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Rifondazione comunista non cede e insiste nella richiesta al centrosinistra di candidare Gianni Porta come sindaco per le prossime elezioni amministrative a Molfetta
11 febbraio 2017

MOLFETTA – Rifondazione comunista non sembra voler cedere di un passo nella richiesta del candidato sindaco (probabilmente Gianni Porta, nella foto a destra con Beppe Zanna e Antonello Zaza) della coalizione di centrosinistra a Molfetta e questo rende più difficile la trattativa nel centrosinistra per arrivare ad una soluzione unitaria.

Una richiesta che non può essere accettata dal resto delle forze politiche della coalizione sia per la consistenza minoritaria del partito comunista, sia perché una scelta di questo tipo snaturerebbe l’alleanza, connotandola fortemente a sinistra, col rischio di perdere elettori di centrosinistra che non accetterebbero questa estremizzazione della coalizione. E quindi il rischio di perdere consensi, è troppo alto, per potersi permettere errori.

Oltre agli elettori, sono anche molti esponenti della coalizione a non sentirsi rappresentati dalla sinistra estrema, che tra l’altro ha difficoltà di dialogo e di confronto con chi non condivide le sue posizioni e anche con la stampa e questo rende difficile anche un confronto con la città.

In grossa difficoltà è soprattutto il Partito democratico, avendo al suo interno una parte consistente che preme per aderire alla coalizione delle liste civiche di centrodestra che propongono come sindaco Tommaso Minervini, che si presenta come “usato garantito”, come l’ha definito scandalizzata l’ex sindaco Paola Natalicchio. Per il segretario Antonio Di Gioia la strada è tutta in salita.

Insomma, troppi problemi, che si possono superare se si riesce ad arrivare allo spirito che animò la coalizione di centrosinistra nel 2013. Garantendo l’incarico di vice sindaco a un esponente di Rifondazione, si potrebbe trovare la quadra, mettendo al sicuro una presenza in giunta nel caso di mancata elezione di un consigliere comunale. Stesso discorso potrebbe valere con l’assegnazione, in caso di vittoria, di una presidenza delle municipalizzate a Rifondazione, come è avvenuto nell’amministrazione Natalicchio, con la presidenza dell’Asm assegnata ad Antonello Zaza.

Insomma, la partita è ancora aperta, ma il tempo passa e le altre forze politiche spingono perché si raggiunga un’intesa il più presto possibile per avviare un percorso programmatico ed elettorale che punti almeno al ballottaggio, dove è difficile arrivare se persistono le attuali divisioni e i vari distinguo.

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…..la rivoluzione non conduce a nulla! Molti sono piombati in uno stato di apatia politica; molti si sono riconciliati con lo status quo dell'Occidente che i boom del dopoguerra e le provvidenze assistenziali hanno reso un po' più tollerabile. Gli intellettuali, che avevano creduto nel socialismo sovietico, hanno finito per denunciare il “dio che li aveva delusi”. Il mito del “socialismo in un solo paese” aveva così fatto nascere un mito ancora più ingannevole, un mito colossale, sul fallimento del socialismo. Questa doppia mistificazione ha finito per dominare una buona parte del pensiero politico occidentale e ha grandemente contribuito a quel ristagno ideologico in cui vive tuttora il mondo. Tuttavia l'Occidente non ha davvero nessuna ragione di guardare a questo risultato con qualsiasi soddisfazione di sé. Poiché quando un russo considera le azioni dell'Occidente verso la Russia, che cosa vi trova? L'ingorda pace di Brest Litovsk, l'intervento armato degli alleati contro i soviet, il blocco, il “cordone sanitario”, i prolungati boicottaggi economici e diplomatici; poi l'invasione di Hitler e gli orrori della occupazione nazista, i lunghi e astuti indugi coi quali gli alleati della Russia rinviarono l'apertura di un secondo fronte contro Hitler mentre gli eserciti sovietici subivano il loro olocausto; e dopo il 1945, i ricatti nucleari e la frenesia anticomunista della guerra fredda. Un marxista deve domandarsi perché le classi lavoratrici dell'Occidente e i loro partiti abbiano concesso tanta libertà d'iniziativa e di azione ai governi e ai gruppi privilegiati che sono stati responsabili di questa serie di eventi. Lo storico deve indagare le circostanze obiettive che nel corso degli anni hanno impedito al socialismo occidentale di intervenire radicalmente e di far si che l'Occidente si ponesse di fronte alla rivoluzione russa in maniera del tutto diversa. Deve anche tener conto degli effetti nocivi della prolungata ed esclusiva egemonia russa sulla rivoluzione socialista. Ma avendo accuratamente considerato tutte le circostanze obiettive e avendo tenuto conto di tutte le effettive attenuanti, in che modo lo storico riassumerà le sue conclusioni? Engels, parlando dell'esclusiva egemonia francese nella rivoluzione borghese e delle sue disastrose conseguenze, e avendo senza dubbio analizzato con cura le circostanze obiettive di quell'epoca, riassunse il suo giudizio in queste poche parole chiare e piene di significato: “ Tutto questo – egli disse – divenne inevitabile a causa della stupidità e della vigliaccheria delle altre nazioni”. Forse un futuro Engels dovrà pronunciare lo stesso verdetto sull'epoca nostra?
Nei primi anni del 1917, il messaggio della Rivoluzione di ottobre suscitò un profondo consenso nel movimento occidentale dei lavoratori. Non per nulla, ad esempio, nel 1920 i congressi del partito socialista francese e del partito socialista indipendente tedesco, che era allora l'elemento più influente della sinistra tedesca, votarono a larga maggioranza di unirsi all'Internazionale comunista. Persino nella conservatrice Inghilterra i portuali di Londra, capeggiati da Ernest Bevin, espressero la loro simpatia per la nuova Russia rifiutando di caricare munizioni destinate alle armate polacche che combattevano contro i soviet. Sembrava che il movimento operaio occidentale, sotto l'ispirazione della rivoluzione russa, si fosse risollevato dalla palude in cui era in cui era affondato nel 1914. Di nuovo, durante la seconda guerra mondiale, la battaglia di Stalingrado risollevò l'Europa occupata dai nazisti dal fondo della sua disperazione, e alla Resistenza ispirò fiducia nella vittoria e nuove speranze socialiste. Ma nel complesso, l'esempio dell'Unione Sovietica, lungi dallo stimolare i movimenti operai dell'Occidente, li atterrì all'idea di non poter realizzare le loro aspirazioni socialiste. In modo paradossale, una delle principali ragioni di questo fatto fu che i lavoratori videro nella rivoluzione russa la prima grande prova storica del socialismo. Non erano consapevoli delle tragiche condizioni di inferiorità da cui era gravata l' Unione Sovietica. A nulla servì che alcuni teorici marxisti parlassero di quelle condizioni d'inferiorità, a nulla servì l'efficacia della loro argomentazione, secondo la quale una società libera e senza classi non poteva fondarsi in un solo paese, miserabile e semibarbaro; per la massa dei nostri lavoratori queste erano sottigliezze di teoria astratta. Non si avvidero dell'isolamento e le gravi difficoltà in cui viveva l' Unione Sovietica. Per circa trent'anni la propaganda stalinista parlò dei miracoli che il socialismo andava facendo nell'URSS. Gli appassionati e gli ingenui credettero. La grande maggioranza dei lavoratori occidentali restava dubbiosa, teneva in sospeso il suo giudizio o si formava opinioni negative. Resoconti della povertà sovietica, sulle carestie, e sul terrore alimentavano lo scetticismo. Le grandi purghe e il culto di Stalin, zelantemente difesi da tutti i partiti comunisti, suscitavano disgusto. Poi moltitudine di soldati americani, britannici e francesi vennero a contatto dei loro alleati sovietici nella Germania e nell'Austria occupate: e ne trassero le conclusioni. Finalmente, nel 1956, ci fu il trauma delle rivelazioni di Khrusciov. Molti milioni di lavoratori occidentali, un anno dopo l'altro, hanno meditato queste esperienze e hanno concluso che “il socialismo non funziona” e che “la rivoluzione non conduce a nulla”.


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