla parte dei Cinesi implicati, perché ci sono alcuni di loro che non sono gente perbene. Ma, il torto, potrebbe essere stato anche di qualche Italiano, perché ci sono Italiani che non sono gente perbene!”, dice un altro passante che guarda la merce del negozio cinese. Esprimendo ciò non si vuol banalizzare la vicenda perché è comunque innegabile che culture diverse debbano tentare un reciproco avvicinamento, nell'indubbio rispetto delle leggi, per raggiungere una convivenza pacifica e sempre proficua. Yin e Yang o Yen su Yen? Un fatto, durante la nostra indagine, ci ha colpito. Nei negozi gestiti dai nativi della Cina, c'è sempre clientela. Un'utenza attiva che oltre a guardare e provare capi d'abbigliamento, acquista la merce esposta. Questo è uno scenario alquanto diverso rispetto a molti altri punti vendita siti nel centro della città. Alla luce di ciò ci sembra utile favorire anche scambi culturali, un avvicinamento tra le etnie, e forse anche i nostri commercianti dovrebbero iniziare a sperimentare prezzi leggermente competitivi, come fanno gli amici asiatici. L'economia cinese è in crescita vorticosa, mentre quella italiana stenta ancora, per una serie di motivi tra cui la mancanza di dinamicità e di innovazione. Gli studenti cinesi risultano superiori alla media in campo scientifico. Forse nello scambio che deve esserci tra noi, dobbiamo iniziare ad esportare diritti verso quel colosso da un miliardo e trecento milioni di abitanti e importare un po' di capacità commerciale. E' indubbio che, se non si tengono presenti queste serie e fruttuose relazioni tra i popoli, si rischia di cadere nel baratro dell'ignoranza e del razzismo. Considerato il periodo di stasi economica e culturale che le nuove generazioni dovranno affrontare, unica via d'uscita sembra la collaborazione con lo “straniero”. Possibilmente da entrambe le parti.
Autore: Sergio Spezzacatena