Tre diavoli e il giallo del sacco a pelo
Un sacco a pelo. Un sacco a pelo è una capsula di felicità. D’estate, chi non lo ha usato per guardare le stelle, ripararsi in montagna dal freddo? Sfidare la notte avventurosa dei viaggiatori. Un sacco a pelo è un oltre-corpo, una seconda pelle; un modo che abbiamo per dialogare con la natura senza troppi orpelli. Quando ebbero a scalare quella dolce montagna tra Scanno ed Anversa degli Abruzzi, Ermino, Massimiliano e Porzia, con i loro ramponi e picchetti, muniti di sacchi a pelo anche loro, giunta la sera, non ebbero modo di guardarsi intorno. Si adagiarono su di un lenzuolo di terra e fango, erbe selvatiche e fascine che il vento trasporta come una pulce nel pettine e s’addormentarono. Allo spuntar del sole, (che sulla montagna ogni alba è un presagio di felicità e di manifestazione della verità); Erminio il più grande dei tre, era intento a preparare un caffè da campo, da offrire ai suoi amici scalatori. * * * Nicola, Enzo e Anna (moglie di quest’ultimo) avevano passato una notte insonne. Attanagliati dai dubbi, e da implacabili rimorsi avevano viaggiato dalla Puglia, (più precisamente da Trani) ed avevano dovuto raggiungere Scanno, un piccolo paese abruzzese nel quale più volte avevano passato le vacanze per via di conoscenze allacciate nell’ambito lavorativo. Nicola pensava e ripensava che quel sacco a pelo nessuno l’avrebbe potuto trovare, abbandonato in una fitta boscaglia; Enzo invece faceva progetti futuri, quando fossero passati ancora una quindicina d’anni, il tempo giusto per giustificare una scomparsa, sarebbero pure andati a “chi l’ha visto” a denunciarne la scomparsa; Anna, la più audace, pensava che bene aveva fatto ad insistere come una moderna Lady Macbeth a non denunciare la dipartita del povero Luigi Malerba, chiamato in corsia più semplicemente Gigi, morto ottantacinquenne probabilmente d’infarto, così da poter ricevere la sua pensione e tirare a campare ancora per un po’ con l’agio di una disponibilità finanziaria, soffocando un dolce (tutto sommato) pentimento nel cuore. Avete bene inteso, questa è la storia di tre persone accomunate da vincoli di parentela che gabbano lo Stato non denunciando la dipartita di un uomo, giustappunto: Gigi l’infermiere. Tre manigoldi che non hanno grandi problemi economici ma che sensibili alla tentazione del diavolo si lasciano sedurre da questa forza oscura che porta a rubare, brigare, fingere, osare. Se n’era accorto Enzo della morte di Gigi. Tornato a casa l’aveva trovato riverso con un bicchiere ancora nella mano che nel rigore della morte s’era incagliato tra le dita del de cuius. Stava per chiamare il 118 quando sua moglie Anna gli aveva bloccato la mano. Intanto era sopraggiunto il fratello Nicola, alto e robusto, sensibile agli affari. «Teniamocelo ancora qualche mese con noi!» aveva ipotizzato; «e dove lo mettiamo, nel frigo?»; Nicola taceva, non una lacrima, un pensiero tenero spinto dai ricordi ma l’elaborazione cinica di un piano che solo dei figli degeneri potevano elaborare. In barba al culto dei defunti, del rispetto delle anime, in barba ad Antigone ed Emone; contro ogni rito di commiato, i tre probabilmente avevano ognuno a proprio modo già pensato a questa stramba occasione. «2.000 euro Nicò, che noi se diciamo che è morto non prenderemo più!»; «in fondo noi Gigi l’abbiamo amato in vita, ora stiamo ingannando un cadavere. Si può mai ingannare un cadavere?». Queste frasi immagino siano state proferite al capezzale, da Anna in primis, ed i silenzi degli altri due, la loro sottomissione a quella donna, sono probabilmente anch’essi delle ammissioni di responsabilità. «Io so dove portarlo!» suggerisce Nicola; «dove?» come un bambino gli fa eco Enzo. A Scanno, tra le montagne. Prendiamo il sacco a pelo lo mettiamo lì e gli animali faranno il resto. «Già! Chi ci va fin lassù! Quel bosco è impenetrabile». Un sorriso lampeggia sul viso di Anna come a dire: «quanto astuti siete, mia cari figli di puttana!». Sul comodino i tre spostano bicchieri, buttano dentiere, acconciano fogli, ricette e foglietti. Potranno tornare utili. Tra le mani Enzo si ritrova il foglio di dimissioni dopo l’intervento fatto all’anca, una protesi introdotta nel corpo del povero Gigi già ottantenne. «Del suo corpo resteranno solo questi uncini, gli animali selvaggi non li mangiano!»; Nicola gli si mette vicino ed osserva l’ultima radiografia fatta al bacino, al femore, alle anche e non può non notare questi uncini di metallo che allampano la nera lastra ricordandoci che null’altro siamo che ossa e cenere. Inizia nel pomeriggio la macabra preparazione. Denudano la salma così più semplicemente attirerà gli animali, la piegano con non molti sforzi, poiché la malattia s’era già divorata il peso del serafico Gigi; ne accomodano il corpo nel sacco a pelo colorato di giallo e di blu, di rosso e d’arancio. È pazzesco osservare come l’uomo, la donna, scavallato il crinale del turbamento dinanzi alla morte, s’adattino a conversare con essa, ne suggano la forza e l’importanza. Insomma c’è un becchino dentro ognuno di noi che ci fa forti, molto forti. Il tramonto è giunto ed il sole cala proiettando un taglio di luce rosa sulla facciata della cattedrale di Trani. È stato quello il corteo, il funerale in un sarcofago di piume d’oca di Gigi l’infermiere. * * * Dicevamo di Erminio, Massimiliano e Porzia. Gli scalatori e cercatori di luce, di vita. Il caffè stava sbuffando con i suoi arzigogoli fumosi ma per tutta la notte il vento aveva consegnato loro un puzzo di carogna. Inconfutabile. Doveva esserci lì presso qualche bestia depredata, sbranata che emanava quel pestifero miasma. Forse un cane, una volpe morti o qualcosa del genere. La cosa certa è che il vento la riconsegnava con la sua generosità opprimente. E poi cos’erano quelle piume d’oca che svolazzavano tra i fusti e le erbe, mai viste prima in quel territorio pulito! Mentre gli altri dormivano ancora aveva deciso di perlustrare la zona munendosi di un grosso bastone, «se ci sono animali a consumare il loro pasto, potrebbero aggredirmi» aveva pensato Erminio. Aveva mosso un’ottantina di passi. Gli sembrò di vedere dapprima una tana di lupo. Poi un sacco a pelo. La cerniera del sacco a pelo era chiusa, ma i morsi dei lupi avevano scarnificato un corpo d’uomo. Nei pressi dell’orrendo strazio una settantina di orme caprine. L’anima di Gigi se l’era presa il diavolo. (Da un fatto di cronaca accaduto per davvero) © Riproduzione riservata
Francesco Tammacco