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“Siate fieri della vostra diversità”: Sergio Rubini si racconta ai ragazzi del professionale Bello di Molfetta
Sergio Rubini, la preside Pugliese e il vescovo Cornacchia
15 febbraio 2019

MOLFETTA - È stato un alunno del Vescovo di Molfetta Mons. Domenico Cornacchia al Liceo Scientifico di Altamura e adesso è un famoso attore, regista e sceneggiatore italiano. Ha dovuto superare molti ostacoli prima di poter lavorare con importanti registi come Antonio Calenda o Gabriele Lavia, ma la sua grande passione per il teatro lo ha portato a raggiungere numerosi successi e a stringere una forte amicizia con Federico Fellini. Quest’ultimo, appena vide Rubini il quale svolse i provini per interpretare il ruolo del giovane Fellini per la pellicola “Intervista”, gli disse “Complimenti Signor Rubini, lei somiglia alle sue fotografie”, questo è il primo messaggio con cui, il 5 febbraio all’Istituto Mons. Bello di Molfetta, su invito della preside Maria Rosaria PuglieseSergio Rubini ha aperto il suo discorso: somigliate alle vostre foto.

Ovviamente questa frase va aldilà del significato che si coglie la prima volta che la si legge, perché Rubini ha comunicato molto più di un messaggio come “Non usate Photoshop”: “All’inizio pensavo fosse una battuta, ma in realtà dentro quella battuta si nascondeva un messaggio fondamentale, assomigliare alle proprie foto. Questa è l’epoca dei Photoshop e con qualche ritocco, una persona può essere sorprendentemente diversa da quello che è realmente e risultare perfetta, ma dietro quella perfezione c’è un imbroglio, quindi cercate di assomigliare alle vostre foto il più possibile e soprattutto ricordatevi di inseguire sempre i vostri sogni, anche se a volte qualcuno non crede in voi.

A me è capitato tante volte di incontrare persone che mi ripetessero una frase che qui in Puglia è comune che vi farà sorridere appena ve la dirò: “Dov’è che devi andare?” la maggior parte delle vote in dialetto (“Adoè ca da sci?”), io ho sempre pensato che quella frase fosse un’iniezione letale, perché se voi custodite un sogno, e tutti custodiscono un sogno perché nel sogno c’è la proiezione di se stessi nel futuro, quella frase è in un certo senso paralizzante e spaventosa, alla fine quella iniezione uno la fa ad un altro e così via, e il risultato è che nessuno va da nessuna parte.

Il consiglio che vi do, rispetto a questa battuta è di andare dove volete andare e fregatevene, seguite i vostri sogni, perché un sogno è una chiamata, una vocazione, quando sono stato ragazzino, ho sentito questa chiamata, volevo fare l’attore, il percorso non era facile, il sogno era quasi impossibile da raggiungere nella mia città, negli anni Settanta, pensate a quanti “Adoè ca da sci” mi sono sentito dire.

Grazie alla mia famiglia e ad alcuni miei amici che sempre ringrazio, sono riuscito in qualche modo a non soffocare la mia vocazione e a seguire il mio sogno. Il suggerimento che vi dò, è di non soffocare i vostri sogni e rispetto alle iniezioni letali che vi possono impartire gli altri, non fate si che queste vi scoraggino, e se vi sentite diversi, siatene fieri. Non nascondete i vostri difetti, non usate Photoshop, o meglio, usateli nella grafica, ma non nella vita: siate quello che siete, perché noi siamo le nostre diversità, anche quelle che potete ritenere una certa deformità”.

Per donare un esempio ai giovani, l’attore ha parlato di sé: “Io vivo nel mondo del cinema, e ho questo nasone grande, eppure mi sono trovato nel mondo del cinema proprio per il mio nasone. Da ragazzino, avrei potuto sentire il desiderio di modificare il mio naso, ma se l’avessi fatto, mi sarei normalizzato, e invece è proprio nella nostra anormalità che si gioca la nostra individualità. Quindi siate felici delle vostre diversità”.

I ragazzi del Mons. Bello, non si sono fatti trovare impreparati, e hanno preparato delle domande da porre all’ospite, la prima riguardava proprio la Puglia, dalla quale è derivata la parola-chiave della mattinata: la “Pugliesità”, perché Sergio Rubini ha inseguito il suo sogno di diventare attore, recuperando la sua “Pugliesità” e tenendola stretta sempre, indipendentemente da dove l’attore si trovasse, Roma, Venezia o Grumo.

“Ho frequentato una scuola di recitazione a 18 anni e ovviamente, venendo da Grumo, io avevo una pronuncia delle parole molto “pugliesizzata”. Nella scuola, ho dovuto imparare a pronunciare le parole con accenti diversi, e in un primo momento, sono stato fiero di questo, però poi, ho cominciato a capire che tra una pronuncia e l’altra, non c’è solo una “o” aperta o chiusa, ma c’è un’idea del mondo. In una cadenza, si nasconde una visione del mondo. Ho iniziato più tardi un percorso di recupero della mia lingua e dei miei suoni per tornare a me stesso, perché la parte più autentica di me è quella che racconta la Terra da dove vengo e tutte le sue caratteristiche, ed è questo che ho portato spesso in scena.

È stata poi posta una domanda da un giovane ragazzo di una classe dell’indirizzo Cultura e Spettacolo dell’istituto, il quale ha chiesto a Rubini di raccontare tre momenti fondamentali della sua vita.

È sempre molto difficile selezionare tre momenti importanti in una vita così piena di esperienze, ma l’attore è stato in grado di sceglierli e condividerli con i ragazzi: “Il primo momento non è importante solo per me, ma per tutti noi perché prima o poi lo viviamo ed è il momento della chiamata, della vocazione. Io avevo 15 anni e una sera mio padre, che aveva una compagnia di attori filo-drammatici, mi convinse a recitare con lui. Quella sera, mentre recitavo, mi sono emozionato e ho capito che avrei voluto fare l’attore.

Un altro momento importante nella mia storia professionale è stato il mio incontro con Federico Fellini, e infine sempre lo stesso anno in cui ho lavorato con Fellini, ho conosciuto un altro regista esordiente, alle prime armi, ed è stato fondamentale per me, capire che quei due registi, nonostante uno avesse già vinto un Oscar e altri premi, fosse famoso e l’altro avesse appena iniziato la sua carriera, avevano la stessa vocazione, la stessa passione e la stessa creatività, erano entrambi portatori di amore e passione. Questo mi ha fatto capire, che in ogni giovane c’è un grande regista e in ogni grande artista, permane un giovane esordiente”.

Continuando il suo dialogo con i giovani, Sergio Rubini ha donato, attraverso il racconto della sua storia, insegnamenti che ogni giovane dovrebbe custodire dentro di sé, perché non capita tutti i giorni di poter parlare con una persona così saggia e pronta a donare se stesso al teatro e al cinema. È proprio a teatro e al cinema che Rubini ha regalato la sua vita, nella quale ha ricevuto soddisfazioni e insuccessi, ma è lui stesso ad affermare che “gli insuccessi sono la vita, i successi sono solo qualcosa che si accende ogni tanto nella notte. Il successo si basa sul fallimento. Il vero successo della nostra vita è somigliare il più possibile a quelli che siamo realmente, e non provare a essere qualcun altro”.

Dopo aver letto una poesia in vernacolo grumese scritta da Giacomo d’Angelo, (che raccoglieva tutti i soprannomi dei cittadini di Grumo, poiché nella città natale dell’attore tutte le famiglie hanno un soprannome) in chiusura del suo discorso, Rubini ha parlato della sua amicizia con Federico Fellini, il quale fu un punto cardine della carriera di Rubini insieme ai sui amici di Grumo, poiché gli amici sono delle lampadine accese nella notte, dei fari, dei punti di riferimento.

“La cosa che vi posso raccontare sul grande maestro Fellini, è che la prima volta che l’ho incontrato, stava preparando un film, e mi disse che non ci sarebbe stato un ruolo per me, ma che un giorno io e lui avremmo lavorato insieme. In quel momento, io presi quella frase come una battuta, uno scherzo. Quattro anni dopo, fui chiamato per interpretare il ruolo da protagonista nel suo film.

Ci sono degli uomini che entrano nelle nostre vite come se fossero dei maghi, alcuni li chiamano maghi, altri angeli e sono persone che ci prendono e, con una parola o un gesto, cambiano la nostra vita. Fellini era un vero maestro, ma non perché diceva ai suoi allievi “si fa così” o “devi fare così”, ma perché dava semplicemente l’esempio.

Grazie a Fellini ho compreso che, se vuoi fare un lavoro come l’attore o il regista che racconta la propria visione del mondo per avere uno spazio nella società, la mattina bisogna svegliarsi presto e leggere i giornali, informarsi. Io ho imparato a svegliarmi presto grazie a Fellini, che la mattina mi chiamava alle sei e aveva già letto tutti i giornali e voleva commentarli con me. Io non mi facevo mai trovare impreparato e mi svegliavo presto, perché non avevo voglia di farmi sentire con una voce impastata dal sonno, mi ero posto l’obiettivo di essere all’altezza delle sue telefonate. Per questo io vi auguro di incontrare qualcuno che vi chiami alle sei del mattino e che vi faccia capire questa cosa importante che ho capito io”.

Dopo l’esibizione di cinque giovani musiciste che si sono impegnate nel suonare “Hallelujah” di Cohen, due giovani studentesse (Arianna Corrieri e Claudia Simone) hanno regalato a Sergio Rubini due opere che hanno realizzato in tempo reale, quindi durante l’incontro. I giovani ragazzi del Mons. Bello hanno poi dovuto lasciar andare l’attore che, dopo aver donato ai ragazzi una importantissima lezione di vita, ha dovuto raggiungere gli studenti del liceo di Ruvo di Puglia, che stavano attendendo con ansia ed emozione il suo arrivo.

SUL PROSSIMO NUMERO DELLA RIVISTA "QUINDICI", IN EDICOLA A FINE SETTIMANA, UN ALTRO ARTICOLO CON FOTO DELLA VISITA DI SERGIO RUBINI ALL'ISTITUTO "MONS. BELLO" DI MOLFETTA.

© Riproduzione riservata

Autore: Sara Mitoli
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