BARI - La Procura di Bari aveva chiesto una condanna a 20 mesi con la formula del rito abbreviato per il presunto reato di abuso d’ufficio. Il giudice per l’udienza preliminare, Susanna De Felice, ha, invece, assolto con formula piena Nichi Vendola, governatore della Regione Puglia, perché «il fatto non sussiste»: una schiaffo al giustizialismo sciocco e interessato.
Dopo il verdetto, le lacrime: «Sono felice, mi è stata restituita la vita, l'innocenza. Dopo l'assoluzione, penso di cominciare la cavalcata delle primarie. Finora sono stato frenato. Posso cominciare quindi oggi, anche se ho uno svantaggio. Trasformerò lo svantaggio in vantaggio. Ho due Golia ma spero che questa volta vinca Davide».
Immediate le reazioni dal mondo politico, tra cui quella di Bersani («felice per Vendola e per tutto il centrosinistra») e Casini («Sono contento, perché, contrariamente a lui, io so distinguere il piano personale da quello politico»). Così Vendola sul suo profilo facebook: «L'idea di poter essere confuso con un Fiorito qualunque mi dava dolore. Sono grato alla Magistratura per il suo ruolo di tutela nei confronti dei cittadini. Ora sono più sereno» e «Ho vissuto un'intera vita sulle barricate della giustizia e della legalità. Oggi mi è stato restituito questo».
Gli inquirenti avevano contestato a Vendola di aver istigato l'ex direttore generale dell'Asl di Bari, Lea Cosentino, a riaprire i termini per la presentazione delle domande per accedere al concorso, con l’obiettivo (riteneva la procura) di assicurare a Paolo Sardelli, chirurgo toracico, l’assunzione come primario all'ospedale San Paolo di Bari.
Elemento mai provato, anche perché i presupposti sembravano vacui e insufficienti per giungere ad una condanna: la procura “individuava” tra il settembre 2008 e aprile 2009 (in un arco temporale di parecchi mesi) il periodo in cui sarebbe stato commesso il presunto reato. Fatti non certi, per giunta, occorreva pure provare l’eventuale fine patrimoniale dell’abuso stesso. Anzi, gli stessi avvocati della Cosentino avevano contribuito ad alleggerire la posizione di Vendola, sostenendo che nella sponsorizzazione del primario non c'era stato reato.
Nonostante l’inconsistenza in fatto ed in diritto dell’accusa, forse più mediatica che giuridica, una marea di tifosi pro-condanna si è scatenata da tutte le parti, ma soprattutto dal “fronte” più interessato, quello del Pdl, occupato a sostenere la difesa berlusconiana. È morta la tesi del «tutti sono ladri, quindi nessuno è ladro»: questa sentenza lo dimostra. Insomma, gli urlatori del nulla si erano scatenati a dovere su questa vicenda che non aveva nessuna consistenza giuridica.
Infatti, sostenere che tutti siano pessimi equivale a non pensare, a non avere idee in un’Italia in cui ciclicamente si agglomerano teste non pensanti, portavoce di idee altrui che loro per primi non capiscono. Quando non ci sono problemi di onestà personale, come in questo caso, in un Paese normale si criticano le idee, le scelte politiche: in Italia si è discusso delle parole di Vendola, se si sarebbe ritirato a vita privata in caso di condanna in primo grado. Un odio ottuso che esplode nel Paese di Berlusconi, guarda caso. Chissà chi l'ha votato per 20 anni e quanti tra questi si sono armati del più cieco giustizialismo.
Tra l’altro, la richiesta di condanna a 20 mesi per quel presunto reato, ora caduto, confrontata con altro tipo di richieste e di condanne effettive sembrava comunque fuori da ogni logica.
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