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Caritas diocesana: nuovi volontari per l'accoglienza dei profughi nordafricani
06 marzo 2011

MOLFETTA - Le coste del Sud Italia, prossimo approdo per i profughi e i rifugiati libici. Mentre il Governo dispone azioni umanitarie e continua a beccarsi con l’Unione Europea, che vorrebbe scaricare il fardello all’Italia, le Caritas diocesane si preparano a fronteggiare l’emergenza profughi.

Anche la Caritas della Diocesi Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, in particolare la Casa d’accoglienza «Don Tonino Bello» di Molfetta, sta organizzando una serie di misure per accogliere i profughi nordafricani, che stanno fuggendo dalle loro terre assediate dalla rivolta. Necessario il contributo di tutta la comunità non solo diocesana, ma anche molfettese, come già accaduto durante gli anni ’90 con Mons. Antonio Bello, quando a Molfetta arrivarono numerosi albanesi per la guerra nei Balcani.
La Caritas diocesana cerca volontari maggiorenni disponibili a impegnarsi per un turno a settimana, tra mattina (dalle 8.30 alle 14.30), pomeriggio (dalle 14.30 alle 20.30) e sera (dalle 20.30 alle 8.30). 
Dopo una fase di formazione a cura dell’equipe diocesana, i volontari s’impegneranno a assicurare un servizio costante nel tempo, per poter seguire e accompagnare gli ospiti della comunità. Coloro che fossero disponibili a soccorrere i profughi e a sostenere la Caritas diocesana nel programma di accoglienza, possono contattare i numeri 080.3385522 (dalle 16 alle 18) o al 3488804703 (Mariachiara Pisani).
 
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2°Parte. - Nel mondo della morale, d'altra parte, ambiguità e incertezza rappresentano il pane quotidiano, e non possono esserne espulse senza distruggere la sostanza morale della responsabilità, le fondamenta su cui quel mondo si poggia. Essere responsabili dei propri fratelli rappresenta una sorta di condanna permanente a un lavoro faticoso e carico di ansia morale, che sarebbe impossibile acquietare. Ma questa è una buona notizia per l'essere morale: è precisamente nella situazione vissuta ogni giorno dagli operatori sociali, una situazione fatta di scelte difficili, senza titolarità di garanzie né sicurezze, che la responsabilità per l'altro, fondamento di ogni etica, emerge in sé e per sé. A essere sinceri, non esiste alcuna “buona ragione per la quale dovremmo essere responsabili dei nostri fratelli, prenderci cura di loro, essere morali; né, in una società orientata al perseguimento dell'utile, i poveri e gli indolenti (che sono non funzionali) possono contare su prove razionali del loro diritto alla felicità. Non c'è nulla di “ragionevole” nell'assunzione di responsabilità, nell'essere morali. L'etica ha solo se stessa a proprio sostegno: è meglio prendersi cura di qualcuno che lavarsene le mani, essere solidali con l'infelicità dell'altro piuttosto che esservi indifferenti, meglio essere morali, anche se questo non rende più ricchi gli individui, né le imprese. La qualità di una società si misura in relazione alla qualità dei suoi standard morali, ciò che oggi è più importante che mai sostenere. (fine)

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