MOLFETTA - «Perché finora non siete riusciti a cambiare il mondo?», la domanda che spesso si pone ai cristiani: la domanda senza risposta alle nostre coscienze. L’adattamento dello spettacolo «Processo a Gesù», organizzato dalla Parrocchia San Giuseppe, è stato innanzitutto materia di riflessione per il pubblico presente in chiesa. «Dovremmo essere santi, ma santi non siamo»: le parole del Difensore Improvvisato, cui riecheggia l’intervento del Sacerdote «se credessimo veramente in Lui, smuoveremo le montagne».
Dopo rappresentazioni come «I Dieci Comandamenti», «Sister Act» e «Scugnizzi», Pasquale Paparella, in collaborazione con i sacerdoti della parrocchia, ha riproposto lo spettacolo impegnato e appassionato che Diego Fabbri scrisse nel 1955. L’adattamento di Pasquale Paparella, che pur riduce il testo, lo rende godibile e scorrevole al pubblico, mantenendo la sua straordinaria carica di tensione e d’inquietudine in un crescendo d’intensità e di emotività che coinvolge tanto i personaggi in scena quanto il pubblico.
Quanto mai riuscita la location dello spettacolo, l’interno della chiesa, che ha saputo colorire le battute degli interpreti di profondo significato. I ceri per illuminare il percorso e l’area del palcoscenico, il gioco di luci e ombre, le musiche hanno fatto il resto, colpendo l’immaginario di un pubblico che immaginava uno spettacolo borioso e intenso. Il Processo per eccellenza, l’evento fondamentale della civiltà cristiana, non lascia indifferenti. L’avvenimento su cui forse è stato più scritto in assoluto, smuove sempre l’animo di chi lo ascolta: «abbiamo avuto paura di proporre la santità ai nostri giovani».
Se siamo cristiani «all’acqua di rosa», come dobbiamo comportarci? La risposta del Sacerdote non ha bisogno di commenti: «dovremo sempre chiederci come si sarebbe comportato Gesù, amare come lui amava, perdonare come lui perdonava, consolare, incoraggiare, pazientare». Cambiare il mondo a colpi d’amore.
Questo processo, rivisitazione di un pezzo di storia sacra, è la ricerca della verità che investe la storia contemporanea messa sotto accusa: dai semplici laici agli atei, da coloro che si credono e dicono cristiani praticanti al clero. Gli interrogativi di Elia, il presidente del consesso dei giudici, non solo nascono dal timore di aver commesso una colpa imperdonabile, ma, soprattutto, dalla mancata attuazione nel mondo di oggi del messaggio di Cristo, smentito ogni giorno. L'idea del processo è doppia: processo a Cristo e processo alla cristianità, che, messa in discussione, torna a gridare alla fine del processo il suo bisogno di Cristo, perché, come conclude la Donnetta delle Pulizie, se lo condannano nuovamente, a lei, a loro, a tutti gli uomini, non resta veramente più nulla.
Direzione artistica: Pasquale Paparella; costumi e scenografia: Francesca Turtur e Mina De Palma; audio e luci: Gennaro D’Agostino, Gabriele Chiarella, Lorenzo De Gennaro; attori in scena (in rodine di apparizione): Antonio De Gioia (Elia), Carmela Modugno (Sara), Susanna Guarini (Rebecca), Giuseppe De Tullio (Davide), Francesca Miele Murolo (Difensore improvvisato), Marcello La Forgia (Caifa), Francesco Samarelli (Pilato), Valentina De Tullio (Maria), Giuseppe Rana (Giuseppe), Domenico Aurora (Pietro), Michele Calò (Giovanni), Lirio Grillo (Giuda), Alessia Mirto (Maddalena), Antonio Piergiovanni (Sacerdote), Danilo Porta (Intellettuale), Tania Adesso (La Signora), Alessandro Capurso (Il Provinciale), Stefania Annese (Educatrice), Mina De Palma (Donna delle Pulizie).
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