Non è semplice, almeno per me, raccontare se stessi ma accolgo di buon grado l’iniziativa proposta nata nella riunione di redazione di “Quindici” e mi metto in gioco condividendo con i lettori questa fase di “tempo sospeso”. Da anni lavoro con le parole per raccontare e per informare: raccontare le bellezze, la storia, le peculiarità del territorio e informare, facendo conoscere fatti, eventi, opinioni attraverso le pagine di un mensile o attraverso la videata di un sito. Ad un tratto tutto muta, siamo coinvolti in una guerra senza quartiere contro un nemico subdolo ma potente, che non investe solo gli aspetti sanitari ma che lascerà i suoi strascichi anche su quelli economici. Per me e per tanti colleghi impegnati nella cultura e nel turismo (oltre 25mila in Italia) la fase critica inizia il 22 febbraio, con il Decreto del Consiglio dei Ministri che sospende le gite scolastiche in Italia e all’estero. Il telefono comincia a squillare, si moltiplicano i messaggi whatsapp, giungono e-mail: una pioggia di disdette. Sul fronte dell’informazione, intanto, aumenta la responsabilità di saper bilanciare il diritto/dovere di dare notizie in tempo reale con l’attenzione a veicolare messaggi corretti, senza creare inutili allarmismi pur di correre dietro ai facili like. E poi arriva l’obbligo di restare a casa e uscire solo per comprovate situazioni di necessità e urgenza, con tutto quello che ne deriva sia nella gestione della casa e della famiglia sia nella vita personale e sociale di ciascuno. Sicuramente ci saranno dei lettori che, sia pure impegnati in settori diversi, avranno vissuto momenti simili. Decisamente è un momento di crisi. Cosa fare in una situazione che può creare sbandamento? Lasciarsi travolgere dallo tsunami dei catastrofisti o provare a utilizzare questo tempo sospeso per prepararsi alla ripresa? Senza indugio scelgo la seconda strada. Del resto, mi dico, la parola “crisi” in oriente è sinonimo di “cambiamento”. Una metafora (per la verità, molto abusata) paragona i momenti bui alla situazione di un baco durante la metamorfosi: visto dall’esterno è chiuso nella sua crisalide, è isolato; in realtà sta vivendo un piccolo miracolo della natura e verrà fuori da quella prigione con splendide ali di farfalla. Perché non vivere con questo spirito il sacrificio (perché di sacrificio si tratta, senza tante ipocrisie, non è facile per nessuno modificare o rinunciare alle proprie abitudini, lavoro compreso)? Decido, allora, di puntare tutto sulla crescita delle competenze e su nuovi progetti e percorsi. Da cosa partire? Dalla formazione continua, obbligatoria per tutti gli iscritti all’Ordine dei Giornalisti, che si può tranquillamente seguire on line, anche se non è come partecipare agli incontri presso la sede di Strada Palazzo di Città (sede regionale dell’Ordine): manca il confronto con i colleghi, la passeggiata nel centro antico di Bari durante la pausa o al termine dei convegni. A metà marzo partono le lezioni a distanza dell’Università di Bari. I collegamenti funzionano abbastanza bene, i docenti fanno l’impossibile per agevolarci in questa frequenza virtuale, il dialogo è continuo (qualche problema, per la verità, si riscontra con i collegamenti quando le aule virtuali ospitano 80-100 studenti). Sicuramente tutti vorremmo, però, tornare al più presto in Ateneo, avere un contatto più diretto con i docenti e incontrare nuovamente i colleghi, poter svolgere laboratori, partecipare alle campagne di scavo. E, perché no, tornare a prendere il caffè nel bar di fiducia o il fagottino dalla rosticceria presa d’assalto dagli studenti all’ora di pranzo. Ma sono appuntamenti solo rimandati. E il lavoro? Costretta all’inattività decido approfondire la conoscenza di siti, musei, opere d’arte (complice la vastissima offerta in rete), pensare a percorsi tematici, laboratori didattici e iniziative da proporre quando torneremo a viaggiare, a divertirci. Sono consapevole che non tutti hanno la mia stessa fortuna: basti pensare alla difficoltà delle famiglie in cui i genitori devono lavorare da casa mentre figli di età diverse devono collegarsi con i propri docenti (contemporaneamente). Poi ci sono coloro che non hanno introiti ma che devono, comunque, pagare affitti e utenze. Mi dico che, comunque, la ripartenza ci sarà e sarà ancora più bello tornare a incontrarsi, condividere esperienze ed emozioni, tornare a dar voce al nostro immenso patrimonio di monumenti, tradizioni, storia. O, più semplicemente, tornare a lamentarsi per i treni sovraffollati, per il traffico o la mancanza di parcheggi. Mi illudo che qualcosa, però, sarà sicuramente cambiato, che avremo imparato ad apprezzare maggiormente le piccole cose quotidiane che oggi ci mancano di più: l’incontro con i nostri familiari, la pizza con gli amici, la passeggiata in riva al mare o in campagna, la chiacchierata con i vicini, lo struscio per guardare le vetrine. Siamo al 4 maggio e con un nuovo decreto è consentito muoversi con libertà, pian piano ripartono le attività che presentano minori rischi di contagio, si può tornare a incontrare i parenti, riprendere singolarmente l’attività sportiva, senza però allentare la guardia: il virus non è ancora sconfitto, non c’è un vaccino anche se si stanno sperimentando cure che, a quanto pare, stanno danno risultati positivi. Tutto bene, allora? No. Questo è il momento della delusione. Mi ero illusa che avremmo imparato la lezione, che avremmo compreso quanto i nostri comportamenti abbiano ricadute sugli altri; in questi giorni, invece, sembra che il virus non sia mai esistito. Sentendomi un po’ come James Stewart ne “La finestra sul cortile”, osservo i miei concittadini. Il traffico è tornato a livelli pre-quarantena, gruppi di ragazzi, in bici o a piedi, si muovono in branco senza rispettare le prescrizioni di autotutela, assembramenti a corso Umberto o sul lungomare. Si obietterà che la gente è stanca, che ha bisogno di incontrarsi, di tornare a vivere o che, in fondo, sono solo pochi soggetti rispetto alla gran parte dei cittadini che sta rispettando le regole. Vero, ma proprio per rispetto della maggioranza ligia alle direttive non dobbiamo dimenticare che anche un singolo soggetto può favorire la circolazione del virus. Le conseguenze dei nostri comportamenti odierni saranno visibili solo tra alcune settimane. Un briciolo di buon senso non guasterebbe, per rispetto di se stessi e della propria famiglia o dei propri amici. Nel mio piccolo continuo ad attenermi alle indicazioni delle autorità: uscite solo per estrema necessità (spesa settimanale, pagamenti), mascherina e guanti quando sono all’esterno. Il resto del tempo scorre tra studio, lezioni, libri, musica e famiglia, in attesa di poter tornare al mio lavoro, in un settore che non solo è fermo da due mesi ma per il quale, al di là di tanti proclami, non ci sono ancora prospettive reali di ripresa. © Riproduzione vietata