Centro d'Accoglienza, impasse giuridica per i 10 richiedenti asilo politico
Sono ben 10 i profughi, ospitati dal Centro di Accoglienza «Don Tonino Bello» di Molfetta che aspettano dal 24 maggio 2011 di essere riconosciuti in Italia come rifugiati politici. Tra il 20 dicembre 2011 e il 10 gennaio 2012 sono stati ascoltati dalla Commissione Territoriale di Bari, ma ancora oggi non è giunta nessuna risposta. I giovani, provenienti dalla Costa d’Avorio, dal Mali, dal Ghana e dalla Guinea, richiedono asilo politico per poter prima di tutto inserirsi nella società italiana e soprattutto per decidere se rimanere o ritornare nel proprio paese d’origine. Ma per ora sono costretti a vivere in uno stato di impasse socio-giuridica. Nel caso in cui la richiesta dovesse essere rigettata, potranno davvero fare ricorso e con quali risorse economiche? Con quale documento torneranno in Africa, se privi di titolo di soggiorno e documenti validi per l’espatrio? E dove saranno lasciati, nel Paese di provenienza, la Libia, o quello di origine? Se non possono lavorare senza titoli di soggiorno, saranno allora assorbiti e strumentalizzati dalla criminalità e dal lavoro nero? Bisogna, perciò, concedere questo riconoscimento al fine di garantire loro una vita serena. La Dichiarazione Universale Dei Diritti Umani riconosce nell’art.14 «il diritto di cercare e di godere in un altro paese asilo dalle persecuzioni », ma non solo. Anche in Italia il diritto di asilo è garantito dall’art.10, comma 3, della Costituzione: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Ai profughi, dunque, spetta il riconoscimento dei propri diritti. Secondo la Convenzione di Ginevra, lo status di rifugiato può essere richiesto se nel Paese di origine ci sono persecuzioni dirette e personali per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a determinati gruppi sociali o per le opinioni politiche. Ma i 10 ragazzi africani accolti nel Centro di Accoglienza, come tutti gli altri profughi smistati in tutta Italia, possono essere davvero considerati “richiedenti asilo politico”? O lo status fissato dal governo Berlusconi ha lo scopo nascosto il diniego del riconoscimento dello status giuridico di “richiedente asilo politico”? La categoria di “profugo”, usata per definire le donne e gli uomini sbarcati a Lampedusa dalla Libia, non corrisponde ad alcuna categoria giuridica o forma specifica di protezione (se non eventualmente quella ai sensi dell’art.20 del Testo Unico dell’Immigrazione). Anzi, l’intreccio tra legislazione (internazionale e nazionale) e normazione di emergenza, ha disegnato un sistema di garanzie e diritti disomogeneo sul territorio nazionale ed inadeguato a rispondere alla legittima aspirazione di protezione di chi è fuggito dal teatro di guerra libico. I ragazzi ospitati a Molfetta chiedono di poter studiare, di poter lavorare, per sentirsi finalmente utili, e di potersi integrare nella società italiana. Sebbene non sappiano ancora parlare bene l’italiano, sono dotati di un’enorme forza di volontà. Giorno dopo giorno chiedono ai volontari del Centro di Accoglienza di insegnar loro a leggere e scrivere e anche di essere interrogati per verificare la propria preparazione. Sebbene questo sia un periodo di crisi e di disoccupazione diffusa, i ragazzi tunisini, arrivati al centro tra aprile e maggio 2011, non solo hanno trovato un lavoro a Molfetta con regolare contratto, ma hanno anche una loro casa, sono integrati nella società italiana e hanno avuto il rinnovo del permesso umanitario. Anche se apparteniamo a culture diverse, non può essere un bene confrontarci con altre popolazioni e apprendere i loro usi, i loro costumi, ma anche i loro problemi? I profughi possono descriverci i paesaggi dei loro paesi d’origine, la Costa d’Avorio, la Costa d’Oro, le rive del fiume Niger, possono farci conoscere la loro musica, la loro arte, la loro cucina, possono solamente arricchire il nostro bagaglio culturale. Cosa ci costa accogliere questi profughi che cercano di dare un senso alla propria vita? Noi non perderemo nulla, anzi, e i giovani si sentiranno finalmente utili. «L’uomo che mostra cortesemente la via a un viandante smarrito, fa come se dal suo lume accendesse un altro lume. La sua fiaccola non gli risplende meno, dopo che ha acceso quella dell’altro», scriveva Cicerone ben 2mila anni fa e non possiamo non tener conto di questa grandiosa lezione di vita.