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Un sindaco ipotecato
15 luglio 2017

Ha vinto Tommaso Minervini: è lui in nuovo sindaco di Molfetta. Sindaco di una minoranza, dato l’alto astensionismo, e a capo di quello che abbiamo definito, con una felice intuizione, il “ciambotto”: somma di sigle, liste civiche (o ciniche?) di destra e di un partito, il Pd sfilacciato e aggregatosi all’ultimo momento all’Arca di Noè, per saltare sul carro del vincitore e rimediare qualche prebenda. Insomma, mancano progetto e identità politica, è l’insiemistica, la somma dei diversi che piace al sindaco, ma che manca di una cultura comune, che, come lo stesso Minervini ha più volte sostenuto, è il cemento per la coesione amministrativa. Tommaso accusa noi di essere rimasti fermi agli schemi del Novecento, mentre lui è avanti nel tempo, col superamento dei partiti, dei luoghi di confronto ed elaborazione politica, puntando tutto sulla tecnologia come valore assoluto, ritiene di essere vincente. Forse ha ragione nel breve periodo, ma dopo l’innamoramento e la passione (che in realtà non c’è mai stata essendo la coalizione legata al calcolo degli interessi e non alla condivisione dei progetti, dei linguaggi, delle culture) arrivano, inevitabilmente, litigi e divorzio. Non c’è stata contaminazione, ma solo somma algebrica per gestire un potere del quale erano stati privati dal tentativo di cambiamento avviato con la coalizione di centrosinistra di Paola Natalicchio, vincente nel 2013. È solo un contenitore, un riccio vuoto, al quale autolesionisticamente ha fatto riferimento un candidato voltagabbana e trasformista (punito dall’elettorato con la mancata elezione), un corpo alla Frankenstein, senz’anima, senza valori. L’unico collante è quello del potere e della gestione della città, senza progetto del futuro, ma solo un ritorno al passato, senza sporcarsi le mani, facendo i burattinai di giovani sprovveduti che, se in buona fede, saranno destinati ad una prossima amara disillusione. Burattini e burattinai: brutto segno! Dietro i volti nuovi, ci sono quelli vecchi: basta guardare ai referenti delle liste civiche (i cui “leader”, in passato, non hanno dato buona prova sul fronte del bene comune) per capire che il ritorno al futuro, è fatto di una gestione dell’esistente e del passato, di quella politica azzolliniana, dalle cui file certi personaggi provengono. E’ la loro storia che parla, caro sindaco. Fare riferimento alla storia degli uomini, come ha fatto lei durante la campagna elettorale, può rivelarsi un boomerang comunicativo. In realtà, in queste elezioni amministrative, oltre al deficit politico e culturale, c’è stato un deficit comunicativo. L’unico messaggio percepito era quello di odio, lanciato da una parte e dall’altra, contro gli avversari considerati “infimi” o “traditori”. Così l’elettorato di minoranza si è diviso tra due gruppi in contrasto, come opposte tifoserie sostenute da fan accecati dall’odio nei social, dove, come scrisse magistralmente Umberto Eco (non ci stancheremo di ripeterlo), si è dato il diritto di parola agli imbecilli e lo scemo del villaggio si sente protagonista. Dov’è la cultura, dov’è il progetto politico, dov’è l’attenzione ai bisogni, dov’è la lettura della società? Ha ragione l’Azione Cattolica diocesana, che propone una sua riflessione, che pubblichiamo in altra pagina e che condividiamo in toto, quando parla di «politica troppo autoreferenziale piegata su se stessa anziché protesa verso il bene comune». Di qui nasce il disinteresse e la mancata partecipazione dei cittadini onesti alla vita politica. Il vero partito di maggioranza è proprio quello degli astensionisti, che nessuno è riuscito a coinvolgere. Non basta proporsi per amministrare la città come un commissario prefettizio qualsiasi, occorre creare una comunità, con una identità comune, che contribuisca al cambiamento, non alla gestione delle rendite di posizione, che restituisca la speranza di un futuro migliore e diverso a uomini e donne che vedono compromesso il lavoro, la salute, la sicurezza. Quali proposte sono venute dalla coalizione vincente e perfino da quella sconfitta al ballottaggio e affidata alla stessa matrice politica che potremmo definire di destra, non per rimarcare vecchi schemi ideologici, ma identità e culture di un certo tipo? Ascoltando gli elettori di una parte e dell’altra che si sono confrontati al ballottaggio, com’è abitudine nel nostro mestiere, abbiamo notato che tutto ruotava sul populismo a buon mercato, sul rifiuto delle regole, sulla facile e comoda critica alla raccolta rifiuti porta a porta, dove è più bravo chi la cancella. E’ questa la visione del futuro? E’ questa la smart city della “Molfetta positiva” (ironicamente Tammavini) che nessuno ha compreso e che rappresenta solo una formula senza senso, perché senz’anima? E’ questa la città che “merita di più”, con l’altro infelice slogan della candidata prestanome di Azzollini (ironicamente Azzolisa), l’avv. Isa de Bari? In quali luoghi hanno elaborato bisogni e aspettative dei cittadini? Nella sedi dei partiti sempre chiusi come quelli del Pd o di Fi o in quelli inesistenti delle liste civiche? Dove si sono confrontati? Nelle pizzerie o negli incontri con quattro amici di sponde opposte nei bar tanto cari a qualche personaggio voltagabbana campione di opportunismo politico a proprio vantaggio personale? Sono questi i moderni luoghi di formazione politica o di progetto e proposta per il futuro e per il bene comune? E che dire sul fronte della comunicazione e dell’informazione? Piace a tutti (anche a sinistra) il bavaglio alla stampa (lo dice anche l’Ac diocesana). Si parla di maggiore comunicazione. Quale? Quella dei social, di Facebook, dove anche gli ignoranti dicono la loro, dove proliferano più fake (contenuti falsi) e disinformazione, più di pancia che di cervello? Nel silenzio degli intellettuali, ahimè!, prosperano gli imbecilli, a tanto al chilo. Minervini parla di pacificazione e a questo abbiamo ispirato la copertina di “Quindici”, realizzata dal nostro bravo Alberto Ficele, dove il sindaco appare con l’elmetto in testa con gli occhiali da sole che riflettono il consiglio comunale dov’è rivolto il suo sguardo e i simboli pacifisti rovesciati, e si chiede “Born to love?”, mentre una colomba si avvicina timidamente nella speranza di una reale pacificazione, che dovrebbe cominciare col rispetto delle persone, ma che, finora, la sua coalizione ha dimostrato di non coltivare, anzi di avversare. L’analisi del voto oggi viene fatta solo a sinistra. A destra chi la deve fare: Piano Amato o Carmela Minuto? Oppure ci si deve accontentare delle semplicistiche dichiarazioni della candidata Isa de Bari che ritiene di non aver perduto per demerito proprio, ma perché gli elettori di Rifondazione avrebbero votato Minervini? Dimostrando ancora di più di non saper leggere i dati dell’astensionismo che confermano il contrario, mentre si può ipotizzare che i voti recuperati dalla destra fascista e xenofoba da lei rappresentata, siano stati ottenuti più con le promesse (o le minacce politiche?) che col consenso. Infine dichiarare che si è ricomposto il quadro politico della precedente amministrazione di centrosinistra, è il massimo dell’ignoranza o dell’ipocrisia politica. Un dato ci ha colpito in particolare: la corsa delle due coalizioni al ballottaggio a dichiararsi di sinistra. La De Bari: «Molti miei amici sono di sinistra e mi hanno sostenuto », mentre Tommaso continua a considerarsi salveminiano e quindi di sinistra, e il Pd, pur privato dei suoi iscritti ed elettori di sinistra, conferma di essere di sinistra, ma con amici di destra, una sorta di nazareno in sedicesimo, che piacerebbe tanto all’ex segretario locale, autore del disfacimento del partito. Ovviamente detto con un po’ di discrezione, per non turbare i nuovi alleati provenienti dal centrodestra che ormai si dichiarano anch’essi di sinistra, per compiacere il nuovo padrone Michele Emiliano. Ecco la verità, quella che gli altri non dicono. Riuscirà il prode Tommaso, al quale potremmo accreditare per ora la buona fede (vedi l’intervista in esclusiva, nelle pagine interne), a resistere alle corde che rischiano di stringerlo sempre di più (vedi la vignetta del nostro bravo Michelangelo Manente: “Dal ciambotto al salsicciotto”) e ai cui capi ci sono i noti personaggi del passato di destra (Tammacco, De Nicolo, Ancona, Caputo, Camporeale, Mancini, ecc.)? Quanta indipendenza e autonomia riuscirà a conquistarsi, senza essere considerato un sindaco ipotecato? Lo vedremo alla prova dei fatti e su questo lo giudicheremo. Intanto gli facciamo i nostri sinceri auguri, soprattutto per il futuro della nostra Molfetta. Crediamo che ne abbia veramente tanto bisogno!

Autore: Felice de Sanctis
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