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Una rappresentazione da far venire i brividi: il Liceo Classico di Molfetta contro la violenza di genere
Il grande coltello sanguinante installato nell'atrio della scuola (Foto Sara Fiumefreddo)
29 novembre 2017

MOLFETTA - «Ma che ci fanno dei manichini sul palco? Non saremo forse nel posto sbagliato?» si è chiesto più di uno spettatore, recatosi nei pressi del Liceo Classico per “l’appuntamento fisso” del 25 novembre. No, non siete nel posto sbagliato:  questo è il tocco di originalità della performance-simbolizzazione, costruita tassello per tassello, con pazienza e profuso impegno da parte di docenti e studenti del triennio, con cui il Liceo Classico “Leonardo da Vinci” di Molfetta ha fatto sentire, per il quinto anno consecutivo, il suo “NO” contro la violenza sulle donne.

Hanno assistito alla manifestazione la dirigente dell’I.I.S.S. Liceo Classico “Leonardo da Vinci” - Liceo Scientifico “Albert Einstein”, Anna Margherita Bufi, il sindaco di Molfetta, Tommaso Minervini, il vicesindaco e assessore alla Cultura, Sara Allegretta, l’assessore alla Socialità, Ottavio Balducci e il presidente del Consiglio Comunale, Nicola Piergiovanni.

Forti dell’esperienza degli anni precedenti, in cui il pubblico ha lamentato la scarsa visibilità dei protagonisti della performance, non c’è stata esitazione per la richiesta di una pedana e di un palco, alla cui installazione ha provveduto il Comune, che permettessero anche a chi non fosse riuscito ad accaparrarsi i posti in prima fila, di essere partecipe del frutto di un percorso che ha visto l’alternanza di momenti formativi a momenti pratici. Ma non sono solo due le installazioni: in un clima solenne un coltello intriso di sangue, posto nell’atrio del Liceo, ha catturato l’attenzione dei presenti.

Il suono della sirena, simbolo dell’allarme incombente, ha distolto l’attenzione dei presenti dalle installazioni e dagli oggetti di scena, dando inizio alla manifestazione: dal balcone, allestito con un drappo rosso, del palazzo situato di fronte al Liceo, il proclama, un rapporto di Rashida Majo, relatrice speciale delle Nazioni Unite, volto a denunciare le proporzioni mondiali assunte dalla violenza di genere negli ultimi anni.

Nelle prime sei storie raccontate, tratte da “Ferite a morte” di Serena Dandini, ciascuna donna, al termine del proprio toccante racconto, ha vestito un manichino con l’indumento che indossava al momento dell’uccisione. A intervallare le storie cruente, ma purtroppo vere, come quella di Maggie Holmes, preda di uno scoiattolo che è stato più veloce di lei, o di Teresa, la donna che aveva il mostro in casa, ma che non se ne è accorta in tempo, un coro misto che ha declamato frammenti delle liriche di Saffo e Anacreonte, dalle quali emerge il carattere folle dell’amore, definito dagli antichi Greci “indomabile belva”.

Così è terminata la prima parte della performance, cui è seguito ad effetto sorpresa l’intervento di 14 fanciulle dislocate tra il pubblico che, alzandosi all’improvviso dalla propria inaspettata postazione, si sono fatte portavoce di dilanianti storie, tra cui quella dello stupro, della denuncia inascoltata e dell’amore malato.

Altrettanto commovente la declamazione di quattro poesie, in parte specchio della rassegnazione della donna dinanzi alla violenza subita in parte della speranza di un amore che cambierà, accompagnate dal suono dal vivo del clarinetto. A proposito di musica, eseguita dal vivo anche la canzone di Ermal Meta, “Vietato morire”, scelta per la tematica trattata e per i toni caratterizzanti.

A seguire la storia della donna che capisce in tempo di essere in trappola, come un insetto che riesce a liberarsi dalla tela fittamente elaborata dal ragno danzante, accompagnata da un vivace coro mimato, che non è mancata di attenzioni. Ma il Classico si schiera contro questa problematica anche con il linguaggio del corpo: particolare il balletto che ha visto protagonisti due ragazzi che, sulle note del tango, hanno impersonato la donna soggiogata dall’uomo che vuole tenerne il pieno possesso. Ad affiancare le due figure dominanti altre ragazze, con indosso una maschera bianca, le quali rifiutano la trappola in cui la donna, spesso e volentieri, è tratta.

E infine il tocco di classe: una poesia in dialetto siciliano, della scrittrice Catena Fiorello, che esprime l’ingratitudine dell’uomo violento verso il genere che lo concepisce.

Ciò che non si concepisce è la follia, la spregiudicatezza, la cattiveria: avere a cuore questi problemi, e denunciare ogni anno un fenomeno che ancora invade e distrugge le vite delle donne, è una consapevolezza che deriva da uno studio che non viene fatto solo sui libri. Viene fatto sul palco, viene fatto nell’atrio del Liceo, viene fatto durante le prove, viene fatto il 25 novembre ma soprattutto viene fatto nei cuori di chi, da spettatore o da protagonista, ha reso possibile una performance da far venire i brividi.

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