È Antonio Di Gioia, 40 anni, figlio dell’ex consigliere regionale Lillino, il nuovo segretario del Pd di Molfetta, è stato eletto per acclamazione alla fine del congresso. Colpo di coda per Piero de Nicolo, segretario uscente, che ha voluto recitare la parte del protagonista fino alla fine. Un Pd che ha fatto la politica solo su Facebook, si accinge ora a voltare pagina, ma ha dovuto subire la relazione introduttiva del segretario, stanca, agonica, a braccio, senza contenuti. De Nicolo ha esordito nel suo solito modo istrionico, un comportamento che oltre a provocare danni all’amministrazione di centrosinistra, ha reso indigesto alla gente un partito che, in passato, aveva avuto cura di rispettare il confronto e le idee diverse, ma chi è abituato a una certa politica dello scontro o della ricerca del consenso compiacente dell’informazione locale, non poteva che concludere politicamente da par suo. La stagione di questo politico sembra tramontata, almeno a livello della segretaria del partito (c’è il rischio di ritrovarselo come candidato sindaco ed essendo un personaggio che divide più che unire, le prospettive non sembrano buone). Rientrata la protesta dei Giovani Democratici, non sappiamo a quale prezzo politico, ma sicuramente è un fatto positivo che si giunga ad una segreteria unitaria. Quanto questo resisterà al tempo, staremo a vedere. Buono invece l’esordio del nuovo segretario Antonio Di Gioia che promette di essere più democratico, di voler mettersi in ascolto della cittadinanza e di confrontarsi con tutti e soprattutto fare tesoro degli errori commessi nel passato da chi lo ha preceduto. E comincerà con la rivendicazione di quanto di buono la vecchia amministrazione ha fatto, contrariamente al suo predecessore che ha elencato solo i difetti del sindaco Paola Natalicchio, rimediando un effetto boomerang che ha reso indigesto il Pd ai suoi stessi elettori. Primi obiettivi (ma ne parliamo più diffusamente nell’intervista allo stesso Di Gioia nelle pagine seguenti): far riemergere il valore della comunità; il partito come unico luogo deputato a fare politica e a selezionare la classe dirigente; no ai movimenti populistici, antidemocratici e pericolosi; trovare la sintesi non il compromesso; per sanità e rifiuti agire in un contesto intercomunale; tranne Rifondazione, tutte le forze politiche stanno con Michele Emiliano (riferimento a Saverio Tammacco); politica urbanistica ragionata, completare l’esistente prima di andare ad un nuovo piano; stella polare il programma per combattere le aberrazioni della destra molfettese; non porre pregiudizi e fare l’analisi del sangue a nessuno. Breve e rapido il dibattito, tutto nel segno del volemose bene. Il gruppo Dèp (fuorusciti dal Pd con Guglielmo Minervini) rimasti un po’ nel limbo, dopo la scomparsa del loro politico di riferimento, hanno avviato la marcia di riavvicinamento al Pd, soprattutto dopo l’uscita di De Nicolo. “Resta forte il nostro ancoraggio al centrosinistra - ha detto il portavoce del movimento Davide de Candia, ex consigliere comunale - e vogliamo ricostruire un’alleanza col PD, ma non a tutti i costi. Vogliamo confrontarci, ma non con chi ha affondato la città nel decennio del centrodestra” (riferimento a Tammacco?). Che il PD consideri i partiti ancora punto di riferimento, piace a Silvio Salvemini (Sinistra italiana), anche perché, a suo parere, rappresentano un argine al populismo e all’avversario della gente vero la forma partito, che, però, permette di mantenere il radicamento al territorio. La forma partito, ovviamente, piace anche a Rifondazione comunista, ferma a Molfetta ancora ad una mentalità vecchia, incapace di superare l’ideologia stalinista del settarismo e del centralismo, poco aperta alle critiche e al confronto, contraria al riformismo che, secondo Beppe Zanna, intervenuto al Congresso, vuol dire conformismo renziano. E loro non ci stanno. Mauro De Robertis ex SEL, oggi nel Movimento “La Puglia in più” che fa capo all’ex vendoliano Dario Stefano e a Molfetta all’ex sindaco Tommaso Minervini, anch’egli riposizionatosi, ha salutato con piacere la nomina di Di Gioia, un giovane che ha nel DNA la politica (riferimento al padre Lillino) e col quale sarà possibile dialogare per continuare il percorso interrotto nel centrosinistra cittadino. Il Movimento “Linea diritta” con l’ex vice sindaco Bepi Maralfa si è detto ferito per la fine traumatica dell’esperienza amministrativa a Molfetta, al punto da voler lasciare la politica. “Provengo dalla società civile - ha aggiunto Maralfa - e, dopo il miracolo della vittoria elettorale di Paola Natalicchio e del centrosinistra, non pensavo che quell’obiettivo di potesse frantumare. Dopo le dimissioni del sindaco sono stato male e sembrava difficile riemergere, ma poi ho visto riemergere fazioni, movimenti, personaggi, rispettabili sotto il profilo umano, ma non sotto quello politico. Per questo, facendo tesoro degli errori del passato, non possiamo perdere l’occasione come centrosinistra di tornare a governare la città, proprio per evitare che quei personaggi possano di nuovo impadronirsene”. Nicola Piergiovanni, ex Sel e già presidente del consiglio comunale, ha confermato la disponibilità sua e del suo amico Gianni Facchini ad entrare nel PD. “Basta a parlare del passato, mettiamoci in ascolto e vediamo cosa vuole la città”. Matteo Petruzzella dei Giovani democratici ha confermato la difficoltà per loro di trovare una sintesi congressuale, che poi, alla fine, è arrivata e quindi si è potuto dare vita a una segreteria unitaria e ha fatto gli auguri a Di Gioia, che si assume un compito difficile e una grossa responsabilità. Giuseppe Percoco, ex consigliere comunale, ha sostenuto che la candidatura del nuovo segretario nasce dal basso e si augura che anche a Molfetta si possa arrivare ad uno schema come quello di Milano tra Pisapia e Sala. Il superamento delle divisioni è stato sottolineato da Pietro Capurso, che ha invitato a raccogliere i cocci del partito, che negli ultimi due anni non è stato in grado di fare scelte chiare, cercando più lo scontro che l’incontro, con una gestione verticistica. Così il PD è stato identificato col segretario e non con tutti (pesante critica alla gestione De Nicolo, ndr). “Ora spero che come l’araba fenice, il PD possa rinascere e il ritorno dei giovani è un buon segnale. Rivendico la coerenza: sono stato sempre critico col segretario e da certe posizioni politiche a amministrative, mentre altri si sono comportati a corrente alternata, secondo le convenienze. Oggi dobbiamo rafforzare l’apparato amministrativo e l’organizzazione di massa, privilegiando la forma partito, su quella dei movimenti e delle liste civiche”. In dissenso con Capurso sulla corrente alternata, Aldo Spadavecchia, che ha invitato a mettere una pietra sopra al passato, come ha detto De Nicolo, essendo archeologia politica: “Abbiamo vinto le elezioni per gli errori del centrodestra e per la scelta del candidato giusto (la Natalicchio, ma questa volta, almeno per i nomi che circolano, sarà più difficile, ndr). L’ intervento di Roberto Lagrasta è sembrato incentrato a declinare la sua fede nel PD, quasi come abiura della sua elezione in una lista civica e per di più di Paola Natalicchio. Il grave peccato originale va espiato, con manifestazione di forte fede nel Pd: “in queste quattro mura si deve fare politica” (magari con la speranza finalmente di diventare assessore, ma si deve prima fare eleggere, senza premio di maggioranza, ndr). Mimmo Casamassima ha proposto un programma amministrativo in 10 punti (“ma non rivelare tutto oggi”, ha scherzato Di Gioia) “rivoluzionando la città con coraggio e radicalità, quello che è mancato alla Natalicchio”: nuovo Pug, completando il vecchio piano; porto, sbloccare subito i lavori, cambiando il progetto, per fare il porto turistico sulla banchina Seminario (“Quindici” lo propone da anni, ndr); maggiore vivibilità aumentando le zone pedonali da Piazza Paradiso a Corso Dante; spostamento del mercato settimanale in altra area; più spazio alla cultura, trasformando il nuovo campo sportivo in un’arena all’aperto, più ricerca scientifica e innovazione tecnologica; assistenza agli anziani non autosufficienti; riorganizzazione degli uffici comunali e creazione di un ufficio ad hoc per reperire i finanziamenti comunitari; rivitalizzare il commercio per combattere i centri commerciali; sicurezza sul lavoro e telecamere dappertutto, con una rete di vigilanza costante da concordare con le attuali società di vigilanza private; politica energetica del Comune, con pannelli fotovoltaici su tutti gli edifici pubblici. Un programma ambizioso da candidato sindaco, è stata la battuta di “Quindici”, ma Casamassima ha assicurato che non è in corsa, perché sarebbe in procinto di lasciare Molfetta. Elogi, gli unici in verità, al segretario De Nicolo, da parte di Saverio Digioia (attenzione a scrivere il cognome unito, per non fare confusione): sforzo di mantenere insieme il partito (senza riuscirci, ndr), resistenza a Paola Natalicchio che voleva fare il segretario del PD dall’esterno (anche Digioia vuole far dimenticare il suo passato politico con Pino Amato, ndr). E poi tra le proposte: riuso e riqualificazione del territorio (?), riappropriazione di Palazzo Dogana al Comune, in prospettiva sedersi a diversi tavoli conquistare nuovi spazi (leggi Tammacco, salvatore della patria? ndr). Insomma, questo Saverio Tammacco è sembrato il convitato di pietra del congresso PD. La grandezza del partito e della sua capacità di guardare al futuro è dimostrata dall’elezione di Antonio Di Gioia, secondo Erika Cormio. Dagli errori si deve imparare, bisogna mettersi in ascolto della città per rimediare alla disaffezione della politica. Secondo Leo Amato ex presidente della Multiservizi, il PD deve dimostrare la capacità di riprendere il governo della città e darsi un indirizzo di metodo su come tenere insieme la comunità. Ha atteso la fine degli interventi, un po’ fuori tempo, Annalisa Altomare, quasi a rimarcare la sua voglia di dire sempre l’ultima parola (i difetti sono duri a morire, ndr), ha chiesto la parola quando era chiuso il dibattito. Con un atteggiamento quasi materno, da madrina, verso Antonio, si è complimentata per la sua elezione unitaria e gli ha dato i consigli: evitare il compromesso e il logorio di chi vuole comprometterti, decodificare i bisogni della città, soprattutto il diritto all’abitazione (nuovo consumo di suolo? ndr), far ritrovare alla gente la fiducia nella politica (se qualcuno si decide a farsi da parte, è più facile, ndr), avere un atteggiamento di umiltà verso di noi e verso il partito (da quale pulpito, ndr), mettersi al di sotto, per far comprendere al cittadino di essere al di sopra (idem), abdicare al conflitto (idem), non essere protagonisti come singoli (idem), dimenticare le bastonate (idem), basta con le ambiguità (idem), riprogettare la città. Insomma, l’intervento dell’Altomare è sembrato un’autocritica, una sorta di confessione pubblica, non sappiamo quanto sincera. Lo vedremo nelle prossime settimane. La sconfitta bruciante del segretario nazionale e premier Matteo Renzi non si era ancora verificata all’epoca del Congresso del PD locale. Ora, dopo la batosta elettorale, c’è da augurarsi che anche la signora Altomare faccia un’opportuna riflessione interna. Per il bene di tutti.