Storia vecchia di processioni
Don Tonino e i riti della Settimana Santa
S’ode a destra uno squillo di tromba: “Potrebbero esserci nei prossimi mesi profonde novità… da poter mettere in discussione secoli di storia e di tradizioni, comprese quelle relative ai riti e alle processioni della Quaresima e della Settimana Santa molfettese”. A sinistra risponde uno squillo: “Dobbiamo doverosamente smentire queste voci… Le manifestazioni e le processioni… si svolgeranno secondo i tempi, i modi e le durate che da secoli le contraddistinguono, nel solco di quelle tradizioni che indubbiamente sono patrimonio della intera città di Molfetta”. D’ambo i lati rimbombano minacce di rivolta, poveri avvertimenti alla gerarchia… mentre una città, una società e una chiesa vedono costantemente diminuire i fedeli. Mentre la chiesa combatte contro l’estraneazione dalla cultura attuale e riesce con fatica a parlare alle nuove generazioni. Mentre questa sfida è totalmente trascurata dalle confraternite, preoccupate dalla riverenza assoluta al totem immodificabile delle processioni. So che a molti dà fastidio quando si toglie don Tonino Bello dalla imbalsamazione e gli si chiede: “Quale spessore di autenticità di fede attraversa l’apparato di certe feste e di tante processioni?”. Riporto per intero la risposta data da lui ad aprile 1986: “I riti liturgici della settimana santa non sono tradizionali: sono rivoluzionari. Hanno cioè una tale carica eversiva, che chi vi partecipa dovrebbe essere in grado di «mettere il mondo sottosopra». Purtroppo, però, anche questi riti rischiano di diventare degli «anestetici» se noi li «consumiamo» solo per placare il nostro istintivo bisogno di ritorno al passato e non, invece, perché fondino un progetto radicalmente nuovo per il futuro. La stessa cosa dovrebbe valere per le processioni della settimana santa, su cui grava il sospetto che siano già divenute «pezzi di antiquariato » con la differenza che, invece del museo, hanno le strade per collocazione. Diciamocelo con franchezza: difficilmente da queste processioni si scatenano progetti di rinnovamento. Commuovono, ma non convertono. Infatti, dopo che Cristo morto è stato portato a spalle, Cristo vivo continua a essere messo sotto i piedi. Io credo, però, che, riducendo l’apparato, interiorizzando di più l’impegno di ciascuno, ritoccando certe formule legate a orari e percorsi, prendendo coscienza che i misteri del Signore non tollerano il «mimo», ma chiedono la conversione, anche queste processioni possono diventare un momento forte per la nostra fede, per la nostra carità e per la nostra speranza cristiana”. Quindi, a Molfetta sono scorretti il Vescovo mons. Cornacchia e gran parte del clero e dei laici, pure non credenti, quando ricordano che quella risposta è un’eredità da valorizzare non a parole, visto che tra pochi giorni sarà esaltata nel trentesimo anniversario della sua ricezione pure in altre parti d’Italia? Con l’orgoglio di tutti? Questione troppo delicata per essere trascinata tra le sfide da stadi. Intanto la Pasqua, quella che indica passaggio e cambio, deve arrivare. Che sia buona.