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Ridotti gli spazi democratici INTERVENTO - Considerazioni sull'intervista di “Quindici” al sindaco
15 gennaio 2003

L'intervista che Tommaso Minervini ha concesso a Lella Salvemini e Francesco Del Rosso su “Quindici” di dicembre, non sembra aver suscitato particolari reazioni né fra i lettori né fra gli esponenti delle forze politiche molfettesi (nella foto, il Comune). Eppure le cose che il sindaco ha detto non sono affatto di poco conto. A chi gli faceva notare che “in Consiglio comunale non c'è stato nessun dibattito sulle grandi questioni che interessano la città e il coinvolgimento dei cittadini è nullo” Minervini ha risposto: “C'è stato un grande dibattito, è ancora in atto, ma c'è chi non lo vuole vedere”. “Dove – gli è stato chiesto – in quali sedi?” “Per voi – ha risposto il sindaco – il dibattito politico è lo scontro fra le sigle di partito, fra segretari, voi ritenete che sia questa la politica e mi pare siate un po' indietro rispetto a quello che la politica è oggi, nelle città meridionali che debbono cogliere i treni dello sviluppo, importanti, storici, dei Por, dei finanziamenti, di questo magico incrocio che si sta sviluppando a Molfetta.” Più oltre ha aggiunto: “ Evidentemente sono cambiati i luoghi del fare politica e molti di noi non si rassegnano a questa cosa e li vogliono ancora ritrovare nelle solite sedi di partito”. Secondo il sindaco, insomma, nella nostra città è in atto “una rivoluzione politica amministrativa” e “c'è chi non se ne accorge, fermo ancora in alcune sedi”. Partiti inutili? È difficile capire se Minervini abbia parlato in un momento di stanchezza o piuttosto di grande lucidità. Di fatto ci ha detto che il dibattito politico e i conseguenti processi decisionali sono ampiamente svincolati dal meccanismo del voto e della rappresentanza e che alla guida della città c'è un signore che si occupa delle sue sorti in luoghi che non ha ritenuto di dover meglio precisare. Quanto avviene in Consiglio comunale è solo fumo negli occhi, i veri decisori sono altrove. Non che non lo sospettassimo. Ma se a dirle in maniera così esplicita è un sindaco – e se questo non provoca una immediata richiesta di dimissioni da parte di tutte le forze politiche di maggioranza e opposizione – allora vuol dire che è vero: è vero che i consiglieri comunali non contano nulla, è vero che gli assessori sono semplici marionette agitate da interessi che li trascendono, è vero che persino il sindaco è solo un re travicello. Spazi democratici ridotti Al deficit di democrazia, alla richiesta di nuova partecipazione che si era evidenziato in Italia e, così clamorosamente nella nostra città, nei primi anni Novanta, si è dunque risposto, come la storia insegna che spesso accade, con una ulteriore riduzione degli spazi democratici. Bisogna seguire il treno dello sviluppo, dovunque porti è indifferente, l'unica cosa che conta è il “fare”. E per “fare”, quello che serve è governabilità e consenso: due parole che non necessariamente si conciliano con democrazia, anzi ne fanno volentieri a meno. L'Italia, anche nelle sue lande più periferiche e sperdute appare sempre più ispirata dall'ideale thatcheriano: economia che tira per garantire il consenso e precarietà dell'occupazione per non dare tempo ai cittadini di occuparsi di altro se non della propria sopravvivenza. Dov'è finita la partecipazione? Dove è finita la Molfetta che non voleva più essere di pochi? In quali circoli o salotti si sono rintanati, su quali pagine scrivono i molfettesi che avevano detto di volersi riprendere la città, che non volevano più accettare di essere governati da una classe politica che aveva incancrenito i partiti? Oggi è la stessa agonia dei partiti che consente ai pochi che contano di fare a meno persino di qualunque parvenza di partecipazione democratica e – è il sindaco a farcelo sapere – di decidere in luoghi arcani che cosa è bene e male per la città. Che pena per tutti quelli – sembra passato un secolo – che erano scesi in piazza chiedendo più democrazia e partecipazione; che non volevano più supinamente accettare che buttassero giù i monumenti più prestigiosi della città per sostituirli con brutture; che non volevano più sopportare le estorsioni di chi, al nero, gli faceva pagare le case il doppio del prezzo pattuito. E che pena per le elite culturali, economiche e professionali di questa nostra città, che per un attimo si erano svegliate e che sono tornate a chiudersi nelle loro case indifferenti a quanto succede, quando non corree: hanno permesso che in consiglio comunale siedano così tante persone, prive di cultura e di capacità, poco attente agli interessi collettivi, hanno rinunciato ad assumersi le responsabilità che sono loro, hanno sotterrato il senso civico e peccano, con questa loro rinuncia, nei confronti di tutti i cittadini. Tanti piccoli interessi Le richieste di varianti al piano regolatore che si sommano ormai a decine senza che si traccino delle linee precise per decidere quali possano essere accettate e quali no; la vicenda della società che si intende costituire per realizzare le infrastrutture portuali – sulla quale, peraltro, gravano pesanti dubbi di legittimità – che ha tutta l'aria di essere uno strumento per gestire in maniera privatistica soldi pubblici e per assegnare poltrone; il tentato pastrocchio della convenzione con De Luca; il ponte di ponente inutile e spacciato come misura per migliorare l'ambiente; l'area ASI trasformata in discarica senza che dal comune si sia alzata una pur fievole voce per protestare – potrei continuare per chi sa quanto ancora – tutto questo, grazie alle dichiarazioni del sindaco, acquista oggi una nuova luce. Non di incapacità si tratta, ma di lucida determinazione: non esiste più, neanche in via teorica, l'interesse generale, solo tanti piccoli interessi da coltivare. Se qualcuno ha temuto o sperato che Tommaso Minervini fosse un sindaco di sinistra a capo di una maggioranza di destra, può definitivamente ricredersi. Una politica di sinistra si basa su due pilastri non negoziabili: l'ampliamento degli spazi democratici e, conseguenza del primo, l'uso sociale della ricchezza. Di entrambe queste due cose nella politica e nel credo del sindaco non si vedono oramai che pallide ombre. Antonello Mastantuoni
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