Tenco ancora attuale una storia di quarant'anni fa narrata da Giulio Bufo
Nella luce calda della saletta di Palazzo Turtur torna a vivere per Molfetta il genio tormentato e prezioso del cantautore italiano Luigi Tenco, morto suicida nel 1967 durante un festival di Sanremo, storia terribile e nota a tutti. Giulio Bufo porta in scena, con le musiche di Roberto d'Elia, un recital sentito e istintivo che chiama: “E se mi diranno… Tenco, una storia di quaranta anni fa”, in cui il fi lo conduttore non è altro che la vicenda personale del giovane cantautore che rivive in un narrato veloce e mai retorico che lascia ampio spazio al cantanto di Bufo, ma anche all'inconfondibile voce di Tenco stesso. Tenco è una personalità complessa da trattare e da presentare, richiede un ascolto maturo e concentrato che trova ideale sede nel raccolto ambiente della gremita Sala Turtur. Il racconto nasce con le note di Lontano Lontano suonate dalla chitarra di Roberto d'Elia, e in questa atmosfera Bufo entra in scena narrando con voce ferma in una scenografi a essenziale ma signifi cativa: in camicia bianca fuma nervosamente e passeggia alternando iperattività e momenti di raccoglimento. Si narra del rapporto con pubblico dell'epoca troppo poco interessato alle dinamiche della canzone di Tenco e più incline al particolare superfl uo. Questa “Italia provinciale” vuole solo le storie d'amore, la curiosità, il gossip, per usare un termine tanto ricorrente di questi tempi, e l'uomo Tenco prova terribile fastidio perché la sua curiosità, la sua criticità, la sua ricerca del profondo, si scontrano con la televisione bacchettona, con la società rigida e ipocrita. Per tutto il tempo si ha, quasi, il sospetto che le rifl essioni di Bufo/Tenco siano molto più attuali di quanto si pensi. Poi è la volta dei soldi, della rivoluzione, dei compromessi e il malessere di un uomo diventa quasi visibile nell'espressività e nei gesti che quarant'anni dopo la sua morte fanno ancora parte di tutti noi, del nostro immaginario di pubblico mai pago, di pubblico ingenuo che crede ancora alla forma e non si preoccupa del contenuto, dei signifi cati, della comunicazione che va al di là del visivo. “Vogliono far di te un uomo piccolo, una barca senza vela. Ma tu non credere, no, che appena si alza il mare gli uomini senza idee per primi vanno a fondo”; forse è questa la frase chiave della conoscenza di Tenco e della sua sofferenza di artista che trovava rifugio solo nelle sue canzoni, in un mondo che voleva all'epoca, ma vuole tuttora, indirizzarti verso la povertà d'animo. Bufo comincia a vestirsi e con gesti lenti sistema la cravatta, la giacca, via le sigarette: è pronto per l'immaginario palco di Sanremo. Gli dicono di sorridere, ma che ne sanno loro di cosa c'è da sorridere, deve cantare Ciao Amore Ciao e non una marcetta; si diffonde la voce di Luigi Tenco ed è tutto un movimento nervoso, quasi isterico e canzonatorio: Giulio Bufo balla e batte le mani, il disagio ha toccato l'apice, esce di scena dopo avere recitato ancora versi di Ciao amore ciao e lasciando spazio alla voce di Fabrizio de Andrè che riempie la sala commossa.