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Troppe informazioni, scarsa qualità, poca verità: il giornalismo di Felice de Sanctis all'UPM
15 maggio 2013
Come diceva Edgar Monroe, «non importa chi dà la notizia per primo, importa chi la spiega meglio. Non importa lo scoop del giornalista, bensì saper bene spiegare al lettore che cosa è successo». Un consiglio che è diventato utopia nei tempi moderni. Oggi le priorità del giornalismo all’italiana sembrano rovesciate. In una società globalizzata e consumistica, anche la notizia passa subito di moda e l’approfondimento diventa un gadget non più necessario. La necessità stringente non è più scuotere le coscienze e fornire uno spazio di riflessione fucina di nuove idee, ma ciò che conta è colpire, affascinare, stupire e indignare il pubblico. A cogliere il cambiamento di un giornalismo in continua evoluzione ed a fare il punto della situazione ci ha pensato il dott. Felice de Sanctis durante una conversazione dal titolo «Giornalismo all’italiana. Troppe informazioni, scarsa qualità, poca verità». Dopo una breve introduzione della prof.ssa Ottavia Sgherza Altomare, presidente dell’Upm, il giornalista economico della “Gazzetta del Mezzogiorno” e direttore di “Quindici”, ha subito introdotto la platea nel vivo dell’argomento attraverso la questione del finanziamento pubblico destinato ai giornali. Oltre che di una limitazione della libertà di espressione poiché legato ai gruppi di interesse politico-economico, si tratta anche di un controsenso: il contributo finanziario è tanto più cospicuo quanto maggiore è la tiratura del giornale, lasciando così inascoltato il grido di aiuto dei giornali più deboli. Invece negli Stati Uniti la stampa è un potere economico a sé. In altre parole, gli editori d’oltreoceano creano la loro ricchezza vendendo ai lettori la libertà delle notizie che pubblicano. E non c’è da meravigliarsi se poi in un sistema tutto all’italiana, il nostro Paese è confinato al 75esimo posto in classifica per quanto concerne la libertà di stampa e al 41esimo in merito all’attendibilità delle notizie. Inoltre, se in passato la linea di comando si estendeva dal direttore al caporedattore che insieme sceglievano la notizia, oggi la precedenza è data ai comunicati stampa (uguali per tutti i giornali) e alle notizie d’agenzia. L’adozione di un simile sistema ha permesso di abbassare notevolmente i costi, di ottenere una maggiore attendibilità con il minimo dello sforzo e di depotenziare la responsabilità del singolo. Il potenziamento di questa tendenza è coinciso con il fenomeno della riduzione dei lettori che si affidano attualmente al nuovo mezzo dell’era digitale, internet. La nuova frontiera della comunicazione globale se da una parte ha dato avvio ad una comunicazione in tempo reale, sorpassando la velocità che tv e radio detenevano nei confronti della carta stampata, dall’altra si è attestata come «la patria della subcultura massificante e omologante». Oggi vivere in un villaggio globale, come diceva Marshall Mc Luhan (studioso canadese delle comunicazioni di massa), comporta anche il confrontarsi con nuovi strumenti di trasmissione e divulgazione dell’informazione. Anche l’incessante sviluppo dei social media come Facebook e Twitter, ha dato la possibilità di abbattere le barriere dei luoghi fisici, dando la possibilità di fare persino in rete campagne elettorali che non hanno nulla da invidiare a quelle tradizionali allestite nelle più tradizionali piazze. Dunque, il rischio è che la figura del cronista possa scomparire a fronte della possibilità data dai giornali in rete di offrire un accesso diretto alle fonti eludendo in tal modo la mediazione giornalistica. Di fatti oggi il giornalismo ha ceduto il passo ad una informazione dal basso, quasi a presagire l’avvento di un «postfordismo dell’informazione» che immette sul mercato la notizia, per poi procedere solo in un secondo momento alla regolare verifica o correzione. E come la prima pedina del domino che se fatta cadere innesca una reazione a catena sulle altre, un’ulteriore conseguenza negativa riguarda la riduzione della pubblicità e degli introiti ad essa legati e di conseguenza un abbassamento della qualità dell’informazione vista la scarsità delle risorse economiche. Se parliamo poi dell’informazione locale on line e stampata la qualità e l’attendibilità dell’informazione, tranne qualche eccezione, scendono molto di livello, anche per la tendenza a pubblicare solo comunicati stampa, senza alcuno sforzo di approfondimento e di analisi. Prevale la pigrizia e la volontà di non avere problemi, manca il coraggio, in un conformismo spaventoso, dimenticando che la stampa è il cane da guardia della democrazia e non il gatto che fa le fusa al padrone di turno. E’ facile e comodo scegliere questa strada, ma non si rende un buon servizio alla verità e ai lettori. Ma l’aumento dei costi mette sempre più in difficoltà i giornali grandi e piccoli. E allora come uscire da questa preoccupante situazione? Un ottimo mezzo potrebbe essere il finanziamento da parte dei cittadini per la realizzazione di reportage, inchieste e vari servizi giornalistici così come accade in America, dove esiste un “giornalismo on demand” fatto da free lance che annunciano la volontà di fare un’inchiesta su un determinato argomento: raccolgono il denaro da offerte dei lettori che sono disposti a pagare per conoscere la verità su fatti importanti e poi, una volta raccolti i soldi necessari a pagare le spese dell’inchiesta (si arriva anche a 1.000 dollari) la pubblicano e possono anche venderla a qualche giornale. A questi reporter free lance e a questo sistema di autofinanziamento è stato assegnato anche il premio Pulitzer, il maggior riconoscimento al giornalismo americano. Ma forse questa soluzione è difficilmente praticabile in Italia, dove è ancora poco sviluppata l’idea che più si è informati e più si è liberi.
Autore:
Angelica Vecchio
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