Troppa grazia Sant'Antonio
Il 13 giugno la Chiesa cattolica festeggia Sant'Antonio da Padova, al secolo Fernando Bulhão, (Lisbona, 15 agosto 1195 - Padova, 13 giugno 1231), un santo taumaturgo vissuto nel XIII secolo, definito “Arca del Testamento” da Papa Gregorio IX per la sua profonda conoscenza delle Sacre Scritture e venerato in tutto il mondo. Nella tradizione popolare una serie di detti cita il santo. Qui desidero soffermarmi su un detto molto ricorrente: “Troppa grazia, sant'Antonio!”, che significa la constatazione d'aver ottenuto più di quanto chiesto o desiderato, con risultati spesso sconcertanti per il ricevente. In ambito locale il motto nasce dal seguente racconto. Un contadino molfettese, chiamato patrùne Colìne (Colìne è il diminutivo di Nicola), passava le sue giornate nel lavoro del campo. Si alzava alle tre del mattino e finiva a sera a la vémmérie (all'Ave Maria). Non possedeva alcun mezzo di trasporto e, per portare in campagna gli attrezzi indispensabili per il lavoro, li trasportava su una carriola. Il suo sogno era quello di acquistare un asino per l'aratura e per il trasporto delle varie masserizie. Per questo si affidava alla benevolenza del suo santo preferito, pregandolo ogni giorno così: Sénd'Éndonie mie benigne, / de pregàtte nén so dégne, / démme chère ca m'abbesogne. / Tu si ricche e poténte, / alze l'ùecchie e tìeneme ménde, / apre re rècchie e sìend'a mmé, / apre la vocche e parle che mmé, / alze u péete e chémmine che mmé, / apre re vràzzere e abbràzz'a mmé. / Famme grazie, Sénd'Éndonie. (sant'Antonio mio benigno, di pregarti non son degno, dammi quello che mi abbisogna. Tu sei ricco e potente, alza gli occhi e poni mente, apri le orecchie e ascolta me, apri la bocca e parla con me, alza il piede e cammina con me, apri le braccia e abbraccia me. Fammi grazia, sant'Antonio). Un'antica massima dice “Rustica progenies semper villana fuit” (la stirpe contadina è stata sempre villana). Una massima ingiusta nei confronti di un uomo, che, pur nella miseria, riusciva a dare a se stesso, all'ambiente umano in cui viveva, alle sue azioni ed al suo lavoro un tono di nobiltà tale, da fare invidia ai più titolati “signori”. Dopo una vita di stenti realizzò finalmente il suo antico sogno: comprare un asino che gli alleggerisse il faticoso lavoro. Andò di buon mattino alla fiera degli animali e, vedendo un asino di buona fattezza fisica, volle mettere alla prova la sua agilità, dicendogli: “Ciucce, curre, ca vénghene le tùrchie” (Corri asino, ché arrivano i turchi). L'asino rispose: “Ciucce sò pe segnerì é ciucce sò pe le tùrchie” (Asino sono per voi e asino sono per i turchi), Così l'asino non si scomodò affatto. Il contadino capì che si trattava di un quadrupede “intelligente” contrariamente all'opinione comune, che lo considera ignorante, zotico e duro di testa, perciò, senza esitare, decise di acquistarlo. Ma il problema era come salirgli in groppa, dato che il proprietario aveva le gambe troppo corte. Infatti, quando si trattò di montare, non riuscì a prendere lo slancio necessario. Dopo alcuni disperati tentativi, si rivolse al suo santo preferito, sant'Antonio, invocandone la grazia. Al termine della supplica il contadino si sentì così leggero che, spiccato un gran salto, scavalcò addirittura la groppa dell'animale e andò a finire, gambe all'aria, all'altra parte. Rimessosi in piedi un po' frastornato, esclamò “Troppa grazie sénd'Éndonie”(Troppa grazia sant'Antonio). In Sicilia (una terra davvero «impareggiabile», come la definì Salvatore Quasimodo) si spiega il motto con un altro aneddoto. Questo è riferito all'abitudine siciliana, durata fino all'800, di mettere in castigo le statue dei santi, che non esaudivano le preghiere dei fedeli. Successe così anche a sant'Antonio, invocato invano in un paese dell'entroterra, per fare cessare la siccità che aveva già rovinato molte colture. Gli abitanti, per punirlo della negligenza nel soccorso, chiusero la statua nello sgabuzzino della chiesa e la reazione del Patrono non si fece attendere. Al secondo giorno di reclusione, infatti, il santo si vendicò con una pioggia incessante, che durò oltre tre giorni e non si arrestò neppure quando i fedeli la liberarono. Anzi, per ottenere la fine delle piogge, gli abitanti del paese furono costretti a pregarlo questa volta di por termine al diluvio! “Così va spesso il mondo”, direbbe Alessandro Manzoni (I Promessi Sposi, Cap. VIII, 154)