Versi liberi nella mente
Con la pregevole silloge poetica “Versi liberi nella mente”, edita per i tipi di Libroitalianoworld, il professor Luigi Armentano, ordinario di italiano e storia presso la Scuola Media “Giuseppe Saverio Poli”, conferma la sua delicata sensibilità poetica, che si profonde in molteplici rivoli, tradendo un'inesausta aspirazione all'aurea mediocritas tanto agognata dalla classicità. Un primo filone tematico si nutre della contemplazione delle vestigia di un'antichità tutt'altro che evanescente. Ne sono testimonianza i componimenti La fontana decumana e soprattutto Via del lupanare, dolente rievocazione di meretrici pompeiane, della loro danza di “flessuose falene”, arse metaforicamente dal “fuoco dell'oscenità” prima di restare vittime di un'incandescente colata lavica. Le tragedie della storia innescano la meditazione sulla condizione umana; immagini moderne, vestendosi d'una patina d'antico, si squadernano secondo un codice fascinoso, proprio perché per nulla scontato. Significativi appaiono i versi più intrisi di meta-letterarietà. La riflessione sulle scaturigini stesse dell'espressione poetica si traduce ora nell'attribuzione a quest'ultima di una funzione consolatoria, ora nella matura consapevolezza della natura meramente onirica dei “versi che scorrono / liberi nella mente”. La poesia talvolta si configura come condanna, forse perché induce a una rêverie perenne, all'attesa “giorno dopo giorno” d'un sole dal sorgere tardivo, magari illusorio... La vera grazia sembra celarsi nel non detto e così, per l'autore, i suoi versi più belli sono come confinati in un magico limbo; il loro incanto nasce dal libero fluire, dalla mancata cristallizzazione in una forma che li renderebbe simili a “foglie morte” o “maschere ghignanti”. Accanto a un'interessante vena georgico-idillica, che attinge soprattutto a Virgilio e Tibullo, ma sembra occhieggiare anche a Carducci, emerge la notevole preziosità di alcuni versi d'amore pudico. Essi lamentano, elegiacamente, il distacco dalla persona amata, a causa di giovanili viaggi di lavoro. Descrivono il rapporto amoroso quasi fosse un infinito avvicinarsi di due corpi/anime a passi di danza, in uno sconfinato “divagare dei sensi”. Si avvalgono dell'anafora (Per te) e di cadenze allitteranti per dar voce all'armonia musicale che congiunge due vite e induce a comporre “poesie, nenie e canzoni”. A sognare di carpire un non so che della luce del sole, perché i più riposti moti del cuore umano non siano obliterati dalla risacca e non cadano nel vuoto
Autore: Gianni Antonio Palumbo