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1840, le paranze molfettesi alla pesca a Procida
15 marzo 2009

Nella prima metà del XIX sec. la classe dei marinai da pesca a Molfetta era abbastanza numerosa. Essi trovavano lavoro sulle bilancelle armate a vela latina che a coppie formavano una paranza e pescavano alla gaetana, cioè con una rete a strascico trainata da ambedue le barche. Alla ricerca di luoghi più pescosi per realizzare un maggior guadagno, da molto tempo le paranze molfettesi si spostavano in altri posti come Taranto, Crotone, Napoli, Procida, ecc. Alla fine degli anni Trenta del XIX sec. le paranze molfettesi sempre più spesso circumnavigavano lo stivale per pescare nelle acque di Napoli, o spingersi fino alla spiaggia romana. L'esperienza evidentemente fu positiva e la fama di buoni e provetti pescatori suscitò un interesse commerciale a un tale Domenico Bruno di Napoli che a Molfetta era noto in quanto vendeva cappelli. Questi il 23 agosto 1840, davanti al notaio Francesco Saverio Pomodoro, si accordò con Stefano Salvemini e Cosmo Pisani (proprietari di due barche paranze da pesca alla latina ambedue nominate Santa Maria dei Martiri) per la pesca di pesci, detti franzesi, nel mar di Procida dal 4 novembre dello stesso anno (periodo in cui veniva pubblicato il decreto reale che autorizzava questo tipo di pesca) fino al Sabato di Pasqua di Resurrezione dell'anno successivo (1841). Tutto il pescato doveva essere consegnato al sig. Girolamo Testa, agente del Bruno a Procida. Nello stesso atto vennero stabilite le condizioni di pesca: i pesci comuni venivano venduda Girolamo Testa l'anno scorso con le altre 4 paranze molfettese padronizzate da Pasquale e Nicola Pisani, Stefano Salvemini e Raffaele Petruzzella. Il pagamento delle pescate giornaliere avveniva alla fine di ogni mese con la presentazione dei biglietti rilasciati giornalmente dall'agente del Bruno al momento della consegna del pesce. Il Bruno verso al Salvemini e al Pisani ducati 100 ciascuno a titolo di caparra da scontare poi alla chiusura dei conti a Pasqua, in più una regalia di 50 ducati a ciascun padrone di paranza. Nel caso il Salvemini e il Pisani non intraprendevano o abbandonavano la pesca o se il pescato lo vendevano ad altri, dovevano pagare una pesante penale oltre il risarcimento dei danni ed interessi secondo le leggi di commercio1. Negli anni successivi lo stesso Bruno ingaggiò altre paranze molfettesi, in particolar modo con diversi componenti della famiglia Salvemini. Procida divenne così una meta preferita per i pescatori molfettesi come zona di pesca e di buoni guadagni. Evidentemente il mercato napoletano richiedeva e smerciava con un certo profitto i prodotti del mare. Nella documentazione consultata ho rilevato che anche un mio avo materno tale Giovannagelo Salvemini fu Cosmo si spingeva con la sua paranza nelle acque di Procida. In queste campagne di pesca non mancavano i pericoli specialmente i naufragi, per cui segnaliamo la morte nel 1841 di tale Vincenzo Pepe di Leonardo (1810-1841) e di Corrado Giancaspro di Giovanni (1800-1841) avvenuta il 4 gennaio 1841 durante un naufragio nelle acque di Procida2. Nonostante la lontananza e i disagi di una lunga navigazione nel 1870 a Procida si contavano ben 34 barche molfettesi per complessive 432 t e un impiego di manodopera di 261 marinai3. Negli anni successivi un certo numero di essi si stabilì in questi luoghi mettendo su famiglia.
Autore: Corrado Pappagallo
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