Le dimensioni delle tavole per la realizzazione del “torello” sono superiori a quelle che ricopriranno il resto dello scafo. La prima parte dello scafo che viene ”chiusa” è il ponte di coperta. Cioè l’insieme di assi che si posano, longitudinalmente, sui bagli e che costituiscono il ponte principale. E’ consuetudine che alla posa del ponte di coperta, il Committente (Armatore) corrisponda al Mastro d’ascia (Costruttore) un ulteriore acconto sul costo totale dell’opera, un po’ come è d’uso fare nelle costruzioni edili, quando si “gettano” i solai dei piani dell’edificio. In alcune costruzioni, il parapetto del ponte di coperta, viene già previsto in sede di realizzazione delle ordinate. Se così non fosse, viene creato il supporto del parapetto, collegando, alla parte superiore delle ordinate, degli elementi chiamati scalmi. Essi sono poi tenuti in posizione da un corrente (elemento longitudinale) che costituisce il capo di banda, cioè la parte superiore del parapetto dello scafo. Le tavole che rivestiranno il parapetto saranno di spessore minore di quelle dei corsi di fasciame di scafo, dovendo semplicemente fare da copertura. Si passa quindi alla copertura dello scafo con il fasciame. La copertura si fa alternativamente, un po’ partendo dalla parte superiore (suola) ed un po’ dalla parte inferiore dello scafo (torelli). Tagliando e sagomando i vari corsi del fasciame. Il materiale usato è generalmente quercia, faggio o azobé (tavole spesse 50 mm, larghe circa 250÷400 mm e lunghe anche 6m). Esse vengono tagliate a misura, rifinite sulle superfici di contatto laterale1, “presentate” in loco, e tenute in posizione con vari apparecchi stringenti, spessori, cunei ecc., forate e poi inchiodate sulle costole, tramite chiodi zincati di varia lunghezza “l’cr’nnél” . La copertura dello scafo nelle zone piane e regolari (sezione maestra) è abbastanza agevole, perché si tratta, come già detto, di tagliare le tavole di forma relativamente regolare, e poi montarle, curando che l’estremità della tavola di un ordine di fasciame, sia sfalsata rispetto all’estremità dell’ordine contiguo. Le difficoltà però iniziano già all’atto della preparazione del torello. Il torello è il corso di fasciame più basso (i corsi possono anche essere più di uno), come già detto, posto fra la battura praticata su tutta la lunghezza della chiglia e la parte bassa delle ordinate. E’ evidente che il torello deve seguire, a poppa e a prora, l’andamento del dritto di poppa e della ruota di prora. Un’altra difficoltà e costituita dal fatto che il torello è di spessore maggiore di quello di tutti gli ordini successivi, pertanto le tavole sono più pesanti e più rigide. La chiusura dello scafo in alcuni punti di esso, in particolare sulle zone di massima stellatura2 è un’operazione molto faticosa e complicata. Infatti in queste zone è necessario che le tavole siano sagomate alla perfezione, per potersi incastrare bene nello spazio disponibile; inoltre, poiché queste zone presentano superfici curve sia concave che convesse, la tavola deve essere sagomata opportunamente, per evitare che durante il montaggio, a causa della necessaria tensione per montarla essa, relativamente rigida, possa spezzarsi. Le operazioni sono duplici, e cioè sagomatura (“dat u’ gàrb”) e piegatura/ svergolatura della tavola stessa. La sagomatura: questa operazione si effettua in un modo molto ingegnoso, ancorché semplice: lo spazio entro cui si dovrà montare la tavola sagomata, ha un lato diritto, risultante dalle altre tavole già montate. L’altro lato è quello da sagomare (“dà u’garb”). Il mastro usa una tavoletta rettangolare (“la chénd’nedd”) di circa 10 cm per 7 cm, con un angolo smussato, ed una striscia di legno sottile, larga circa 12 cm e lunga quanto la tavola da sagomare (la raiegh). Va sullo scafo e inchioda provvisoriamente la striscia sulle ordinate parallelamente al corso di fasciame diritto, il più vicino possibile al lato da sagomare. Poi, usando la tavoletta, con il lato della stessa appoggiato sulla tavola non diritta, disegna a matita sulla striscia, ad intervalli regolari, la sagoma del lato con l’angolo smussato. In questo modo ha riportato, sulla striscia di legno, l’andamento della sagoma della tavola non diritta rispetto a quella diritta. Prima di riportare queste misurazioni sulla tavola da sagomare, prende le misure delle larghezze (a poppavia e proravia) e della lunghezza della parte da ricoprire. Va su un piano su cui poggia la tavola di legno da sagomare. Segna le misure fisse, e cioè la lunghezza, una larghezza, segna la parte diritta e inchioda provvisoriamente la striscia con i segni rilevati, il più vicino possibile all’orlo da sagomare sulla tavola. Dopo di che, posando la tavoletta rettangolare sui segni gia riportati precedentemente sulla striscia, traccia dei segni sulla tavola. Fatto ciò, con l’aiuto di bacchette di legno sottili,collega tutti i punti segnati: così ha ottenuto il profilo asimmetrico sulla tavola che può essere segata. La tavola così “segnata” è portata sul ripiano della sega a nastro e quindi segata a misura. Successivamente sarà effettuata la rifinitura a pialla elettrica e, con l’uso della squadra variabile (u’càrtapaoen) sarà dato il giusto angolo ai lati stretti, cosa che permetterà di poter effettuare il calafataggio. Dopo aver riportato sulla tavola da sagomare i segni rilevati sullo scafo, si procede a segnare a matita le tracce della forma che deve assumere la tavola sagomata. La copertura delle parti più ricurve dello scafo, sia a poppa che a prora, rende necessario che le tavole vengono deformate a caldo; questo per evitare che nell’applicarle sulle superfici curve, l’uso di apparecchi stringenti per far sì che esse aderiscano perfettamente alla forma delle ordinate, possano mettere in tensione eccessiva le fibre del legname e quindi provocarne la rottura. L’operazione di deformazione a caldo si effettua anche perché, se le tavole fossero flessibili a sufficienza, da consentirne il montaggio senza una piegatura preliminare, esse comunque genererebbero delle tensioni elastiche che potrebbero essere dannose alla stabilità ed alla resistenza. Per piegare a caldo una tavola, prima di tutto si prepara, in una zona idonea, un letto di trucioli e piccoli pezzi di legno, lungo circa quanto è lunga l’asse da piegare. All’incirca nella zona di piegatura si pone di traverso a questo “letto” un cavalletto metallico. Un’estremità dell’asse da piegare viene incastrata in un punto fermo; l’asse poi ap-gatura, sul cavalletto (che così diventa il fulcro); l’altra estremità dell’asse viene “appesantito” (si realizza così una “leva di primo genere” con la “resistenza” nell’estremità incastrata dell’asse da piegare, il “fulcro” costituito dal cavalletto su cui poggia l’asse e la “potenza” costituita dalla parte appesantita). Viene acceso il fuoco e mantenuto sempre vivo ma non violento con l’aggiunta di altri trucioli e legno; nello stesso tempo, l’asse e tenuto umido sulla parte esterna, non esposta al calore. Questo fa sì che le fibre della faccia del legno esposte al calore si “contraggano” per disidratazione, mentre quelle dell’esterno, mantenute bagnate, abbiano la possibilità di scorrere ed allungarsi, provocando così la piegatura della tavola. In alcune zone dello scafo, le più “stellate” (prora e poppa), la piegatura longitudinale dell’asse deve essere composita, fatta cioè per “svergolatura”: avere grosso modo l’andamento della pala di un’elica. Per ottenere questa sagoma sulle assi da piegare, oltre all’eventuale contrappeso, in asse con la tavola, se ne aggiunge un altro, disassato. Questo provocherà una piega composita, appunto svergolata, della tavola. La copertura dello scafo con tavole di fasciame è realizzata dunque ponendo tavole, in alcuni casi descritti sopra, opportunamente sagomate, in funzione della zona da coprire. In generale la sezione trasversale delle tavole è all’incirca un trapezio (l’angolo dei lati stretti non è ortogonale rispetto ai lati larghi). Questo per far sì che fra due corsi giustapposti, venga a formarsi una leggerissima fessura a “V” entro la quale sarà poi inserita la canapa catramata per il calafataggio). Il montaggio delle tavole è un’operazione estremamente faticosa e che richiede molta attenzione ed esperienza. Infatti, come già detto, le tavole sono estremamente pesanti ed ingombranti. La tavola viene accostata ad un corso di fasciame precedentemente montato, con l’utilizzo di stringenti a vite, spessori, cunei ecc.. In corrispondenza delle ordinate si praticano dei fori (generalmente due, uno per ogni sesto di cui è fatta l’ordinata). I fori hanno lo stesso diametro dei chiodi , ma sono profondi poco meno della loro lunghezza. I chiodi (l’ccr’nnél) sono generalmente di acciaio zincato, senza punta e con una testa cilindrica – sono lunghi da 100 a 150 mm ed hanno un diametro da 8 a 12 mm. Prima di inserire il chiodo, sul foro viene creata una svasatura che alloggerà la testa del chiodo medesimo. Il chiodo, con l’uso di una mazza, è spinto dentro il foro, successivamente, usando un punzone montato su un manico e tenuto da un operaio, esso viene ribadito, in modo da tenere ben ferma la tavola al suo posto. Fatto ciò, si allenta lo stringente e lo si monta un po’ più in là, dove viene ripetuta la stessa operazione precedente. Si continua con questo procedimento fino a quando quasi tutta la superficie esterna dello scafo non risulta quasi completamente rivestita. Lo scafo non viene mai coperto completamente, perché il suo interno deve essere sempre parzialmente visibile ed accessibile dall’esterno, specialmente quando si procederà all’allestimento della barca.
Autore: Tommaso Gaudio