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Camicia rossa e libertà
15 giugno 2010

Nella primavera del 1897 scoppiava in Creta, ancora sottomessa all’Impero Ottomano, una ennesima rivolta panellenica. Lo sbarco di alcuni contingenti inviati dal Regno di Grecia per aiutare gli insorti, provocò una crisi diplomatica e il successivo intervento di una forza di interposizione internazionale, cui partecipò anche l’Italia. La guerra grecoturca, bloccata nella grande isola, divampò subito in Tessaglia ed in Epiro, dove i greci passarono il confine, rivendicando l’annessione di tutti i territori ellenici del moribondo impero. La rivolta greca ebbe subito in Italia forti ripercussioni. Democratici, repubblicani e socialisti insorsero sulla stampa ed in Parlamento contro il governo, che aveva aderito alla spedizione internazionale, partecipando al cannoneggiamento degli insorti cretesi. In realtà, come vedremo, le posizioni antigovernative non erano omogenee: di fatto, iniziarono i preparativi per una spedizione garibaldina a sostegno dei greci: il governo sapeva, ufficialmente impediva, praticamente lasciava fare. Ricorderemo nelle note che seguono questa bella pagina della nostra storia, dove democrazia e nazione, patria e libertà sono ancora binomi inscindibili. Ancora qualche anno, e la peste nazionalistica ammorberà l’Europa: comincerà la lunga notte del Novecento. Due brevi premesse: lo spazio è tiranno e bisogna riassumere; e le testimonianze non sono concordi, e si dovrà essere cauti. A capo del contingente garibaldino fu posto Ricciotti Garibaldi, quartogenito dell’ Eroe e di Anita, nato a Montevideo nel 1847, impavido veterano di cento battaglie. I giudizi sulla famiglia, sul tardo garibaldinismo, sulle vicende di alcuni componenti della seconda e terza generazione, sono noti e controversi e non possono neanche essere qui accennati. Il 21 Aprile 1897 Ricciotti si imbarca per la Grecia. Ad Atene, con l’appoggio del locale governo, accoglie ed organizza i volontari che alla spicciolata accorrono dai porti del basso e medio Adriatico. In due settimane si formano e si equipaggiano quattro battaglioni: il I al comando di Luciano Mereu; il II al comando di Gustavo Martinetti; il III al comando di Vittorio Martini (composto per oltre la metà di greci); il IV al comando di Federico Gattorno (questa formazione giunse in Grecia troppo tardi e non partecipò ai combattimenti). A questi bisogna aggiungere la Legione Filoellenica, una sorta di Battaglione Internazionale, formato da italiani, inglesi, tedeschi e francesi. Ad essa era aggregato Ferdinando Cafiero di Barletta, che scrisse su quegli eventi un opuscolo di memorie, “Alla guerra grecoturca del 1897”. Va ricordata infine la Legione Autonoma di Enrico Bertet. Quest’ultimo adottò la camicia rossa, ma si considerò indipendente dal comando di Ricciotti. Ne seguì una polemica: una fra tante altre. In tutto circa 800 uomini. Ai primi di maggio, pur tra mille difficoltà, il Reggimento era pronto; tuttavia, la grande lentezza della manovra greca al confine tessalo-epirota, impedì ai garibaldini di entrare in linea, con conseguenti impazienza e malcontento. A questo punto lasciamo Ricciotti e parliamo di una altro protagonista di questa straordinaria avventura: Amilcare Cipriani. Nato ad Anzio nel 1844 da padre romagnolo, e cresciuto a Rimini dall’età di pochi mesi, è figura notissima e tra i protagonisti dell’anarchismo italiano. Ma si badi, prima che anarchico egli fu garibaldino, e con la camicia rossa combattè più volte al comando dell’Eroe. Eletto due volte deputato, si rifiutò sempre di giurare al re, e non ebbe mai la carica. Dotato di straordinario coraggio, imperturbabile al fuoco, ferito di baionetta alla Comune, fu deportato per dieci anni in Nuova Caledonia, ed incarcerato per altri otto a Porto Longone. Convinto assertore dell’ efficacia dell’azione armata di minoranze attive quale scintilla di più vaste rivolte, fu per questo aspramente criticato all’interno stesso del movimento anarchico italiano. Pagò sempre di persona e morì in miseria a Parigi nel 1918. di Ignazio Pansini Amilcare Cipriani T U R A 23 15 giugno 2010 Per quel che segue ci serviremo, insieme ad altre memorie, di un interessante opuscolo di Gioacchino Poli, “La guerra greco-turca e la camicia rossa”, edito a Trani nel 1913. Nato a Molfetta nel 1853, seguace di Bovio e Imbriani, consigliere provinciale repubblicano per circa trent’anni, fu onesto ed infaticabile difensore degli interessi economici e sociali della Terra di Bari. Allo scoppio della rivolta greca, accorre in Atene, e si aggrega ad una colonna della Croce Rossa Internazionale, che risale a nord verso il fronte. Durante la ritirata del Reggimento garibaldino, ha modo di incontrare i comandanti della colonna italiana, che conosce da tempo, e che assiste nei limiti consentiti da una precipitosa e confusa ritirata. Poli è un democratico tendenzialmente moderato, e lo dichiara: ma è anche costituzionalmente incapace di serbare rancore nei confronti dei suoi avversari, che rispetta. La sua cronaca è ricca di particolari interessanti, e politicamente corretta. Un suo nipote, Umberto Lezza, di Molfetta, è arruolato nel I battaglione di Mereu. Ma torniamo a Cipriani. Appena informato che l’esercito greco mobilita e si appresta ad avanzare verso nord, Amilcare, con circa duecentocinquanta uomini, sbarca ad Atene almeno due settimane prima di Ricciotti, e riesce ad ottenere dai greci l’autorizzazione a sconfinare in Tessaglia, per molestare i turchi con operazioni di guerriglia. Il colore politico della Colonna Cipriani, composta per oltre la metà di romagnoli, si può definire anarco-socialista: ma vi erano anche molti giovani che avrebbero potuto anche militare tranquillamente con Ricciotti. Il comandante invece, ed altri quali Giuseppe Ciancabilla, Walter Mocchi, Arturo Labriola, Pasquale Guarino, avevano ormai superato i confini di un indipendentismo vagamente democratico, e dichiaravano obiettivi di rivoluzione sociale e classista. Con tutti i limiti e gli errori che la caotica situazione greca subito e drammaticamente evidenziò. Nella seconda metà di aprile, all’interno della Tessaglia, la Colonna sostiene duri scontri a Baltinon, Bosnovo, e Krania. Le truppe greche sono pessimamente comandate e si ritirano senza avvisare gli italiani, che subiscono gravi perdite e ripiegano verso sud. Mancano armi e sussistenza, la popolazione di etnia ellenica, terrorizzata dai turchi, non collabora, e le bande irregolari greche agiscono come meri predoni. Gli uomini di Cipriani si sbandano e cominciano le defezioni. A Farsalo, i primi di maggio, il corrispondente del “Secolo Illustrato”, Riccardo Carniel, incontra l’anarchico con una ventina di fedelissimi, lacero, affamato ma indomito. Il 4 Maggio, a Velestino, i greci tentano di fermare l’avanzata turca: Amilcare, la sua pattuglia ed un gruppo di garibaldini sbandati di altre formazioni, tengono per ore la sua posizione: anche Carniel raccoglie un fucile e combatte. Intanto faticosamente, lentamente, il Reggimento di Garibaldi raggiunge il fronte e si attesta sulle alture viciono al villaggio di Domokòs. Qui, al mattino del 17 Maggio, avviene lo scontro decisivo per fermare i turchi provenienti da Farsalo. Ricciotti schiera i garibaldini sull’ala sinistra ed attende l’urto del nemico: i greci sono al centro e a destra. Accorre la Legione Internazionale Filellenica, ridotta a metà degli effettivi, compresi una sessantina di italiani; accorre infine Amilcare con i resti della sua Colonna e si schiera con tutti gli altri. Le camicie rosse sono unite. La battaglia dura diverse ore: cadono tra gli altri Antonio Fratti, deputato repubblicano di Forlì, e Michele Frappampina di Toritto, studente socialista ventunenne. Cipriani, che si dichiara autonomo dal comando di Ricciotti, di fatto accorre dovunque si accenni qualche cedimento. Verso la fine dello scontro è ferito seriamente ad una gamba. Non c’è spazio per descrivere i mille episodi del combattimento. Uno fra tanti: alla vista della marea di turchi che avanza al contrattacco, Domenico Fioritto, giovane socialista di Sannicandro Garganico, innesta la baionetta e sta per lanciarsi nel vallone, quando sente una mano sulla spalla e una voce che gli dice: “Che fai? Ora bisogna ritirarsi”. E’ Cipriani. E Fioritto annota nelle sue memorie: “Cipriani era il valore indiscusso, era il coraggio vero: si poteva, si doveva ubbidire”. Infine, soverchiati dal numero e dal superiore armamento dei turchi, i garibaldini si ritirano con ordine. La guerra greco-turca è finita: il 21 maggio si firma l’armistizio. I caduti italiani ammontano complessivamente ad una sessantina, altrettanti furono i feriti. Accennavo prima all’opuscolo di Gioacchino Poli e alle notizie che se ne possono trarre sulla spedizione. Vi sono anche degli aneddoti indicativi di quei giorni, ed anche della personalità dell’autore. Nei pressi di Volo, il Nostro incontra Cipriani e Ciancabilla: quest’ultimo gli fa notare, probabilmente con ironia, che in guerra non si portano fiori all’occhiello. Gioacchino lascia perdere e offre agli anarchici le sue ultime sigarette. In una trattoria del Pireo, insieme a Ricciotti ed altri, incontra dei marinai molfettesi che, alla loro vista, inneggiano all’Eroe ed offrono gratuitamente il loro pescato. Infine, a proposito degli orrori della ritirata greca, esclama: “Bisogna non aver assistito a simili scene, o non avere cuore, per fare l’apologia di una così terribile cosa, qual è la guerra!”. Dopo la conclusione della guerra grecoturca e dopo il rientro in patria dei volontari italiani, non mancarono lunghe ed aspre polemiche sui giornali, nei partiti e nello stesso Parlamento. L’immaturità delle masse elleniche, l’insipienza della monarchia greca, la mancanza di omogeneità politica dei volontari avrebbero dovuto, secondo i critici, sconsigliare l’intervento. A conclusione di queste brevi note, mi preme sottolineare alcuni elementi. In primo luogo, sui campi della Tessaglia si configurò quella tripartizione della sinistra italiana in repubblicana, anarchica e socialista, che connotò poi, per almeno un secolo, l’opposizione sociale nel nostro Paese. In secondo luogo, quei tre filoni, che ebbero poi storie diverse e spesso conflittuali, traevano tutti radici ideali e pratiche d’azione, nella tradizione risorgimentale dell’azionismo democratico garibaldino. Quest’ultimo, infine, prima che si imbalsamasse e stravolgesse nei reliquiari dell’italietta umbertina e fascista, aveva avuto come cardini programmatici: Costituzione repubblicana e democratica, liceità del ricorso alle armi in caso di violazione della stessa, internazionalismo e solidarietà con tutti i popoli oppressi, unificazione sociale, e non solo dinastica, della penisola. Il nostro Risorgimento è stato anche questo: ne prendano nota la spazzatura leghista e gli altri addetti alle prossime centenarie mummificazioni.

Autore: Ignazio Pansini
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