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Vae victoribus
15 giugno 2015

Vae victis (guai ai vinti) disse Brenno ai romani sconfitti nel 390 a. C. mentre oggi Piero de Nicolo, parafrasando il re dei Galli, potrebbe dire Vae victoribus (guai ai vincitori) rivolto al gruppo di “Noi a sinistra per la Puglia” veri vincitori delle elezioni regionali, unica formazione politica che ha espresso un consigliere, Guglielmo Minervini, a via Capruzzi. Infatti il re di via Manzoni contraddice se stesso, pur di non ammettere la sconfitta del Pd e sua personale come neo segretario, che ha fortemente voluto la verifica politica in piena campagna elettorale sperando di ripetere l’exploit del suo segretario Renzi alle europee, poco dopo la sua elezione alla segreteria nazionale del Pd. Ma questa volta i conti non gli sono riusciti e i voti al Pd di Molfetta si sono ridotti ad un terzo: in pratica appena 1.500 voti per il suo candidato Erika Cormio, che coraggiosamente e generosamente ha accettato di scendere in campo, ottenendo un successo personale, viste le condizioni di partenza. Ma a nulla servono le spiegazioni di De Nicolo, che, dopo essere stato tre giorni in silenzio a manovrare i suoi alambicchi in via Manzoni, è riuscito a distillare una spiegazione da dare in pasto agli allocchi per trasformare in vittoria, con un’ardita alchimia, una batosta storica, vagheggiando un successo inesistente attribuendosi gli interi 2.800 voti del partito. E così mentre i vincitori, pur soddisfatti dopo una difficile battaglia, preferivano un prudente silenzio, anche alla luce dell’elevato numero di astensioni, gli sconfitti convocavano un’ardita conferenza stampa per autoproclamarsi vincitori, minacciando anche gli avversari e facendo paventare una crisi della loro stessa maggioranza di centrosinistra. Una specie di ricatto. La competizione regionale è stata trasformata in un referendum amministrativo sia dal Pd che dal centrodestra di Tammacco: solo Minervini ha parlato di programmi regionali, gli altri hanno chiesto voti solo per “cacciare” Paola e Guglielmo. E la gente ha capito e ha punito questi giochi. E referendum è stato e hanno vinto Natalicchio e Minervini. A noi giornalisti tocca sempre l’ingrato compito di far cadere le illusioni e riportare con i piedi per terra quello che era il partito di maggioranza relativo, evitando ulteriori brutte figure con i cittadini che non hanno l’anello al naso. Mai come questa volta, i calcoli sono stati così facili, malgrado la confusione fra destra e sinistra con invasioni di campo che l’arbitro Emiliano ha finto di non vedere, ma che il pubblico ha notato e fischiato, sanzionando col voto tutti gli osceni trasformismi alla Tammacco. Dai 2.800 voti vanno tolti i 750 che sono andati solo al simbolo (voti di opinione) e non al candidato sostenuto dal segretario e da tutti gli altri e vanno anche sottratti i 550 voti ottenuti da candidati non locali. Alla fine restano i miseri 1.500 voti del candidato di circolo, per il quale non si è riusciti a fare meglio del candidato di circolo del 2010 che, guarda caso, si chiamava Guglielmo Minervini e all’epoca conquistò 4.000 preferenze, anche se con meno astensioni di elettori. Nella sua disperata arrampicata sugli specchi, il De Nicolo finisce spesso anche per contraddirsi e confondere i valori numerici: attribuisce il successo di Minervini e i suoi 3.102 voti alla presenza fra i suoi sostenitori del sindaco, di mezza giunta comunale e di due consiglieri del Pd. Piero non calcola che sulla candidatura Cormio sono confluiti 6 consiglieri comunali, fra cui il capogruppo Germinario, 3 dirigenti di partito fra cui lo stesso segretario, Annalisa Altomare e Lillino Di Gioia. A questi vanno aggiunti i Giovani Democratici e il presidente della Multiservizi. Insomma, 1.500 voti calcolando tutta questa armata sono poco più dei parenti e degli amici degli stessi. E soprattutto questa manciata di voti conferma che i millantati consensi o pacchetti di voti di Annalisa e Lillino sono evanescenti. A queste débâcle si aggiunge una campagna di comunicazione sbagliata (come lo fu quella di Ninnì Camporeale). Valeva la pena condurre la campagna elettorale più brutta della storia con insulti e attacchi personali (altro che corretta e con stile), con l’aggiunta di vergognosi manifesti che sono diventati un boomerang per i loro autori? Un po’ di numeri aiutano a capire meglio la situazione del Pd, insieme a Tammacco, veri sconfitti delle elezioni vinte non solo da Minervini e dalla Natalicchio, ma anche da Azzollini che è riuscito a far conquistare ben 2.213 voti al suo uomo Stanislao Caputo, anch’egli sconosciuto e scelto pochi giorni prima del voto. E l’ex sindaco senatore ha dimostrato di essere ancora in piedi, dopo i “tradimenti” del gruppo di Forza Italia. I votanti questa volta sono stati il 25% in meno rispetto alle Regionali 2010. La lista di Minervini “Noi a sinistra per la Puglia”, malgrado l’astensionismo, ha guadagnato il 3% in più rispetto alla somma di Sel e La Puglia per Vendola del 2010. Il candidato Guglielmo ha perso il 22% del consenso tra le Regionali 2010/2015 e comunque al di sotto dell’indice di affluenza del 25%. Ciò significa che c’è stato un recupero di consenso del 3%. Il PD, invece, ha perso il 66% del consenso, praticamente molto al di sopra dell’indice di affluenza del -25%. Ciò significa che c’è stata una perdita netta di consenso del 41%. Ed è stato un calo costante dai 6.606 voti delle regionali 2010, ai 6.088 delle politiche 2013, ai 4.707 delle comunali 2013, con un balzo ai 6.389 delle europee del 2014, fino agli attuali 2.792 voti (13,92%). I confronti si fanno correttamente solo con le regionali del 2010, perché se si dovessero fare con le europee, si registrerebbe un crollo verticale dal 35,49% al 13,92%. I numeri non si possono truccare, come fa “Silvan” de Nicolo, che continua a praticare il gioco delle tre carte con Rifondazione e Sel. L’astensionismo colpisce solo il Pd, e questo spiega anche la crescita di Rifondazione, che comunque con i suoi 880 voti (4,79%) rafforza la vittoria del centrosinistra, soprattutto se si sommano con quelli di “Noi a sinistra”, portando la percentuale dal 13, 73% al 18,52%. Ed è inutile il tentativo, per la verità molto ardito, del De Nicolo di sommare ai voti del Pd quelli di Rifondazione. Anche sui manifesti offensivi col simbolo del Pd e di “Cambia verso” (Altomare e Di Gioia) De Nicolo gioca all’equivoco, o non li vede, o non controlla, oppure condivide: sempre il gioco delle tre carte. Questa campagna elettorale ha rimediato solo le macerie, come significativamente esprime la bella copertina di Alberto Ficele, con Guglielmo e Paola impegnati a mantenere il precario equilibrio di Palazzo Giovene. Tra l’altro, sempre in tema di analisi del voto, va detto con chiarezza che la vittoria di Minervini vale doppio, perché ottenuta malgrado una campagna contro del Pd e di tutti gli altri, una vera caccia all’uomo che, come lo stesso Guglielmo dichiara nella nostra intervista, ha fatto sentire il candidato braccato come una preda: non certo un comportamento cristiano, al quale qualcuno dice di ispirarsi. La gente, invece, ha capito e ha premiato il lavoro fatto in 10 anni dall’assessore regionale in Puglia e i progressi complessivi della gestione Vendola. Ma una cosa va detta con chiarezza: il rischio delle attuali manovre interne alla maggioranza è quello di condannare la città ad altri 10 anni di opposizione. Oppure di amministrazione ibrida come fu quella che precedette la gestione Azzollini: corsi e ricorsi storici vichiani. Pur di conquistare il potere e le poltrone. Il resto sono chiacchiere. Ma il segretario del Pd, forse, non ha capito il clima, non è più quello che rimpiangono i suoi amici ex Dc e il voto ai 5 Stelle lo dimostra: non hanno radicamento e personaggi sul territorio, ma raccolgono il voto di protesta di tanti insegnanti del Pd contrari alla “buona scuola” di Renzi. Ma non si può scaricare sull’amministrazione il travaglio interno al Pd, ridotto al lumicino per le risse volute, cercate e amplificate. E per i personalismi dei troppi galli in un pollaio divenuto povero. Se vuole essere leader, il neo segretario deve dimostrarlo: non è facile tenere insieme una coalizione così variegata e non è con l’amputazione che si cammina. Non si può fare una campagna contro a sinistra, ignorando volutamente il trasformismo dell’amico Saverio Tammacco, sconfitto e ammaccato anch’egli dai suoi stessi amici, come rappresenta efficacemente Michelangelo Manente nella sua vignetta e sconfitto dall’ambizione di sedere fra i vincitori e non all’opposizione, perché con i suoi 9.000 voti nel centrodestra sarebbe stato eletto senza problemi. Ora si deve andare avanti, non servono protagonismi. Occorre ricomporre i dissensi nell’interesse generale della comunità, come hanno chiesto ancora una volta i cittadini col loro voto. Basta minacce di crisi e nuove consultazioni elettorali. La gente è disillusa, chiede di continuare a governare come è stato fatto finora sulla strada del cambiamento. Non vuole nuove promesse. Non è bastata al Pd la lezione del forte astensionismo, che ha punito proprio i litigi interni alla maggioranza? Se non si capisce questo, si condanna Molfetta a tornare indietro.

Autore: Felice de Sanctis
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